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La mancata traduzione comporta la nullità del decreto di espulsione

Corte Suprema di Cassazione, ordinanza n. 11397 del 11 maggio 2018

Il caso riguarda un cittadino albanese espulso dal Prefetto di Verona ben tre volte con tre diversi decreti di espulsione.

Il ricorso avverso i tre decreti di espulsione viene proposto tardivamente ossia a distanza di anni rispetto alla notifica dei provvedimenti.

Il GDP di Verona, disattendo tutti i motivi di ricorso, dichiarava il ricorso tardivo.

Avverso la predetta decisione si ricorreva alla Corte di Cassazione affidando il ricorso a due motivi: – l’illegittimità dell’ordinanza del Giudice di Pace perchè priva dell’esposizione delle ragioni giuridiche poste a fondamento della decisione in quanto i decreti, tutti, erano privi di sottoscrizione e priva della traduzione e per tal motivo erano da considerarsi inesistenti e non idonei a far decorrere il termine ad opponendum; – omessa valutazione della situazione personale e del rischio in caso di rientro nel paese di origine a causa del fenomeno di gjakmarrje (vendetta si sangue” derivante dall’applicazione della legge del Kanun.

La Corte di Cassazione, ha ritenuto il ricorso fondato sotto il profilo della nullità dei provvedimenti espulsivi per omessa traduzione su cui il Giudice di primo grado non si è pronunciato e si è solo limitato a rilevare l’inammissibilità del ricorso.

Osserva la Corte che “il mancato adempimento delle formalità relative alla traduzione del provvedimento in una lingua nota all’espellendo comporta la nullità del decreto di espulsione, che può essere fatta valere in ogni tempo, perchè l’esigenza primaria di non vanificare il diritto di azione, garantito dall’art. 24 Cost., fa si che, nel’ipotesi di ignoranza senza colpa di siffatto provvedimento… debba ritenersi non decorso il termine…“.

– Scarica l’ordinanza:
Corte Suprema di Cassazione VI sezione civile, ordinanza n. 11397 del 11 maggio 2018