Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sarà l’Albania la prossima tappa per i rifugiati rimasti bloccati?

di Andrew Connelly, Al Jazeera

The border crossing of Krystallopigi, between Greece and Albania [Nicola Zolin/Al Jazeera]
Stranded refugees warm up by a fire at Polikastro station, 20km from the Greek-Macedonian border [Nicola Zolin/Al Jazeera]
Stranded refugees warm up by a fire at Polikastro station, 20km from the Greek-Macedonian border [Nicola Zolin/Al Jazeera]

Tirana, Albania. Sono arrivati a migliaia durante la notte vestendo abiti laceri, alcuni portavano bambini con sé. Sfidando temperature sotto zero si sono inerpicati a piedi sul sentiero nevoso e impervio delle montagne albanesi. Nel frattempo altri bambini sono morti sulle spiagge europee in seguito al capovolgimento di una nave che portava circa sessanta rifugiati e che si è scontrata con una nave italiana che cercava di non farla entrare nelle sue acque territoriali.
Simili notizie erano comuni durante gli anni ’90 quando decine di migliaia di rifugiati albanesi scappavano dal crollo del regime comunista del dittatore Enver Hoxha e dalla seguente situazione di caos nello Stato adriatico.
Oggi il panorama politico in Albania si è in qualche modo sistemato, ma a circa 100 km di distanza sul confine fra Grecia e Macedonia decine di migliaia di rifugiati prevalentemente siriani e iracheni continuano ad ammassarsi nei campi.
La recente chiusura della rotta balcanica e il montare della crisi umanitaria in Grecia sta portando molti a chiedersi se l’Albania vedrà a breve un flusso migratorio dirigersi attraverso il suo territorio, ravvivando scene di lotta sulla terra e sul mare in un’altra frontiera d’Europa.

Entrando in Albania attraverso la Grecia il terreno sembra ostile: montagne frastagliate, abissi improvvisi e fitte foreste si snodano lungo l’orizzonte e lungo la strada dei segnali mettono in guardia da orsi e lupi.
Alcuni osservatori come Vassilis Nitsiakos, un professore di Storia all’università di Ioannina, nella Grecia settentrionale, pensano però che il confine di 280 km sia penetrabile per coloro in possesso delle giuste informazioni.
“Io ho passato il confine illegalmente varie volte. Ci vado con i miei studenti” dice ridendo Nitsiakos. “Nella scorsa estate siamo arrivati in macchina in venti minuti fino al confine vicino a Konitsa, in Grecia e poi dopo due ore siamo arrivati in Albania.
È un sentiero storico, migliaia di migranti albanesi l’hanno usato e lo usano ancora, vengono a lavorare in Grecia di giorno e tornano poi al loro villaggio di notte. Non abbiamo visto poliziotti, non importa a nessuno. È un segreto di Pulcinella, le autorità tollerano“. Se i rifugiati lo conoscessero potrebbero percorrerlo. La domanda è, possono poi uscire dall’Albania?

Si continua a lavorare sui dettagli dell’accordo che lo scorso martedì è stato raggiunto fra Unione Europea e Grecia che prevederebbe il rientro in Turchia di tutti i rifugiati e i migranti che raggiungono le isole greche. Ora però non è immaginabile che le persone che in numero crescente si ammassano sul confine macedone si facciano portare via docilmente o possano rimanere in una sorta di limbo, lontane dallo loro destinazione desiderata nel nord Europa.

Ma anche se i rifugiati dovessero riuscire a entrare in Albania il paese riuscirebbe a garantire loro le infrastrutture necessarie per accoglierli?
Per Marie-Helene Verney, che ha accettato di parlare con Al Jazeera negli uffici dell’UNHCR a Tirana, la risposta è un netto “no”.
“Ci sono delle caserme militari sul confine meridionale; dicono che sono pronte per essere usate come alloggio, ma non è vero. Sono sotto organico e non hanno abbastanza risorse. C’è un vero punto di domanda. Immagina, ci sono migliaia di persone in Grecia e se guardi all’Albania la capacità di accoglienza è di poche centinaia”.

“E poi cosa accadrebbe? Il governo albanese è stato estremamente riluttante a impegnarsi pubblicamente in una qualunque forma di pianificazione perché “se ne parliamo ai media allora i rifugiati inizieranno ad arrivare”. Ma noi diciamo loro “arriveranno, che voi lo pianificate o no”.

