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Diritto di voto: un salto di civiltà a partire dai municipi

Intervista a Giuseppe Caccia, Assessore alle Politiche sociali del Comune di Venezia

E’ paradossale che un uomo politico di destra il cui nome sigla, in buona compagnia con il leader leghista Bossi, la più anacronistica e inumana tra le legislazioni dei paesi europei in materia di immigrazione si faccia promotore di questa discussione. Certo di spiegarmi.
L’assunto di fondo, concetto su cui tutto l’impianto normativo della legge Bossi-Fini si fonda, è l’idea che i migranti non possano che essere considerati come lavoratori ospiti, “gastarbeiter” com’era la definizione in voga negli anni 50’ e 60’ in Europa centrale, in Svizzera e in Germania: ovvero una presenza temporanea legata in maniera necessaria e strettissima alle contingenti esigenze del mercato del lavoro.

In realtà ragionare di diritto al voto per gli stranieri residenti significa ragionare di un vero e proprio salto di civiltà, ovvero sul passaggio dalla condizione di lavoratore ospite, di figura soggetta alle strette necessità del mercato del lavoro e dello sfruttamento della forza lavoro migrante all’interno dell’organizzazione sociale del lavoro, passare quindi da questo tipo di politiche a politiche che invece riconoscano i migranti come nuovi cittadini.

Credo che sia ormai evidente a tutti e paradossalmente anche ad uno degli estensori della Bossi-Fini che i fenomeni migratori sono in Europa così come nel resto del nord del mondo fenomeni strutturali e di lungo periodo che vanno a mutare in via pressoché definitiva il volto, la stessa struttura sociale delle popolazioni residenti in Europa.

Ora, se abbiamo di fronte un fenomeno che ha caratteristiche strutturali, di lungo periodo dobbiamo evidentemente anche attrezzare le politiche della cittadinanza in Europa intorno a queste caratteristiche del fenomeno.
Da questo punto di vista il passaggio al diritto all’elettorato attivo e passivo per i residenti non cittadini italiani, è un passaggio chiave: cioè toglie quel nesso strettissimo che deve legare i diritti economico-sociali, le condizioni materiali della cittadinanza quindi il diritto ad un lavoro dignitoso e tutelato, il diritto alla casa, il diritto all’assistenza sanitaria, il diritto all’integrazione scolastica della seconda generazione dei figli dei migranti, con i diritti civili e politici. Saldare dentro l’accesso alla sfera della cittadinanza nel senso più pieno del termine, la materialità dei diritti economico-sociali e la piena partecipazione alla vita politica delle comunità in cui i migranti sono inseriti.

Stiamo parlando ormai, e penso ad esempio alla città di Venezia, 270.000 abitanti, che dopo la sanatoria, saranno oltre 10.000 i cittadini stranieri regolarmente residenti nel territorio comunale, stiamo parlando di una presenza che contribuisce alle dinamiche produttive, quindi, all’arricchimento di questo territorio e che dal punto di vista delle scelte politico-amministrative, delle scelte di governo che riguardano questo territorio non conta assolutamente nulla.

Da questo punto di vista siamo di fronte ad un passaggio di svolta e a una svolta di civiltà.
Il riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo, quantomeno nel voto amministrativo è questo riconoscimento, è il riconoscimento del passaggio dei migranti da lavoratori ospiti a nuovi cittadini.
Che cosa c’è, inoltre, di strumentale nel modo in cui Fini pone la questione: c’è il rinvio alla dimensione e allo spazio politico nazionale. Nella discussione che dalla primavera scorsa è avviata all’interno della giunta che governa Venezia e della coalizione che la sostiene noi rivendichiamo con forza il diritto delle città di fare da sole in questa materia. In che senso? Le città e i comuni sono sulla “linea del fronte” nella gestione dei fenomeni migratori. E’ a carico dei comuni la capacità dei comuni stessi di sviluppare un rapporto di rete con il mondo associativo, sindacale, delle stesse comunità migranti, che il peso dell’accoglienza e dei processi di inserimento sociale dei migranti sta.
Come comuni noi rivendichiamo quindi il diritto a decidere, a partire dai nostri statuti, cioè quelle che sono le norme fondamentali, le costituzioni dei comuni, di poter decidere in questa materia.

E’ chiaro che non può essere e difficilmente sarà in questo periodo, in questa fase, particolarmente, una modifica delle costituzioni nazionali e della legislazione nazionale stessa ad assicurare il diritto all’elettorato attivo e passivo ai residenti non cittadini.

Noi rivendichiamo la possibilità di invertire questa tendenza, di imprimere questa svolta a partire da un’autonoma scelta di ciascun municipio, a partire da un intervento che vada a modificare ed assicurare questo diritto politico fondamentale a partire dai nostri statuti.
Siamo consapevoli che non sarà un percorso facile, né dal punto di vista giuridico, né dal punto di vista politico, ma siamo altrettanto consapevoli del fatto che è su questa scelta che si misurerà anche la serietà di alcune proposte che non possono e non devono rimanere gesti simbolici ma devono puntare ad una trasformazione sostanziale nelle condizioni di vita dei migranti e nel riconoscimento dei loro diritti all’interno di ciascun territorio.