Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Permesso di soggiorno per studio: è compatibile un contratto di lavoro atipico?

Questi contratti atipici sono contratti di lavoro subordinato a tutti gli effetti, con l’unica differenza che sono contratti che hanno delle caratteristiche particolari quali la maggiore flessibilità d’utilizzo o la possibilità di impiego presso soggetti diversi, come nel caso del lavoro interinale o del contratto di somministrazione, con le sole eccezioni del contratto di collaborazione a progetto e del contratto di associazione in partecipazione (quest’ultimo è già disciplinato dal Codice Civile ed è stato soltanto oggetto di alcune specificazioni da parte della c.d. “Legge Biagi”), che vengono qualificati giuridicamente come contratti di lavoro autonomo. Di conseguenza, poiché è riconosciuta ai cittadini extracomunitari titolari di un permesso di soggiorno per studio la possibilità di svolgere attività di lavoro subordinato, non esiste alcuna limitazione nemmeno per quanto riguarda la possibilità di valido utilizzo dei cosiddetti contratti di lavoro atipico.
L’unico limite che pone la legge per gli studenti, o meglio per chi è in possesso di un permesso di soggiorno per studio, è quello di non poter lavorare per più di 1.040 ore annue. Si tratta di un tetto orario che corrisponde ad un’attività lavorativa di mezza giornata durante tutto l’arco dell’anno, oppure, comunque, al cosiddetto part-time verticale, che si ha, per esempio, lavorando tre giorni alla settimana tutto il giorno, non lavorando gli altri tre giorni, oppure lavorando solo alcuni mesi durante l’anno. L’importante, giova ripeterlo, è che sia rispettato il tetto massimo delle 1.040 ore.

L’interessato di cui al quesito ci chiede se è possibile convertire il permesso di soggiorno per motivi di studio in permesso di soggiorno per motivi famigliari, precisando che la questura competente per territorio dice che “non è possibile effettuare la conversione finché non arriverà il permesso definitivo” ovvero, in altre parole, che bisogna prima aspettare che venga rilasciato il permesso di soggiorno per studio rinnovato, e solo poi potrà essere presentata la domanda di conversione. In realtà se già esistono i requisiti per la conversione del soggiorno per motivi familiari, non vedo alcuna ragione per cui non potrebbe essere presa immediatamente in esame la domanda di conversione. Una cittadina giapponese sposata con un cittadino italiano ha diritto, quantomeno, ad essere trattata come un cittadino comunitario e, quindi, ha il diritto pacifico a soggiornare in Italia e a svolgere qualsiasi attività lavorativa, sia di tipo subordinato che autonomo.
Non sarebbe peraltro necessaria un’autorizzazione della Questura perché questo diritto discende direttamente dalla legge e dalle norme di diritto comunitario, sicché è chiaro che l’eventuale datore di lavoro non rischierebbe comunque di essere condannato per avere occupato alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario privo di permesso di soggiorno idoneo allo svolgimento di un’attività lavorativa a tempo pieno (art.22, comma 12 del T.U.).

Anche in questo caso, ci viene chiesto se un contratto di lavoro atipico è compatibile con il permesso di soggiorno per studio, si pensi ad un’ipotesi di contratto di collaborazione a progetto o a un lavoro di tipo interinale. Il contratto a progetto è una forma di contratto autonomo, mentre, invece, il cosiddetto lavoro interinale altro non è che un lavoro subordinato costituito da tanti micro-contratti di lavoro di durata brevissima, che possono essere stipulati validamente da parte delle apposite agenzie di lavoro interinale, autorizzate a questo scopo. Nel caso specifico, l’interessata avrebbe diritto di svolgere sia un’attività di lavoro subordinato di qualsiasi tipo, comprese appunto le attività di lavoro interinale, sia un’attività di lavoro autonomo, poiché, appunto, è coniuge di un cittadino comunitario con la conseguenza che potrebbe far valere questo diritto non solo in Italia, ma in qualsiasi altro paese dell’Unione europea (si vedano tra gli altri il regolamento 1612/68 e la direttiva 360/68).

Il quesito che si pone, ulteriormente, l’interessato è se sia possibile lavorare con la sola ricevuta di presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno rilasciata dalla Questura, ossia se ci possono essere delle conseguenze (delle sanzioni), nel caso in cui questa persona, dopo sette mesi di attesa e non potendo più attendere ulteriormente, vada subito a lavorare.
Durante la fase di rinnovo del permesso di soggiorno è possibile proseguire un rapporto di lavoro già in corso, come pure è possibile costituire un nuovo rapporto di lavoro, senza che ciò possa esporre il datore di lavoro o il lavoratore stesso a rischio di sanzione alcuna; ciò perchè si tratta di un’attività perfettamente lecita riconosciuta dalla legge (tra l’altro, la legge Bossi-Fini ha modificato l’art. 22, comma 12 del T.U. sull’Immigrazione, chiarendo che non è addebitabile al datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze un lavoratore il cui permesso sia scaduto, alcuna conseguenza penale, purchè lo straniero abbia chiesto il rinnovo nei termini di legge).
Nel caso specifico, ribadisco che si tratta di una cittadina che deve essere equiparata a una cittadina comunitaria e che, quindi, non dovrebbe aver bisogno di autorizzazione alcuna.
Direi quindi che questa persona può senz’altro andare a lavorare anche nell’attesa del rinnovo del permesso di soggiorno e che, quindi, può anche correre il rischio che ciò non venga accettato e condiviso da parte della locale questura o, forse e più facilmente, dal singolo operatore che probabilmente non ha ben chiari i termini della situazione.
Se la questura ritiene che ciò sia illecito, non farà altro che denunciare il fatto all’autorità giudiziaria e promuovere un accertamento. Certo, questo non è piacevole per nessuno trattandosi di lavoro in più per la questura, e di una grande perdita di tempo e di denaro (indirettamente anche di salute) per l’interessato perché la difesa costa. Sinceramente però non mi pare che ci sia questo rischio, perché in questo caso ci troviamo in una pacifica situazione di rinnovo del permesso di soggiorno da parte di una persona che avendo il diritto di lavorare prima, quando il pds era in corso di validità, lo conserva anche adesso nella fase di rinnovo. In altre parole non espone né se stessa, né il datore di lavoro ad alcun rischio effettivo, ma solo ad eventuali discussioni che si potranno avere presso lo sportello con gli operatori della locale questura.