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tratto dal sito http://www.erroneo.org

Salinagrande (TP): il lager dolce

In occasione della due giorni di manifestazioni a Trapani (27 e 28 Dicembre 2003) per chiedere la chiusura dei lager (alias Centri di Permanenza Temporanea), è stata organizzata una delegazione per “visitare” uno dei due CPT di Trapani, quello di Salinagrande.

Foto e Testi di Luca Gelardi

Il CPT di Salinagrande, sito nell’omonima frazione di Trapani, è stato inaugurato a Luglio 2003 e subito presentato come uno dei Centri di Permanenza Temporanea più all’avanguardia e più “a misura d’immigrato”. Lodato da varie parti politiche, in occasione della manifestazione a Trapani del 27 e 28 Dicembre 2003, è stato permesso ad una delegazione di 15 persone di entrare dentro il centro, scortati da circa 30 agenti delle forze dell’ordine, per “visitare” i locali e constatare la dolcezza di questo lager.

La prima sorpresa è che il CPT è vuoto: motivazione ufficiale è che dal 21 Dicembre non ci sono più sbarchi e quindi “non c’è più merce per far funzionare il centro” (parole testuali di un agente di Polizia). Strano andare poi a constatare che proprio in quei giorni altri sbarchi di disperati stavano avvenendo…

Entrati dentro il cortile del CPT, lo spettacolo che si presenta è quello di una struttura comunque ridotta male, a detta dei gestori un’alluvione di poche settimane prima aveva allagato il centro e costretto al trasferimento degli immigrati allora presenti (dove e come non si sa). Anche qui è strano pensare come una struttura nuova adibita alla detenzione di persone non sia attrezzata per salvaguardarne l’incolumità in caso di calamità naturali di lieve entità.

La palazzina principale del CPT è costituita da lunghi e angusti corridoi su cui si aprono le porte delle varie “stanze”, spazi di circa 20 metri quadrati in cui è previsto l’alloggio di 5 persone.
Subito balzano agli occhi alcuni particolari della struttura, che nonostante la sua giovane età, si presenta sostanzialmente fatiscente (alla faccia del gioiello dei CPT).

Tra i vari particolari si notano maniglie rotte, tra cui alcuni maniglioni antipanico delle porte in acciaio che separano i corridoi dei vari piani dal vano scale. Tutto ciò di fatto renderebbe difficile se non impossibile l’evacuazione in caso di incendio o altra emergenza (la spiegazione ufficiale è stata che la presenza dentro il centro di bambini “difficili” ha richiesto la rimozione dei maniglioni).

Il lager dolce esprime tutta la sua gentilezza nelle finestre tutte sbarrate con un doppio strato di rete metallica e sbarre in acciaio, nonchè porte blindate dotate di doppie serrature e cancelli chiusi con grossi lucchetti che impediscono la circolazione degli immigrati tra i vari locali del CPT.

Lungo i corridoi di ogni piano delle porte blindate con doppia serratura (di cui all’inizio della visita non si trovavano le chiavi) e intelaiatura in acciaio saldato nascondono in realtà (ma qual’è poi la realtà?) un… ripostiglio per materassi nuovi.

E pensare che la doppia serratura, la porta blindata, lo spioncino centrale, il telaio in acciaio e l’allarme antincendio dedicato facevano tutto pensare ad una cella di isolamento… ma è chiaro che in un dolce albergo per immigrati non avrebbe senso tenere delle celle di isolamento (no?).

Il “giro turistico” è poi proseguito con la visita della mensa, del magazzino e della palestra, dai tetti devastati (ma chi fa le ispezioni nei CPT?) e costruiti in un materiale apparentemente simile all’eternit (ma è solo un’impressione(?), come ci conferma uno dei gestori del centro).

Inizialmente la presenza di una palestra ci fa ingenuamente pensare che si tratti di un posto di svago per dare un minimo di distrazione agli extracomunitari, o comunque un luogo di aggregazione, visto che tra tutte le strutture presenti nel CPT la palestra è l’unico locale al chiuso tanto ampio da poter contenere tutta la popolazione di detenuti.

Invece, come si poteva prevedere dai materassi di gommapiuma ammassati agli angoli del locale, la palestra serve come centro di smistamento per gli immigrati appena giunti, che vengono qui ammucchiati in attesa di essere identificati e spostati nelle stanze.

Se questo trasferimento avvenga sempre e in che modo nessuno ce lo ha spiegato, ma le eccezionali misure di sicurezza del locale della palestra (tutte porte blindate con doppia serrature, finestre con doppie sbarre) e l’usura delle strutture ci fanno pensare che qui molte persone abbiano passato molto tempo.

In conclusione è chiaro che nessun CPT può essere definito una struttura dolce di accoglienza, perchè sbarre e cancelli rendono le persone comunque detenuti, perchè lo spazio vitale per gente che ha sofferto non può essere di cinque persone in venti metri quadrati, perchè restare 30 giorni in un CPT sapendo di rischiare il rimpatrio in un posto da cui si è fuggiti sarebbe dura per tutti, perchè non ha senso mostrare tutta questa forza nei confronti di gente inerme, perchè la dignità di un uomo o di una donna va ben oltre le barriere razziali. Perchè forse l’Italia dovrebbe guardarsi in faccia e interrogarsi sull’effettiva utilità di questi carceri per disperati…