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da Il Corriere della Sera del 1 dicembre 2004

Filippina in coma. Niente visto ai figli

Rischio migratorio. Niente figli al capezzale. Neanche se sei moribondo. E neanche se si muovono un ambasciatore e il sindaco. È la vicenda che si svolge, surreale, intorno a una filippina emigrata vent’anni fa in Italia per fare la donna delle pulizie e che dopo vent’anni di lavoro viene colpita un brutto giorno da un’emorragia cerebrale che la fa stramazzare al suolo mentre è impegnata nel coro della sua confessione religiosa, la Chiesa di Cristo.

A sollevare il caso di Aurea Morales Dimaranan è la consigliera comunale aggiunta Irma P. Tobias. «Io non conosco Aurea – ha scritto la consigliera, una dei quattro eletti dalla comunità straniera a Roma nella scorsa primavera -. So soltanto che come me è filippina e che è partita tanti anni fa per venire a lavorare con regolare permesso in Italia e ha dedicato la sua vita al mantenimento dei propri figli». «Succede che una mattina sia colpita da emorragia cerebrale – continua Irma Tobias -. Senza un parente a Roma i datori di lavoro, gli amici, informano la famiglia e raccolgono i soldi per pagare il biglietto aereo ad una persona cara a lei, ad un figlio. La famiglia italiana dove la signora lavora, dimostrando grande umanità, si fa garante di tutte le formalità previste al fine di consentire quel viaggio. Lo stesso ambasciatore filippino in Italia chiede formalmente il visto d’ingresso. Ma l’ambasciata italiana a Manila lo rifiuta».
Intanto Aurea Dimaranan viene operata a Neurochirugia del Gemelli. Con o senza parenti, a dare l’assenso, bisogna fermare il danno che ha intanto causato un coma per la donna. L’8 e il 9 novembre, a Manila, Arben Dimaranan, il figlio di 29 anni dell’inferma, ha tentato invano di ottenere un visto presso i nostri uffici consolari. Il 9 novembre Philippe J.Lhuillier, ambasciatore filippino a Roma, scrive a Umberto Colesante, ambasciatore italiano a Manila: spiega che c’è bisogno di un visto, al più presto, per poter permettere all’ospedale di completare le cure chirurgiche necessarie.

Su sollecitazione delle amiche di Aurea, sempre più in ansia, anche la datrice di lavoro della donna, la professoressa di lettere Stefania Tagliavini, scrive una lettera all’ambasciata italiana a Manila. Si mette a disposizione, dicendo tra l’altro di essere pronta ad alloggiare ed eventualmente perfino ad assumere uno dei figli di Aurea, purché possa venire ad assisterla. Ma nessun appello sembra risolvere la situazione. A Manila si registra solo un grande silenzio. Intanto Aurea, ancora in prognosi riservata, viene trasferita da Neurochirurgia a Neurotraumatologia. Pur affetta da infezioni e da un persistente coma, mostra qualche miglioramento. Ieri le sue condizioni erano queste: fase critica superata, inizi di contatto con l’ambiente circostante (ha aperto un po’ gli occhi senza peraltro dare altri segni di relazione), un evidente deficit motorio che l’emorragia le ha lasciato su tutta la parte destra del corpo.

Una telefonata al console italiano a Manila, Martin Brook, consente intanto di capire il punto di vista delle nostre autorità diplomatiche. «Non è questo il primo caso in Italia, già ne abbiamo avuti altri, a qualche parente è stato concesso eccezionalmente il visto, ricordo un caso di Firenze e uno di Milano – spiega il console -. Purtroppo la legge Bossi-Fini non prende in considerazione i casi umani. Prevede il ricongiungimento familiare, sì, ma con figli minorenni. Per ogni altra necessità, oltre alle quote di immigrazione stabilite dalla legge, ci sono solo i visti turistici. Qui da noi è venuto Arben Dimarananan, disoccupato di 29 anni. Francamente non aveva i requisiti per un visto turistico, che richiede un lavoro, disponibilità economiche accertate, insomma una situazione che implichi un ritorno nel proprio paese. In più ci è giunta la lettera della datrice di lavoro della signora Aurea che ha complicato la situazione, facendo diventare più che concreto il rischio migratorio. Dopo il figlio Arben si è presentata sua sorella Armin. Formalmente ha un impiego qui a Manila, ma la situazione che si è venuta a creare complessivamente con questa famiglia ci lega un po’ le mani…».

Armin è cassiera in un bar, è sposata e ha due figli. Paradossalmente sconta la richiesta fatta in precedenza da suo fratello. A quanto pare, getta una luce negativa. Mamma Aurea, per fortuna, non sa nulla di tutto questo. Ieri l’ufficio internazionale del sindaco Veltroni ha chiamato l’ambasciata a Manila. Ha perorato un visto. Aurea, in prognosi riservata, continua a «dormire» in un ospedale straniero. Tutta sola.

Paolo Brogi