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da l'Espresso di giovedì 21 aprile 2005

Guantanamo a Lampedusa

Chiamavamo quasi ogni sera con il telefono satellitare.Per raccontare una lenta morte in diretta:la loro. La morte di 85 immigrati, espulsi nel deserto dai militari libici, e dei due trafficanti che li stavano riportando a sud, in Niger. Erano tutti ammassati in un camion.
Una mattina un guasto li ha bloccati: in mezzo al Sahara, con le ruote affondate sulla sabbia, troppo lontani dalle oasi per arrivarci a piedi. Venticinque giorni così, cotti dal sole a oltre 40 gradi, senza acqua per tutti. Terrorizzati o rassegnati, aspettavano la fine. Quando pochi giorni fa una pattuglia di militari li ha ritrovati, la sete aveva già scelto le sue prime vittime. Tre passeggeri sono stati sepolti accanto al camion. Gli altri sono stati portati all’oasi di Seguedine, stremati, alcuni gravi per la disidratazione.
Quelle telefonate hanno cambiato il finale a una tragedia che in altri casi non ha lasciato sopravvissuti. “L’allarme era stato raccolto dal proprietario del camion, un commerciante tubù che vive nell’oasi di Fachi, nel deserto di Tènèrè”, racconta Abdramane Bianou da Agadez in Niger, la porta del Sahara dove gli immigrati espulsi sarebbero dovuti arrivare: “Uno degli autisti ha continuato a telefonare finché non si sono scaricate le batterie del satellitare.
Avevano già passato il confine libico, ma si erano persi perché erano molto lontani dalla rotta conosciuta. Sì, da quello che sappiamo sono stati trovati da una pattuglia di militari dopo 25 giorni: avevano già finito le scorte per bere e mangiare, sarebbero morti tutti”. L’operazione di sbarramento contro l’immigrazione chiesta dal governo italiano al colonnello Muammar Gheddafi continua con le sue tragiche conseguenze.
Un altro camion carico di stranieri cacciati da Tripoli si è ribaltato la scorsa settimana vicino ad Agadez: 15 i feriti. Un bilancio che si aggiunge alla strage rivelata da “L’espresso” sul numero 11: almeno 106 immigrati espulsi sono morti di sete o per incidenti nel deserto nei primi sei mesi dell’accordo tra Italia e Libia. Un patto che prevede la restituzione alla polizia libica degli stranieri sbarcati in Sicilia e il loro rimpatrio nei Paesi d’origine.
Ma adesso, per quel piano, l’Italia si trova sotto accusa in Europa. La Corte europea per i diritti umani ha aperto un procedimento. E il Parlamento europeo ha messo la questione all’ordine del giorno. Una larga maggioranza di deputati, dai verdi ai socialisti ai liberali, si è trovata d’accordo nel criticare Roma in una sessione dedicata alla difesa dei diritti umani. L’Italia era in buona compagnia: le altre due risoluzioni riguardavano l’Africa e il Banglasdesh. Il procedimento della Corte europea è invece il clamoroso risultato di un ricorso firmato da 81 stranieri, tuttora rinchiusi nei centri di detenzione per clandestini di Lampedusa e Crotone.
In quei recinti aspettano il giorno dell’espulsione: ma nell’attesa, con l’assistenza di un pool di avvocati, sono riusciti a far uscire le loro denunce. Dall’Italia i giudici di Strasburgo vogliono saperne di più sul rispetto delle convenzioni internazionali nell’accordo tra Silvio Berlusconi e Gheddafi e nel rimpatrio il Libia degli immigrati sbarcati a Lampedusa. La richiesta di spiegazioni da parte della Corte europea è firmata dal cancelliere Mark Villiger.
“La Corte”, esordisce, “ritiene necessario ottenere da parte del governo convenuto le seguenti informazioni”. Quattro sono i punti sui quali l’Italia deve rispondere. Uno: “Il governo è invitato a indicare, in rapporto a ciascun richiedente asilo, le procedure di identificazione personale che sono attualmente in corso”. Due: “Il governo è invitato a indicare se sono state presentate domande di concessione dello status di rifugiato e, in caso affermativo, lo sviluppo delle relative procedure”. Tre: “Il governo è invitato a indicare se le procedure di espulsione sono attualmente in corso”. All’ultimo punto si chiede di fornire le copie di tutti i documenti sulle espulsioni e sulle richieste di asilo.
Il sospetto, nel ricorso presentato alla Corte di Strasburgo è che il governo italiano abbia autorizzato rimpatri in massa verso la Libia: in questo caso, assolutamente vietato dalle convenzioni internazionali, l’assenza di documenti o la consegna di verbali-fotocopia sarebbe una prova delle violazioni. Il ministero dell’interno ha tempo fino al 6 maggio per rispondere e non incorrere nelle sanzioni della Corte. E non sarà un lavoro da poco.
Per ogni immigrato, le autorità italiane devono dimostrare di aver verificato l’identità, la provenienza, i pericoli in caso di espulsione e di non aver messo a verbale, con l’aiuto di un interprete, ogni domanda e ogni risposta data da ciascuna persona. Quanti siano gli ultimi stranieri arrivati in Sicilia e le procedure di rimpatrio eseguite o in corso lo ha detto in Senato pochi giorni fa il sottosegretario all’Interno,Michele Saponara, rispondendo alle interrogazioni di Tana de Zulueta (Verdi) e Maria Chiara Acciarini (Ds). “Dal 13 marzo alo 5 aprile”, spiega il sottosegretario all’Interno, “sono sbarcati sulle coste siciliane e, soprattutto, su quelle dell’isola di Lampedusa, 1.504 clandestini.
I provvedimenti di respingimento hanno riguardato 685 di questi stranieri, ossia meno della metà, tutti di nazionalità egiziana: 559 sono stati respinti verso la Libia, 76 rimpatriati in Egitto, mentre altri 50 provvedimenti sono già in via di esecuzione”. “Quelle poste dalla Corte europea sono le stesse domande che avevamo fatto noi al governo italiano”, dice Tana de Zulueta, “e che non hanno mai avuto una risposta. Le espulsioni verso la Libia vanno sospese immediatamente. Questo non lo chiediamo solo noi Verdi, ma tutta l’opposizione. E’ come se sull’immigrazione il governo volesse sperimentare risposte che stanno sfondando i confini del diritto internazionale.
E’ molto importante che l’Unione Europea riaffermi i principi inderogabili. Anche un liberale come Graham Watson, capogruppo al Parlamento di Strasburgo, ha detto che la lezione di Lampedusa è una lezione di un fallimento”. Nell’accogliere la denuncia degli 81 immigrati, la Corte europea ha riconosciuto l’ammissibilità delle accuse contro l’Italia. In 22 pagine i legali del pool, guidati dall’avvocato Anton Giulio Lana di Roma, riscrivono la cronaca degli sbarchi dal 13 marzo. E un lungo paragrafo è dedicato all’accordo Berlusconi- Gheddafi.
“La Libia”, ricorda il ricorso, “non ha ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati..
Negli ultimi tempi, anche per effetto del riavvicinamento con l’Europa, ha avviato una strategia di contenimento dei flussi dei profughi che viene attuata nel più completo dispregio di ogni elementare garanzia..Emerge una situazione catastrofica in cui il rispetto dei diritti fondamentali è oggetto di una flagrante e massiccia negazione. Contrariamente alle rassicurazioni fornite dal governo italiano”.

di Fabrizio Gatti