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Una protesta dei profughi sudanesi - Ph: Refugees in Libya

Tunisi. A Lac 1 la condizione delle persone accampate fuori dall’OIM diventa sempre più critica

«Evacuation Is All We Need Out Of Tunisia Our Lives Are At Risk»

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Tunisi. Con un breve viaggio dalla stazione di taxi collettivi all’inizio di avenue Bourghiba si raggiunge il distretto di Lac 1.
Il distretto è un conglomerato di residenze turistiche e palazzi moderni schiacciato tra il lato est dell’aeroporto Tunis Carthage e il mare. Più che mare è in realtà uno dei grandi bacini di acqua che contraddistingue la geografia della città, chiuso a nord dai quartieri di villeggiatura di La Marsa, La Goulette e Sidi Bou Said.

Una volta dentro Lac 1 ci si accorge che molti degli edifici non sono mai stati finiti, molti altri, verso il mare, come gli hotel e i ristoranti aspettano solo di aprire le proprie porte ai turisti europei, sauditi ed emiratini. A rispecchiare la decadenza di questo luogo vi sono due uffici poco distanti l’uno dall’altro, uno appartiene all’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM), il cui servizio sono i cosiddetti “rimpatri volontari”, l’altro all’organizzazione delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).

Entrambi sono protetti lungo tutto il loro perimetro da alte placche metalliche anti-sfondamento, filo spinato, telecamere e i tipici tornelli metallici visibili spesso nelle carceri o nei checkpoint militari israeliani. Precauzioni di questo tipo, che nemmeno gli uffici governativi tunisini possiedono, sembrano proiettare queste due istituzioni in un contesto di guerra, evidenziando in modo molto chiaro dalla parte di chi si schierano. 

Da quasi un anno tutto l’isolato attorno agli uffici dell’OIM ospita un accampamento di circa 400 persone di cui la maggior parte sono uomini e donne sotto i trent’anni, bambini e molti neonati.
Il campo è diviso in due parti: uno, abitato principalmente da persone provenienti da paesi subsahariani, proprio a ridosso del muro metallico degli uffici dell’agenzia ONU; l’altro, poco distante, si sviluppa all’interno di un parco alberato in cui si trovano principalmente persone sudanesi.

Proprio dalle persone in fuga dal Sudan era stato precedentemente occupato un edificio in costruzione che offriva perlomeno la protezione di un tetto e la distanza dalla terra, ma poi è stato murato e perimetrato anch’esso di filo spinato. La separazione comunitaria, che qui si è sviluppata in modo spontaneo, ricalca la meno naturale logica adoperata nelle deportazioni che seguono l’intercettazione in mare delle persone.

Seconda una pratica ormai consolidata e ampiamente documentata 1, le persone intercettate in mare dalle motovedette della guardia nazionale tunisina, una volta sulla terraferma vengono divise in due gruppi sulla base della mera profilazione linguistica e razziale: le persone francofone, probabilmente subsahariane, vengono deportate nelle zone desertiche verso l’Algeria.

Le altre, in gran parte sudanesi, vengono deportate invece verso la Libia, assieme a molte altre somale, eritree ed etiopi. La maggior parte delle persone che si incontrano a Lac 1 ha fatto esperienza delle intercettazioni in mare a opera della guardia nazionale tunisina, quasi tutti hanno perso amici e parenti in naufragi o per mano della polizia. 

Il primo giorno a Lac 1 faccio la conoscenza di M. che ha 25 anni e viene dal Camerun, è qui in Tunisia assieme alla sua compagna e suo figlio da ormai 9 mesi, diversi di questi passati al campo.  

M. è un fiume di parole, facciamo una passeggiata sul lungomare di cemento e mi parla senza interruzioni della sua vita quando è partito 4 anni fa dal suo paese. A fianco a noi passano, anche se raramente, ciclisti e persone a passeggio con il cane, seduti in terra ci sono molti ragazzi, tutti da soli a fissare il vuoto o appartati a fare una chiamata. Non sembra la prima volta che ha questo tipo di conversazione con attivisti, giornalisti e ricercatori che vengono a informarsi su cosa sta succedendo a Lac 1.

E’ molto chiaro con me: se lui si mette a parlare ce n’è da riempire un libro. Lac 1 è un posto in un cui è ancora possibile morire di polmonite, come è successo a dicembre a una ragazza, perché le ambulanze non arrivano mai, nemmeno per emergenze che riguardano i bambini. Tra le persone che necessitano di cure c’è D. che ci mostra il suo ginocchio gonfio e infiammato, da sei mesi gli provoca dolori costanti che gli impediscono di dormire.

La causa sono le percosse ricevute dalla guardia nazionale tunisina a seguito di un’intercettazione in mare dell’imbarcazione su cui si trovava durante il suo secondo tentativo di traversata. Secondo le norme attuali emanate dal governo è vietato fornire assistenza medica di qualsiasi tipo, eccezion fatta per la Croce Rossa tunisina che tuttavia non ha nessun programma di assistenza alle persone che si trovano lì.
Questo fatto viene confermato anche dal portavoce del Forum dei Diritti Economico Sociali Tunisino (FTDES) Romdhane Ben Amour.

