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I respingimenti silenziosi del confine Sud

Intervista all'Avv. Dario Belluccio

Tanto clamore ha sollevato il monito arrivato dal CIR (Centro Italiano Rifugiati) che ha denunciato l’accaduto. Una procedura, quella seguita dalle forze dell’ordine, che ha fatto saltare ogni regola prevista in materia di richiesta di asilo.
Ma quanto è successo è semplicemente la prassi.
Se oggi siamo davanti alla denuncia di questi fatti, dobbiamo purtroppo registrare come normalmente, il respingimento, avvenga senza alcuna tutela.
La frontiera mediterranea è una delle linee fondamentali per leggere complessivamente il sistema di confini mobili e variabili che compongono il disegno dell’Europa.
E’ evidente che non si tratta di un quadro definito, stabile, ma continuamente sottoposto a variazioni, sul confine mediterraneo come su quello orientale.
L’Europa, che ci appare come fortezza quando assistiamo a questo tipo di avvenimenti, si dissolve in una miriade di dispositivi diversi che regolano l’accesso al continente, quando il nostro sguardo è di insieme.

Abbiamo intervistato Dario Belluccio, avvocato degli unici quattro migranti sbarcati, oggi detenuti nel Cpt di Bari.

D: Quello che è avvenuto ha sollevato moltissime critiche, anche inaspettate.

R: Credo di poter dire senza remore che quello che è avvenuto qui a Bari è una prassi consolidata.
Il respingimento di numeri anche ingenti di persone provenienti da paesi in cui vi sono conflitti armati o guerre, più o meno dichiarate, avviene senza garantire alcuna garanzia, né in termini di assistenza, né in termini di protezione umanitaria, né in termini di riconoscimento o quantomeno di verifica dei requisiti per accedere alla richiesta di asilo e al conseguente permesso di soggiorno, oppure anche allo stato di rifugiato.
C’è in questi casi una violazione evidente di un principio consolidato del diritto internazionale, quello cioè del non respingimento.
In questo caso non abbiamo avuto la possibilità di sapere con certezza la condizione sociale e politica di queste persone, provenienti in gran parte dall’Iraq, neppure nulla della loro condizione individuale, se vi fossero minori, persone bisognose di cura, quale fosse il motivo del loro esodo.
Questo perché la prassi consolidata a Bari, ma credo di poter dire anche in molti altri porti, non segue neppure le normative previste a livello internazionale, in assenza di una disciplina chiara in Italia.
Vi sono poi, qui e altrove, dei soggetti che dovrebbero garantire questo ruolo, come il Centro Italiano per i Rifugiati, che in questo caso è intervenuto con un comunicato stampa.
In altri casi dobbiamo però lamentare la mancanza di informazione da parte di soggetti che nei porti svolgono una attività retribuita anche con finanziamenti pubblici.

D: Guardando al fenomeno della mobilità globale nella sua complessità, dobbiamo consegnare a questo tipo di avvenimenti, il loro ruolo davanti ad un processo che vede le frontiere aprirsi e chiudersi in maniera variabile, differenziale, non univoca.
Vi è cioè un scelta che differenzia le condizioni dell’ingresso, o del non ingresso, o dell’ingresso a condizioni diverse di garanzia.

R: Tutto il mercato del lavoro si basa su un principio molto semplice che è quello della mobilità internazionale.
All’ interno dei processi autonomi delle migrazioni, gli stati, o in questo caso l’Europa, tendono a differenziare la scelta di questo ingresso. A volte questo è determinato da accordi commerciali, altre da presunte capacità diverse a seconda della nazionalità di provenienza, la motivazione reale io credo si possa rintracciare in un meccanismo che è quello complessivo delle politiche migratorie.
In Italia questo si traduce nella questione delle quote, dei decreti flussi, che poi comporta tutta una serie di discriminazioni.
Tutto questo poi, in particolare per la situazione italiana, si confronta con l’ assenza di una normativa sull’asilo politico, che viene lamentata da molte parti.
Una assenza tanto più pesante per il fatto che le uniche possibilità di esprimere delle garanzie sono date esclusivamente dalla Convenzione di Ginevra.
Questa però è del 1951 e vive tutti i limiti della volontà politica che l’ha generata e dal periodo storico in cui è sorta.
Quella convenzione dava protezione a chi, nei regimi dell’est, quelli del socialismo reale, subiva delle persecuzioni e quindi voleva passare al blocco occidentale.
Oggi siamo invece davanti ad una guerra che è globale, che non ha più confini, e neppure si vede una possibile fine di questo tipo di scenario.
Siamo davanti cioè ad un processo di migrazioni che avviene sia sotto la spinta del desiderio sia come fuga da situazioni di guerra e devastazione economica.

Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa