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da Il Corriere della Sera del 10 luglio 2004

La nave dei profughi rifiutati

PORTO EMPEDOCLE (Agrigento) – C’è un braccio di ferro che impegna una Organizzazione non governativa e due governi, quello italiano e quello tedesco, e che sta stritolando la vita di 37 persone in fuga dall’Africa. Trentasette profughi che vivono nella stiva di una nave da quasi tre settimane.
Fino a quando quella nave non attraccherà non sarà possibile chiarire i punti oscuri di questa vicenda, ma i trentasette uomini ripescati in mare venti giorni fa non possono più aspettare. Per questo ieri le Nazioni Unite hanno chiesto di trovare in fretta una soluzione.

L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha diffuso una nota da Ginevra: «Siamo preoccupati per la sorte dei 37 naufraghi – dice il comunicato -. Chiediamo a tutte le parti coinvolte di compiere uno sforzo per trovare al più presto una soluzione». Poi l’ufficio Onu prospetta una via d’uscita possibile: «Concediamo ai naufraghi di sbarcare al più presto per motivi umanitari e poi procediamo alla soluzione delle controversie relative all’azione della Cap Anamur e allo Stato responsabile». Il caso è complicato, chiama in causa le leggi marittime e quelle sull’asilo. Ma più passa il tempo e più diventa insostenibile la situazione degli uomini a bordo della Cap Anamur. I mediatori cercano di stringere i tempi. Ieri sera il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) ha comunicato al Viminale che a bordo della nave tedesca si è trovato un accordo per consentire ai profughi di scendere a terra. «I trentasette uomini che da quasi tre settimane vivono nella stiva della Cap Anamur – spiega il direttore del Cir, Christopher Hein – hanno deciso di chiedere protezione internazionale, e cioè asilo. Presso la sola autorità che hanno a disposizione: il comandante della Cap Anamur.

La nave è tedesca e in questo momento secondo il diritto internazionale è da considerarsi territorio tedesco. Quindi il comandante Stefan Scmidt dovrà inoltrare le richieste d’asilo all’ufficio federale tedesco competente». Questo, secondo Hein, potrebbe indurre il governo italiano ad accogliere provvisoriamente i naufraghi. E ieri anche il sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver ha parlato della possibilità di una «accoglienza temporanea sulle nostre frontiere per motivi umanitari».

La Cap Anamur, che appartiene a una organizzazione non governativa tedesca con sede a Colonia, ha raccolto i naufraghi il 20 giugno. In quel momento la nave si trovava 100 miglia a Sud di Lampedusa e 180 miglia a Nord di Malta. Secondo le autorità italiane e maltesi il comandante non ha avvisato le capitanerie di porto del salvataggio. Poi la nave è rimasta in mare per qualche giorno, ha intercettato un’altra imbarcazione in difficoltà, con undici somali a bordo, e l’ha scortata fino a Malta, dove dicono di non avere avuto notizie di profughi a bordo della nave tedesca. A questo punto la Cap Anamur ha ripreso il largo e si è diretta verso le nostre coste. Esistono almeno due versioni di quello che è successo una volta in vista dell’Italia.
Il diario di bordo del comandante Schmidt, pubblicato dal quotidiano online Peacereporter , dice: «30 giugno 2004 – Ci viene indicato Luigi Tagliavia (di Palermo) come agente navale a Porto Empedocle, dove non si trova nessun agente locale. A Tagliavia viene spedita via email una lista dei 37 naufraghi e dell’equipaggio».

E prosegue: «01 luglio 2004 – Arrivo a 12 miglia navali da Porto Empedocle alle ore 10.00. Contattato il pilota, che dopo aver chiamato il centro di controllo di Porto Empedocle, conferma che ci è stato dato il permesso di entrare. Chiamata via radio della Guardia Costiera. Negato il permesso di entrare in acque italiane». La ricostruzione del comandante della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle, Giuseppe Rando, è differente. Il primo contatto, racconta Rando, risale alla notte del 30 giugno. E’ lui a parlare via radio con la Cap Anamur. «Erano circa le 23 – ricorda -. Mi hanno detto di essere 40 miglia a Est di Lampedusa. Gli ho offerto di muovere delle vedette della Guardia Costiera per raccogliere i 37 immigrati (gli agenti navali italiani avevano avvisato via fax le autorità della presenza di naufraghi ndr ). Ma loro hanno rifiutato, dicendo che avrebbero navigato verso Porto Empedocle». La mattina dopo, al largo di Porto Empedocle, la Cap Anamur ha chiesto il permesso di entrare nelle nostre acque territoriali. La Capitaneria di porto lo ha prima accordato e pochi minuti dopo, su indicazione del Viminale, lo ha negato.

Da allora la nave è al largo della Sicilia ed è diventata un caso politico. I sindaci di 37 comuni italiani, compreso quello di Roma, Walter Veltroni, hanno detto di essere disposti ad accogliere i profughi. Si sono mosse le Ong e le associazioni laiche a cattoliche. Legambiente ha dirottato una delle sue golette verdi per portare solidarietà e aiuti. Si sono mosse l’Arci, Rifondazione, Attac. C’è chi ha portato medicine e chi ha portato angurie. Emergency ha predisposto un piano di evacuazione sanitaria della nave. A bordo è arrivato un avvocato, Salvatore Filippini La Rosa. E anche un medico dell’Arci, che ha diagnosticato una sospetta appendicite a uno dei profughi, e che aveva anche ottenuto dal prefetto di Agrigento l’autorizzazione a trasportarlo a terra per perfezionare la diagnosi. Ma si è scontrato con il responsabile della Ong a bordo, Elias Bierdel, che non ha voluto saperne. In questo clima si è svolta la trattativa con le autorità italiane, che però, fino a ieri sera, non ha portato a nulla. Il Viminale, per non creare un precedente e per i tanti punti poco chiari della vicenda, non ha mai autorizzato l’attracco.