Marie-Helene Verney from UNCHR indicates the possible migrants routes in Albania [Nicola Zolin/Al Jazeera]
Marie-Helene Verney from UNCHR indicates the possible migrants routes in Albania [Nicola Zolin/Al Jazeera]

“C’è l’umanità… poi c’è la legge”

A Karrec, situato alla fine di una strada ventosa e irregolare fuori dalla periferia di Tirana c’è l’unico centro di detenzione dell’Albania per i “migranti irregolari” e qui la piccola scala delle capacità di accoglienza del Paese appare evidente.
L’Albania ha un accordo di riammissione con la Grecia dove i migranti presi lungo il confine possono essere rimandati indietro dopo quattordici giorni. Ma quando Al Jazeera ha visitato la struttura questa era vuota. La sola prova di precedenti presenze sono alcuni abiti stesi su un filo e graffiti in arabo sul muro di una stanza di preghiera.
Seduto nel suo ufficio il direttore del centro Gezim Goci butta un occhio diffidente sulla televisione che trasmette sfocati filmati dei rifugiati sul confine macedone. La pioggia sferza la finestra e i tuoni scuotono la stanza. Goci inizia a ricordare e fa dei paragoni con i flussi migratori di oggi.

“La mia famiglia viene dall’Albania orientale. Durante la guerra del Kosovo nel 1999 lo Stato non funzionava così abbiamo aperto le nostre case ai nostri fratelli che stavano arrivando dall’altra parte del confine. E quando vedo questi giovani siriani soffro per loro” dice.
“Ma c’è l’umanità e poi c’è la legge. Al tempo della dittatura c’erano molte guardie armate e sorveglianza ai confini, ma questo serviva per evitare la nostra partenza!”

La storia della migrazione albanese

Dal 1941 fino alla sua morte nel 1985 l’Albania è stata comandata dal dittatore stalinista Enver Hoxha. La sua convinzione paranoica che delle potenze straniere avevano intenzione di invadere il paese ha fatto sì che l’Albania diventasse uno stato reietto, isolato dal resto del mondo, una Nord Corea dei Balcani.
Una delle eredità visibili della sua tirannia sono le centinaia di migliaia di bunker da lui ordinati e poi sparsi in tutto il Paese, dalla cima delle montagne alle spiagge e alle piazze del centro. Molti sono ancora in piedi, ma al giorno d’oggi gli albanesi preferiscono farli saltare in aria per prendere l’acciaio mentre le giovani coppie usano la loro protezione per creare situazioni romantiche.

L’Albania ha una storia di emigrazione multidimensionale.
Il brutale regime di Hoxha e il suo crollo hanno prodotto centinaia di migliaia di rifugiati.
Una seconda ondata è arrivata nel 1997 durante la transizione del Paese a una economia di mercato, nel momento in cui larghi strati della popolazione si trovarono poveri quasi dalla sera alla mattina dopo che i loro soldi erano spariti fra i meandri di schemi d’investimento truffaldini.
Si passò a sospettare del governo e ciò portò a dei tumulti che diventarono letali quando dei depositi di armi vennero saccheggiati e scontri fra polizia, opposizione e criminali armati che si erano impossessati delle città lasciarono sul terreno migliaia di morti.

Nonostante le successive riforme politiche e lo status di candidato a paese membro dell’Unione europea dell’Albania il paese ha, secondo la Banca Mondiale, ancora delle sacche di povertà e un PIL pro capite inferiore a $ 5.000.
Ironicamente queste condizioni hanno costretto decine di migliaia di albanesi a usare la via balcanica per raggiungere l’Europa del nord.

Nel 2015 gli albanesi sono stati secondi solo ai siriani per il numero di richieste di asilo depositate in Germania (54,762). Da allora Berlino ha definito l’Albania sicura e ha iniziato a mandare indietro i migranti.

Dall’aggravamento della crisi dei rifugiati in Europa nella scorsa estate una foto circola sui social network. Rappresenta una grande nave oscurata in parte da migliaia di corpi umani con delle persone che sono aggrappate alla parte superiore, altre che si spostano sulle corde che legano la nave al molo e altre che cadono persino in mare. Si dice che dovrebbe rappresentare sia i rifugiati siriani in Grecia nel 2015 sia gli europei che scappano dalla seconda guerra mondiale verso il Nord Africa. In realtà non mostra né l’una né l’altra cosa.
È una foto della famosa nave Vlora, piena di albanesi, che attracca nel porto italiano di Bari nel 1991.
In un giorno soleggiato di marzo 2016 il mare bagna gentilmente la spiaggia deserta di Zvernec, vicino alla città di Vlora. Fonti di polizia hanno detto ad Al Jazeera che negli scorsi due mesi due gommoni gonfiabili sono stati trovati nei paraggi, ma ciò non può portare a ipotesi sull’uso che si intende fare di loro.

Alba Cela, vice direttore dell’Istituto albanese per gli affari internazionali, un think-thank di Tirana, dice che l’Adriatico è stato per molto tempo un canale per portare droghe e sigarette in Italia. Ora la possibilità di trasportare umani potrebbe essere per i malviventi un’opportunità irresistibile.

“L’Albania si è impegnata molto nel combattere le barche che trafficano con l’Italia e abbiamo anche approvato delle leggi molto dure. Per esempio c’è stata una moratoria completa sui motoscafi per anni, non si poteva averne uno nemmeno per divertirsi.

