Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Liberazione del 15 ottobre 2003

Voto ai migranti, una riflessione dal basso

Da tempo all'interno del movimento l'esperienza ha proposto soluzioni. Il caso di Genova insegna

Il diritto di voto ai migranti è balzato all’improvviso all’onore della cronaca. Si tratta di un tema di straordinaria rilevanza rispetto al quale non si può prendere posizione in base alle dichiarazioni di un politico di destra o ai desideri della Confindustria. Sorpreso e quasi sopraffatto dalla sparata di Fini è il centrosinistra che balbetta, scoprendo che le sue proposte sono simili a quelle del segretario di An. Non si può certo dimenticare che a questo stesso centrosinistra dobbiamo quella legge Turco-Napolitano che, debitamente emendata da Bossi e dallo stesso Fini, rappresenta oggi il testo unico che permette l’espulsione della forza lavoro migrante. Da tempo all’interno del movimento le esperienze pratiche e le richieste dei migranti hanno imposto il tema, proposto soluzioni. Il caso più eclatante è quello della città di Genova, nella quale il voto amministrativo per i migranti residenti sta diventando realtà. Di fronte a questo quadro vale la pena proporre alcune riflessioni. Non si tratta di discutere se dal punto di vista tecnico-giuridico sia o no possibile «riconoscere» o «concedere» il diritto di voto ai migranti o quale possa essere la modalità per risolvere positivamente la distinzione amministrativa tra regolari e irregolari, anche se bisogna ricordare che, in maniera tutt’altro che provocatoria, già ora c’è chi propone l’elezione di un «irregolare» a deputato o consigliere regionale. Stabilito che tutti e tutte devono avere la possibilità di incidere sui processi politici decisionali, si tratta di capire se la concessione del diritto di voto amministrativo sia davvero un passaggio rilevante o non racchiuda il pericolo di vedere rinchiusa in un registro vuoto la ricchezza di soggettività politica che i migranti oggi esprimono. I diritti dal canto loro non se la passano bene. Ogni nuova legge, ogni nuova direttiva europea, ogni nuovo accordo internazionale riduce e mortifica quelli che il movimento operaio e i movimenti sociali avevano conquistato in decenni di lotte. Vale la pena notare che tutti quelli che oggi appaiono come diritti negati non sono stati affermati come richieste universali, ma piuttosto come obiettivi di lotte politiche di lavoratori, donne, studenti. Oggi, al contrario, di fronte alla difficoltà di “portare a casa” qualche risultato concreto, ogni rivendicazione avviene nel linguaggio dei diritti, partendo evidentemente dal presupposto che esiste un soggetto universale o “globale” che vuole le stesse cose nello stesso modo. Vi è la rivendicazione di un diritto per ogni cosa negata: alla salute, alla casa, di cittadinanza, al lavoro. Il soggetto politico universale, con una concessione francamente eccessiva allo spirito dell’epoca, diviene così un “cittadino” che è sempre partecipe della “società globale” proprio perché gli vengono sempre più negate le possibilità di accedere ai “benefici” della produzione sociale. I migranti sarebbero il prototipo di questa “astratta” cittadinanza. Ciò che appare problematico in tutto questo dibattito sul diritto di voto ai migranti è che esso si svolge sotto il segno dei diversi che devono essere resi uguali. E’ sperabile che non ci sia l’illusione che, una volta concessa la possibilità di votare per il sindaco o il consigliere di circoscrizione, questo processo segnerebbe una tappa significativa. Ci credono poco gli italiani e non si vede perché dovrebbero crederci i migranti. A meno che con questa battaglia non si apra uno “spazio pubblico” di iniziative per modificare profondamente gli attuali sistemi di rappresentanza politica e istituzionale. Da alcuni anni nel movimento si sono fatte strada posizioni che muovono dal presupposto che i migranti esprimono una soggettività autonoma potenzialmente in grado di mettere in discussione tanto le forme di appartenenza istituzionalizzate, quanto le pratiche politiche e organizzative della nostra tradizione. Il diritto di voto ai migranti, invece, quando non viene vincolato al possesso della carta di soggiorno, viene legato alla residenza, sottovalutando che i migranti, mobili e transnazionali, hanno come loro caratteristica il non risiedere in un luogo determinato. E’ innegabile che determinate prestazioni, per esempio quelle del welfare, possono essere godute solo in luoghi determinati, ma visto che ciò non è più vero per noi italiani, perché il diritto di voto dovrebbe realizzarlo per i migranti?

Ancora meno convincente appare l’argomento che si tratterebbe di una battaglia di civiltà. Bisognerebbe essere certi che esiste una civiltà comune che si esprime nel voto, come pure del fatto che non sia proprio quella stessa civiltà a tenere in una condizione di minorità politica i migranti. Ancora meno realistico pare poi sostenere che il voto ai migranti segnerebbe una sorta di tappa nella costruzione di una cittadinanza universale. A parte che non si capisce di quale Stato sarebbero cittadini questi cittadini universali, si deve probabilmente rilevare che ogni discorso sull’universalismo che non prenda le mosse dalle differenze dei soggetti realmente esistenti porta in sé le tracce di una silenziosa normalizzazione. Nelle condizioni oggi esistenti universalismo significa: uguali nei diritti negati e nello sfruttamento. Non va dimenticato che l’attuale proposta di legge sulle pensioni è stata anticipata dalla legge Bossi-Fini-Berlusconi che nega ai migranti che decidono di abbandonare l’Italia la possibilità di ritirare i contributi versati fino ai 65 anni. L’imposizione di queste “condizioni di uguaglianza” permette di pensare percorsi comuni di lotta già a partire dal prossimo sciopero generale del 24 ottobre. Non vogliamo certo negare ai migranti il diritto di voto. Sarà una battaglia che faremo sino in fondo. Non vorremmo però che alla fine si rischi di consegnare loro un diritto vuoto e inutilizzabile. Un diritto che serve a controllare e integrare una parte della forza lavoro migrante, lasciando la quota eccedente di lavoro vivo nella terra di nessuno dell’irregolarità e dello sfruttamento.

Felice Mometti
Maurizio Ricciardi
Tavolo Nazionale Migranti dei Social Forum