Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Liberazione del 27 dicembre 2003

A Trapani, contro la guerra per i diritti

Sono segregati sull’isola di Nauru, nel Pacifico meridionale, 280 adulti e 93 bambini afgani: chiedono diritto di asilo, in attesa che la situazione nel loro paese diventi “normale”, ma l’Australia lo ha loro negato. Per questo 41 di loro stanno in sciopero della fame e della sete da due settimane e 18 sono già stati ricoverati, ma tutti sono determinati a continuare “fino alla morte”. Tutti sanno quale sia la situazione in Afganistan, lo stato di guerra e di miseria, ma il governo australiano giura che non cederà al ricatto, che applicherà la legge sull’immigrazione.
Una legge, è facile immaginare, pensata solo per respingere, per escludere, per impedire l’ingresso agli stranieri.
In Australia, come in Europa, la regola è una sola: fortificare, alzare barriere, chiudere le frontiere. Non importa quale sia il prezzo che si paga sul piano delle sofferenze, delle violenze, delle morti. Dall’Asia, come dall’Africa, ogni giorno sono migliaia le persone che partono per cercare cibo e lavoro in paesi lontani: attraversano confini e posti di controllo, presso ognuno dei quali devono versare una tangente. Se non si paga ci sono torture, razzie e pestaggi: un traffico che rappresenta un grande affare per poliziotti e soldati di diversi eserciti, e che lascia sul percorso migliaia di disperati distrutti dalla fame, dal gelo o dal caldo torrido, o inghiottiti dai mari.

Il calvario di queste donne e di questi uomini è cosa nota, ci sono decine di reportage che lo documentano, ma i governi non lo vogliono vedere. Le loro facce vengono occultate, le sofferenze e i dolori cancellati, le loro vite imprigionate in qualche isola o nei cosiddetti centri di permanenza temporanea; le loro storie non ci sono più e anche i nomi non contano: sono tutti clandestini.

Ecco la categoria magica che mette a posto le coscienze: non c’è posto per loro, perché i flussi migratori, i numeri chiusi stabiliti non lo permettono. In fondo le nostre leggi parlano chiaro: se il mercato è saturo, si chiude, e quelli sono clandestini.

Non c’è nulla da capire, nessuno da compatire, sono solo clandestini. E se qualcuno riesce a superare il viaggio, gli incidenti, il deserto, le sevizie, le fatiche, le ruberie, i blocchi alle frontiere e il mare, lo aspetta un provvedimento di espulsione amministrativa. In attesa di imbarcarlo, lo imprigioniamo in un’isola del Pacifico o in un Cpt in Europa.

E’ in uno di questi, al “Serraino Vulpitta” di Trapani che il 28 dicembre di quattro anni fa morirono sei giovani immigrati maghrebini in seguito a un incendio divampato in una delle celle.

Nonostante l’immediata reazione degli antirazzisti siciliani per chiudere i centri dell’isola e le lotte organizzate da associazioni, sindacati, esponenti politici e da migliaia di giovani, i Cpt continuano ad essere lo strumento privilegiato da parte dei governi per reprimere e annientare la libertà di movimento e il desiderio di donne e uomini di vivere con dignità la propria vita.

I Cpt rappresentano ormai una delle più grandi vergogne della nostra civiltà giuridica: carceri illegali per chi non ha commesso reati, ma ha solo il torto di esistere; luoghi di segregazione e di ingiustizie in cui ogni giorno qualcuno si fa del male per tentare di far sentire la propria protesta. Ma queste urla vengono assorbite dal muro di gomma dell’ipocrisia che circonda il nostro vivere quotidiano. In fondo, la demagogia natalizia delle famiglie carosello può permettersi di non vedere tutte le famiglie spezzate, i ricongiungimenti negati; può persino rimuovere le storie di chi ci assiste nelle case addobbate, nelle tavole imbandite. D’altra parte, molte parole e un po’ di finte lacrime si sono già sprecate nelle istituzioni, in occasione dei naufragi di Lampedusa.

Perciò, il 28 dicembre saremo a Trapani per protestare contro tutte le reclusioni, contro tutti i centri di detenzione della fortezza Europa, per affermare il diritto di essere cittadini del mondo.

La battuta d’arresto della conferenza intergovernativa sulla Costituzione europea apre nuovi spazi per una idea della cittadinanza fondata sul principio dell’abitare, che garantisca diritti sociali e civili universali a tutte e tutti, come diritti immediatamente esigibili.

Così i diritti dei lavoratori migranti si saldano alle lotte per i contratti degli autoferrotranvieri, dei metalmeccanici, dei vigili del fuoco; alle proteste contro il carovita e contro ogni forma di precarietà; alle lotte per la casa e per gli aumenti salariali.

Ricorderemo i morti dell’incendio dei Trapani per parlare dei morti in Palestina, in Iraq.

Sarà una mobilitazione contro tutte le guerre e per le libertà di ognuna e ognuno, dalla Sicilia alle isole del Pacifico.