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Gorizia: la politica della non accoglienza uccide

In città sono 150 i richiedenti asilo fuori accoglienza che arrivano dalla Balkan Route

Il 7 agosto a Gorizia la politica della non accoglienza ha ucciso.
T. S., 25 anni, pakistano, è annegato nelle gelide acque del fiume Isonzo, alle porte della città.
S. era arrivato a Gorizia qualche giorno prima, attraversando la Balkan Route, la via che percorrendo i Balcani porta centinaia di migranti a raggiungere l’Europa via terra, ogni giorno. S. ha attraversato anche l’Ungheria, dove da qualche settimana è iniziata la costruzione dell’ennesimo muro della fortezza Europa, ed è arrivato in Italia aspettandosi probabilmente di non trovare più muri, ma finalmente porte aperte.
A Gorizia, città di confine a suo tempo “simbolo” delle divisioni della Guerra Fredda, i muri ci sono, anche se non si vedono. Da un anno la città grida all’invasione per la presenza – costante, anche se i numeri oscillano a seconda del periodo – dei migranti in arrivo dalla Balkan Route: sono quasi esclusivamente afgani e pakistani, che arrivano nella città sede della Commissione Territoriale della Regione alla fine di un viaggio lunghissimo e insidioso. Arrivano e si trovano davanti il primo muro, quello dell’accoglienza che non c’è. Nonostante gli arrivi via terra siano da tempo in costante aumento, il sistema dell’accoglienza a Gorizia e provincia non funziona e lascia in strada decine di persone. Pochi sono i Comuni che si sono effettivamente impegnati per l’accoglienza diffusa, scarsa sembra la volontà della Prefettura di investire in questa politica: finora sono state preferite le soluzioni emergenziali (si ricordi ad esempio la conversione fintamente provvisoria dell’ex CIE di Gradisca in CARA), spesso evidentemente al di sotto di uno standard minimo di dignità (come l’ex capannone convertito a CAS che per 20 giorni ospitò quasi 150 persone) che però non risolvono la questione. I migranti arrivano, a volte intercettati dalle forze dell’ordine, altre si presentano spontaneamente all’Ufficio Immigrazione per chiedere asilo. Spesso aspettano più di un mese per poter formalizzare la richiesta: nella maggior parte delle volte, si attende in strada.
Ciclicamente, in città si arrivano a contare anche 150 richiedenti asilo fuori accoglienza: alcuni vengono accolti (solo la notte) nel dormitorio Caritas, gli altri sono costretti ad accamparsi. Nei mesi invernali in molti scelgono il parco della Rimembranza (di recente scelto come tappa finale della manifestazione nazionale di Casa Pound) per dormire, quando inizia a fare caldo sorgono però insediamenti anche lungo le sponde del fiume Isonzo, che non dista troppo dal centro città ma ha il vantaggio di essere lontano da sguardi indiscreti.
Un altro “muro” a Gorizia è stato infatti eretto dalla Giunta Comunale, che mai ha accettato questa presenza sul territorio: da dicembre è in vigore la discussa ordinanza anti-bivacco (ribattezzata ordinanza anti-profugo), che vieta a “chiunque” di accamparsi negli spazi cittadini. L’ordinanza ha reso Gorizia una trappola a cielo aperto, in cui i migranti, già provati dalla mancata accoglienza, sono costantemente allontanati dagli spazi in cui scelgono di accamparsi, svegliati nel corso della notte e ultimamente anche privati dei propri effetti personali. Di recente infatti, la ditta comunale che si occupa della pulizia cittadina è stata incaricata di far sparire dal parco gli effetti personali dei profughi e le coperte donate loro dal volontariato, in quanto considerati rifiuti (documenti inclusi). Dopo numerose proteste, volontari, rappresentati di Caritas e Tenda per la Pace e i Diritti e dello stesso Comune hanno ottenuto di poter visionare il materiale “sequestrato” (o per meglio dire, rubato): trattati come rifiuti, gli effetti personali dei migranti erano ridotti ad uno stato tale da essere difficilmente recuperabili. Non si tratta di un episodio isolato, è stato annunciato: la ditta continuerà a far sparire gli effetti personali dei migranti, perché al Parco loro non ci devono stare.
Non devono stare al Parco: i residenti si lamentano, spesso la stampa locale ricicla qualche testimonianza ritagliata alla meglio che possa rendere al meglio il clima “esasperato”: ‘i profughi defecano al parco’, ‘hanno allontanato mio figlio dai giochi’, ‘stendono i loro vestiti sulle panchine’. Ecco quindi che spostarsi al fiume porta molteplici vantaggi: nessun dipendente del Comune arriverà a rubare zainetti, coperte e documenti, nessun poliziotto arriverà nel cuore della notte per “identificare” nuovamente i migranti. Si tratta di una soluzione ugualmente inaccettabile (ci si lava nel fiume, spesso si usa l’acqua del fiume per cucinare), ma leggermente meno insidiosa. Deve averlo pensato anche T., che la mattina del 7 agosto nelle acque del fiume si stava lavando. Acque gelide, insidiose: attraversate da correnti inaspettate. E’ un attimo, e T. viene trascinato via sotto gli occhi impotenti dei suoi compagni di sventura, che cercano senza successo di salvarlo. Il corpo viene recuperato qualche ora più tardi.