I rifugiati in Tunisia avrebbero diritto all’assistenza medica una volta registrata la loro presenza dall’UNHCR ma nei fatti è un diritto sospeso; D. gratuitamente non può nemmeno fare una radiografia e conoscere l’entità della lesione. L’assenza di distribuzione d’acqua potabile acuisce la già disastrosa situazione sanitaria. L’impossibilità di lavarsi porta a diffuse malattie della pelle e ad una forte sofferenza psicologica per le condizioni igieniche a cui sono costretti.

L’unico bene che viene distribuito saltuariamente e frettolosamente da alcuni solidali sono borse di pane e cibo a lunga conservazione, ma è anch’essa una pratica altamente criminalizzata; mancano del tutto assorbenti e pannolini per bambini, beni particolarmente costosi in Tunisia.

Questo Paese nel corso degli anni è diventato uno dei principali colli di bottiglia dei flussi migratori che si originano in Africa Occidentale specialmente in Camerun, Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Gambia, Mali, Burkina Faso, Togo ed altri, dove gli effetti dei cambiamenti climatici sono più rapidi e disastrosi e si saldano all’instabilità politico-sociale resa cronica da pratiche neocoloniali che si ridisegnano costantemente sulla base degli equilibri geopolitici regionali e internazionali.

In particolare, parlando con le persone provenienti da queste aree ci si riesce a fare un’idea più chiara del ruolo di istituzioni quali l’OIM, che nei vari punti della loro rotta, dal Sahel passando per Lac 1 fino all’interno dell’Europa, gli ricordano che possono arrendersi in qualsiasi momento e tornare indietro: mandando così in fumo le migliaia di euro dati ai trafficanti e gli anni di vita regalati al sistema frontaliero.

Diverse persone mi dicono di aver iniziato la procedura di rimpatrio, procedura che può arrivare a richiedere diversi mesi; molte altre mi dicono che invece non si sono ancora arrese e non lo faranno mai, che arriveranno in Europa in qualsiasi modo. Mentre mi parlano, alle nostre spalle torreggiano gli uffici militarizzati dell’OIM. Diversa è la situazione delle persone sudanesi per le quali il meccanismo di trappola frontaliera rappresentato dalla Tunisia è ancora più forte, infatti l’OIM non può offrire loro nulla considerando il Sudan per ovvie ragioni un paese non sicuro.

Per loro non c’è altra strada che il mare, e spesso nemmeno quello, perchè arrivare a mettere da parte le diverse centinaia di euro per la traversata è diventato difficilissimo e la polizia durante le intercettazioni e le deportazioni distrugge loro i documenti rendendo impossibile ritirare il denaro spedito dalle famiglie attraverso meccanismi come il Western Union. 

La Meloni in visita a Tunisi il 17 aprile scorso.

Molte persone commentano sgomente i memorandum d’intesa 2 che l’UE e l’Italia continua a ratificare con il governo di Kais Saied, cioè il denaro e l’equipaggiamento che arriva nelle mani del sistema di polizia tunisino. Polizia che sta rapidamente ricominciando a muoversi con la disinvoltura sempre maggiore data dell’assetto autoritario dello stato dopo il piano di lotta al terrorismo varato nel 2018 3 e più in particolare dopo che a luglio del 2021 il presidente ha proclamato lo stato di emergenza che lo ha portato ad attribuirsi pieni poteri politici. 

Ogni persona con cui parlo ci tiene a specificare che la solidarietà tra chi vive qui è assoluta, non avendo niente non possono fare altro che condividere tutto, naturalmente vi sono conflitti e sono la conseguenza diretta delle condizioni disumane in cui vivono. Questo digiuno durante il mese di Ramadan è reso particolarmente duro dalla scarsità di cibo, qui a pochi minuti di taxi da una delle capitali più ricche del nord Africa si patisce la fame. Per l’iftar di questa sera, i ragazzi con cui parlo romperanno il loro digiuno mangiando acqua e farina cotta in una pentola che cuoce su un fuoco di rami secchi e pezzi di plastica. 

Esiste un gruppo whatsapp tra le persone di questo campo dove si condividono informazioni e aggiornamenti. E’ grazie a questo tipo di gruppi che vengono raccolte molte notizie e si tiene il filo di quello che succede non solo qui ma lungo tutti i luoghi di stanziamento e trasferimento forzato.

Proprio su uno di questi gruppi ha iniziato a circolare il video e diverse foto che mi vengono mostrate, dell’omicidio da parte della polizia di un ragazzo camerunense nell’area di Kasserine, una delle aree desertiche lungo il confine algerino in cui vengono deportate le persone, alle quale si ruba poi cellulare, denaro e cibo, se ne hanno. Il nome di questo gruppo è les bozayeurs cioè coloro che gridano boza! questa parola viene gridata a pieni polmoni da Ceuta a Lampedusa non appena si tocca la terra al di là del confine ed è sinonimo di libertà assoluta e sprigionata.

  1. Tunisia removes hundreds of migrants to desert border region, rights group and lawmaker say – Reuters (5 luglio 2023).
  2. Il memorandum Ue-Tunisia mette a rischio i diritti dei migranti – Open Polis (luglio 2023).
  3. Arbitrary Restrictions on Movement in Tunisia – Amnesty International (2018).

Redazione

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