“Ora se ci dovessero essere dei rifugiati bloccati qui ovviamente l’interesse del crimine organizzato per cercare di portarli in Italia verrebbe risvegliato. Sarebbe difficile, ma non impossibile. È una costa piccola, ma ci sono alcuni punti nascosti che sono difficili da controllare. Non potete escluderlo”.

L’attraversamento dalla costa albanese a quella della regione italiana della Puglia è di cinquanta chilometri, molto più della distanza che separa le isole greche dalla Turchia, che in alcuni punti è di appena quattro miglia, ma dove solo in quest’anno sono già morte quattrocento persone”.

Mountains over the city of Gjirokaster. The Albanian route would be difficult merely because of geography [Nicola Zolin/Al Jazeera]
Mountains over the city of Gjirokaster. The Albanian route would be difficult merely because of geography [Nicola Zolin/Al Jazeera]

“Ho paura del mare, ma sono disperata”

Hannah, ventuno anni, studentessa di Damasco, sta per iniziare la sua seconda settimana nel campo al confine con la Macedonia. Dopo aver sopportato un peggioramento delle condizioni nel campo ampiamente sovraffollato per sentirsi dire che la via è chiusa dice di star valutando nuove opzioni.
“Potrei provare la via albanese fino all’Italia. Ho paura del mare ma sono disperata. Farei qualunque cosa. Persino un altro viaggio della morte nel Mediterraneo”.
Secondo l’agenzia per i rifugiati dell’ONU, l’UNHCR, 9.295 rifugiati e migranti sono arrivati via mare in Italia durante il 2016, ma quasi tutti sono partiti dalle coste del nord Africa. I flussi di rifugiati sono spesso determinati dalla dimensione del sentiero tracciato da quelli che li hanno preceduti che nel caso dell’Albania è, finora, un numero minimo. Secondo le stime dell’UNHCR 1.400 migranti, in maggioranza siriani, sono entrati in Albania nel 2014; nel 2015 sono stati 2600.
Fra i molti rifugiati a cui abbiamo rivolto delle domande è diffusa la convinzione che l’Albania sia un’opzione pericolosa perché implica il ricorso a trafficanti senza scrupoli.

L’Imam

Gentjan Mara, l’imam della moschea Shtish-Tufine a Tirana ha visto il lato oscuro di questo pericoloso cammino.
Dopo aver vissuto per molti anni in Siria e dopo aver assistito all’inizio della rivoluzione del 2011 a Daraa, Mara è tornato in Albania, dove vive una piccola comunità siriana di circa trentacinque famiglie, con sua moglie siriana e con suo figlio.
L’anno scorso Amala una psicologa dell’infanzia di cinquantasei anni ha percorso la strada attraverso la Turchia e la Grecia dopo che diversi membri della sua famiglia erano stati uccisi in un attacco aereo a Daraa.
Al confine settentrionale della Grecia il suo viaggio per essere riunita con suo marito in Germania si è bloccato dopo che il trafficante che le stava mostrando la strada le ha chiesto più soldi. Al rifiuto di Amal il trafficante l’ha spinta in un burrone. Lei si è rotta entrambe le gambe.

Mara racconta la sua storia: “Ha strisciato in Albania attraverso la foresta per giorni, ma fortunatamente ha incontrato un pastore che ha chiesto aiuto. È stata portata in un ospedale per un intervento chirurgico e poi noi l’abbiamo ospitata come se fosse una di famiglia nella nostra casa per due mesi. È mia convinzione personale che, nonostante gli albanesi non abbiano molto da offrire, non ignoreranno queste persone”.
La sfortuna di Amal continua con i suoi sforzi falliti di raggiungere la Germania con metodi legale. Così si è rivolta nuovamente ai trafficanti. Sulla sua sedia a rotelle è stata portata fuori dall’Albania attraverso il Kosovo e poi su per la rotta balcanica fino ad arrivare, esausta, a Düsseldorf il mese scorso.

Nonostante l’anno scorso fosse sembrato non categoricamente contrario alla possibilità di accogliere rifugiati in Albania il primo ministro Edi Rama ha irrigidito la sua posizione a febbraio. Dicendo di essere stato influenzato dal comportamento di altri paesi europei ha detto ai media locali: “Non abbiamo né le condizioni né la forza né l’entusiasmo per salvare il mondo mentre altri chiudono i loro confini.”
Ma per Mara i rifugiati siriani che scappano dal sesto anno del tumultuoso conflitto sono destinati a trovare il loro santuario.

“Prima della guerra la Siria era un paese che ospitava molti rifugiati da tutto il mondo”, dice. “Ora Allah farà in modo che i Siriani siano benvenuti altrove”.

Refugees prevented from entering the camp of Idomeni, on the Greece-Macedonia border [Nicola Zolin/Al Jazeera]
Refugees prevented from entering the camp of Idomeni, on the Greece-Macedonia border [Nicola Zolin/Al Jazeera]