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Appello di Alessandro Dal Lago contro il CPT a Genova

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Ci sono decisioni politiche o misure istituzionali che, pur essendo a tutti gli effetti legali, non possono essere considerate né giuste né legittime. Questo è il caso dei Centri di permanenza temporanea , strutture di detenzione per stranieri sospetti o privi di permesso di soggiorno istituite nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e confermate dalla recente legge Bossi-Fini. La differenza tra le due leggi è che il periodo massimo di detenzione è passato da un mese a due mesi.
I Cpt sono soggetti al’autorità del Ministero degli interni e sottratti di fatto alla giurisdizione ordinaria. In linea di principio, la legge consente il ricorso contro la detenzione, ma in grandissima parte i ricorsi sono inefficaci, perché, alla fine della detenzione, gli stranieri sono già stati espulsi e nell’impossibilità di far valere il loro diritto. Inoltre, il periodo di “permanenza” è ben superiore ai due mesi. Infatti, si deve aggiungere il tempo in cui gli stranieri, per esempio quelli approdati sulle coste siciliane e pugliesi, sono trattenuti presso centri di emergenza allestiti nelle zone di sbarco, questure e altre strutture di sicurezza.
Per periodi che possono giungere a tre mesi e oltre, gli stranieri – per il solo fatto di essere tali, e quindi senza essere responsabili di particolari reati – sono trattenuti in spazi recintati e segreti. Ciò ha dà luogo ad abusi, violenze e proteste spesso sedate con estrema brutalità. Nnel 1998 alcuni stranieri sono morti nei Cpt siciliani. Recentemente, è stato rivelato che in altri centri si somministravano sedativi e psicofarmaci per ‘tranquillizzare’ gli internati.
Ma chi sono solitamente gli “ospiti” dei centri? In maggioranza, stranieri privi di permesso di soggiorno, non solo nuovi o “clandestini”, ma anche lavoratori che hanno visto scadere o non rinnovare il proprio permesso, per qualsiasi motivo (licenziamento, atto amministrativo, denuncia, ecc.) E poi donne rastrellate per le strade, minori privi di dimora, persone che sone incappate in controlli o posti di blocco. Unico “giudice” della loro sorte è l’autorità di pubblica sicurezza.
I Cpt sono dunque, per definizione, spazi in cui il diritto è sospeso, veri e propri strappi della legalità democratica. Inoltre, sono ponti verso un destino sconosciuto, verso il rimpatrio in paesi in cui i diritti umani sono violati o negoziati in cambio di qualche milione di euro. Paesi come la Tunisia, il Marocco o la Libia accettano normalmente denaro per riprendersi i propri o altri clandestini. Ma nessuno sa che fine fanno. Come nessuno sa che fine abbiano fatto le donne nigeriane rastrellate, internate e poi espulse dal 2001 in poi grazie alla solerzia del questore di Genova.

I Cpt non risolvono alcun problema di sicurezza. Sono invece luoghi di arbitrio, violenza e sofferenza. Chiunque abbia a cuore i diritti umani e la giustizia deve opporsi alla loro istituzione. Accettando che un Cpt sia costruito sul proprio territorio, la città di Genova rinuncerebbe alla sua tradizione democratica di apertura e tolleranza. Non possiamo permettere che, dopo gli arbitri del 2001, dopo la scuola Diaz e i fatti di Bolzaneto, la dignità umana sia ancora violata nella nostra città. Diciamo NO al Cpt di Genova.

Alessandro Dal Lago