Chiunque abbia seguito la saga della non accoglienza goriziana nell’ultimo anno sa benissimo che questa morte era annunciata. Chi conosce il lavoro silenzioso e fondamentale del gruppo di cittadini che da quasi un anno si occupa di assicurare ai migranti fuori accoglienza almeno un pasto caldo, vestiti e coperte, sa che molte altre potevano essere le vittime dei muri goriziani. Da quando nell’agosto 2014 scoppiò “l’emergenza profughi”, decine sono stati i casi di persone vulnerabili costrette a vivere in strada senza che per settimane la Prefettura si occupasse di loro.
A denunciar il caso di un profugo minorenne molestato sessualmente da un residente goriziano, che lo aveva avvicinato all’accampamento sul fiume, fu l’Assessore provinciale Cecot. Ad assistere I., che per oltre un mese ha passato la notte al dormitorio, vagando per Gorizia durante il giorno e rischiando la vita, dati gli attacchi epilettici che lo coglievano quotidianamente, è stato il gruppo di volontari goriziani. A trovare una sistemazione per A., anziano con problemi alla schiena giunto a Gorizia in tarda notte, è stato sempre il circuito del volontariato.
Di questi casi vulnerabili, come di tutti gli altri migranti rimasti fuori accoglienza, la Prefettura ha scelto di non occuparsi, mentre il Comune ha semplicemente ritenuto di poter declassare queste persone al livello di esseri umani di serie B, che non solo non meritano un trattamento dignitoso, ma devono anche evitare di rendersi visibili per non turbare la quiete cittadina. Ogni volta che il numero di presenze raggiunge il “livello di guardia”, il Sindaco riesce ad ottenere dalla Prefettura l’invio di pullman che caricano i richiedenti asilo come pacchi postali verso altre destinazioni: non solo quelli fuori accoglienza, ma anche quelli che da mesi vivono nel CAS cittadino. Persone che hanno stretto relazioni con i goriziani e che non vorrebbero lasciare la città: tutte questioni di secondo piano per il Comune, ansioso di fare “pulizia”.

La politica della non accoglienza, combinata all’atteggiamento respingente nei confronti dei migranti, ha portato alla tragedia di venerdì. Un coro gracchiante di dichiarazioni politiche, di rimproveri e di scaricabarile si è levato immediatamente dopo che la notizia è stata diffusa: c’è chi ha addirittura ritenuto opportuno non rinviare l’annunciato “presidio contro l’immigrazione” al parco della Rimembranza, sostenendo con argomenti surreali che “in fondo tutti vogliamo l’accoglienza per queste persone”.
Nei giorni precedenti alla tragedia era circolato in città e in rete un volantino, non firmato da alcuna sigla, in cui si invitava a partecipare “al presidio permanente contro l’immigrazione”: presidio effettivamente in corso da venerdì sera, nessuno striscione o rivendicazione da parte di partiti o movimenti, solo una bandiera italiana e una quindicina di individui nerovestiti sorvegliati a vista dalla Digos. Oggi Di Bortolo, responsabile regionale di Casa Pound, ha confermato il pieno sostegno del movimento fascista al presidio. La situazione goriziana sta offrendo alle destre l’ennesima ghiotta occasione di strumentalizzare la questione migratoria per i propri fini, e purtroppo non è un copione nuovo quello che vede movimenti fascisti dietro ai presidi anti-immigrati ufficialmente organizzati dai “residenti”.

Martedì sera alle 21 l’associazione Insieme con voi, nata da poco da un gruppo di persone impegnate a supportare quotidianamente i richiedenti asilo, ha indetto una veglia per T. al parco della Rimembranza. Il giorno dopo ricorre un anniversario altrettanto importante per chi si batte contro le avvilenti politiche migratorie di questo paese: la notte tra il 12 e il 13 agosto 2013 Majid cadde dal tetto del CIE di Gradisca d’Isonzo, caduta che gli causò danni cerebrali irreversibili e che lo uccisero nove mesi più tardi. Tenda per la Pace e i Diritti promuove per la serata del 12 agosto un momento di raccoglimento e ricordo per Majid e tutte le vittime dei CIE italiani, ripercorrendo la storia del lager di Gradisca e le terribili giornate dell’agosto 2013.
Nonostante la storia di T. e quella di Majid siano molto diverse, un filo rosso le unisce: la responsabilità delle Istituzioni competenti. Le associazioni invitano i solidali antirazzisti a partecipare ad entrambe le serate, mentre è probabile che nelle prossime ore verrà organizzata una colletta per permettere il rimpatrio della salma di T. in Pakistan.