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da Il Manifesto del 24 gennaio 2004

Alla sbarra il pestaggio al Cpt di Lecce di Ornella Bellucci

Lecce – E processo sia. E’ stata un’udienza veloce, di rito, quella che ieri ha portato il gup Enzo Taurino ad accogliere la richiesta dei pm Carolina Elia e Giuseppe Vignola di rinviare a giudizio i gestori del Cpt «Regina Pacis» di San Foca (Lecce) per i presunti abusi e pestaggi che 17 maghrebini, trattenuti nel centro fino al dicembre 2002, hanno denunciato di aver subito dopo il tentativo di fuga del 22 novembre dello stesso anno. La prima udienza è fissata per il 13 maggio. Lesioni personali, abuso di mezzi di correzione, omissioni di intervento per impedire i maltrattamenti e falso: questi i capi di imputazione contestati a don Cesare Lodeserto, direttore del centro nonché segretario di Cosmo Francesco Ruppi, vescovo di Lecce, a sette membri della onlus che controlla il Cpt (tra cui due medici assegnati all’infermeria, accusati di falso ideologico) e a undici carabinieri dell’Undicesimo Battaglione Puglia che in quel periodo prestavano servizio nella struttura incriminata.

A nulla è valso il tentativo della difesa della potente curia leccese e del suo entourage di appellarsi al «non luogo a procedere». Mossa, questa dei difensori, prevedibile e in linea con l’ostinata desistenza degli indagati di produrre prove a discapito. Pesanti, invece, le testimonianze fornite dai giovani maghrebini, titolari di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia fino a conclusione del processo.

Sono stati loro, con l’aiuto del Lecce social forum e dei parlamentari Mauro Bulgarelli, Nichi Vendola, Giovanni Russo Spena, Alba Sasso, Graziella Mascia e Gigi Malabarba, a denunciare la «poco timorata» gestione del centro. Ma più delle interrogazioni e delle interpellanze da mesi all’attenzione del ministero dell’interno, sono state appunto le testimonianze di Montassar, Zarzuk e altri immigrati a spingere la procura a far luce sui fatti avvenuti nel «Regina Pacis» poco più di un anno fa.

«Ci hanno presi a calci, pugni, sputi e manganellate. E durante il Ramadan ci hanno costretti a ingoiare carne di maiale», raccontano gli immigrati nordafricani agli inquirenti che, durante gli interrogatori, ravvisarono sui loro corpi «evidenti segni di percosse». Furono «puniti», si legge nel fascicolo dell’inchiesta, per «un tentativo di fuga», «oltraggiati in spregio alle loro convinzioni religiose».

Tra gli immigrati che quel 22 novembre tentarono la fuga denunciando poi gli abusi subiti, c’è anche chi è stato ammanettato e denudato in cortile perché la sua punizione potesse essere d’esempio agli altri; tra loro c’è anche chi, ferito, non ha ricevuto le cure mediche necessarie né nel centro né in ospedale.

Per Marcello Petrelli, difensore dei maghrebini, l’apertura del processo è «un risultato scontato». «Gli elementi a favore dell’accusa sono schiaccianti», spiega, «nulla avrebbe potuto portare al proscioglimento degli indagati». Soddisfatti gli aderenti al Lecce social forum che hanno assistito i giovani immigrati fin dal loro rilascio dal Cpt. «Dopo un anno di resistenza finalmente otteniamo un risultato», dice Luca Ruberti del Forum pugliese. «Questa vicenda», aggiunge, «apre uno spiraglio di diritto e di cittadinanza per tutti i migranti detenuti nei centri di permanenza temporanea».

«Una grande vittoria», dichiara il deputato verde Bulgarelli chiedendo la chiusura della struttura sotto accusa. «Questi rinvii a giudizio – continua – dimostrano come la privatizzazione della detenzione dei migranti sfugga ad ogni genere di controllo. Le accuse ai neoimputati sono gravissime, pestaggi e varie violenze, lesioni fisiche, abusi, torture quali mezzi di correzione, omissioni di intervento ecc… Questo primo risultato (il rinvio a giudizio) è il frutto di indagini coraggiose che hanno fatto seguito a numerose denunce e a vere e proprie mobilitazioni popolari a sostegno degli immigrati. Ma quel che sta emergendo – per il deputato dei Verdi – non è che la punta di un iceberg. Giovanardi, che ha recentemente avuto il coraggio di dire che i centri di permanenza temporanea sono meglio degli ospedali, e i suoi colleghi che magnificano questi luoghi di segregazione e promuovono la loro moltiplicazione inaugurando nuovi centri dovrebbero rifletterci sopra».

E gli accusati? Dopo la notizia del rinvio a giudizio, il stesso direttore del centro, don Cesare Lodeserto, rompe il silenzio e si difende: «La verità verrà a galla – spiega il parroco – Il rinvio a giudizio è un fatto normalissimo e per noi anzi rappresenta un’opportunità per dimostrare nel corso del processo come si svolsero veramente i fatti ed esibire le prove che abbiamo, visto che finora nessuno ci ha ascoltato. Don Cesare si dice insomma sereno più di prima. Forse anche grazie alla scorta che il ministero dell’interno ha accordato a lui e al vescovo, ritenuti «obiettivi sensibili» dopo un presunto attentato incendiario compiuto nel giugno dello scorso anno ai danni della cattedrale di Lecce.

Intanto l’attività del «Regina Pacis» prosegue indisturbata: la convenzione per la gestione privata della struttura è stata rinnovata, gli immigrati continuano ad essere trattenuti sotto il controllo delle forze di polizia, e c’è ancora chi, confondendo le acque, continua a definirlo «centro di accoglienza».