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Diritto di voto – La situazione attuale. Il caso Genova

Riflessioni a cura di Roberto Faure, avvocato genovese

Red. – La battaglia per il diritto di voto ai cittadini migranti – che sosteniamo dedicandovi particolare attenzione negli spazi del Progetto Melting Pot – inizia nella città di Genova nel 2002, per estendersi successivamente a numerosi Comuni italiani, che annunciano anch’essi l’obiettivo di estendere l’elettorato attivo e passivo ai propri residenti stranieri. Si tratta di un segnale del passaggio fondamentale verso la piena partecipazione dei nuovi cittadini, salutato con entusiasmo e fiducia.
Dopo circa tre anni, gli approfondimenti che abbiamo di volta in volta raccolto e diffuso nel sito in forma di documenti, interviste, rassegna stampa e atti di convegni, si sono moltiplicati dando luogo ad un archivio estremamente ricco che lascia ben sperare.
Manca tuttavia una valutazione d’insieme sui risultati finora prodotti, dal momento che ancora in nessuno di questi Comuni i cittadini stranieri sono riusciti a votare alle elezioni comunali.

Roberto Faure, avvocato e consulente del Comune di Genova su questa tema, traccia un primo bilancio dei risultati ottenuti finora sull’estensione del diritto di voto ai migranti, mettendo in guardia dal rischio di ottenere un esito valido solo sulla carta.
Le riflessioni e gli interrogativi che propone di seguito richiamano l’attenzione su una questione concreta, che cambierebbe la percezione che i politici hanno di circa 2 milioni e mezzo di persone, tutt’oggi ancora politicamente invisibili perché relegati al ruolo di nuovi schiavi e alla meno peggio di criminali o vittime della criminalità organizzata.

Già nel 1998, in sede di approvazione della legge “Turco – Napolitano” sull’immigrazione, tante speranze erano state frustrate da un centrosinistra che istituì i centri di permanenza temporanea (carceri per migranti innocenti) e con vari trucchi negò il promesso voto agli immigrati, malgrado la pressione di molte organizzazioni laiche e cattoliche
I nostri obiettivi erano, in crescendo:
1) porre all’incasso una promessa lettorale fatta da molti politici personalmente, di quasi tutti i partiti di centro sinistra, per costringere i partiti a porsi il problema dei migranti come soggetto di diritti e non come “problema” su cui speculare;
2) dare adito ad un dibattito sulla stampa in cui si ponesse all’attenzione la questione dei diritti dei migranti, per incrinare la prassi di costante criminalizzazione e dispregio per gli stranieri in Italia da parte dei media;
3) conseguentemente, ottenere qualche obiettivo concreto e se possibile il diritto al voto.
I primi due obiettivi sono stati raggiunti, il terzo no.

Forse abbiamo scoperto l’acqua calda, ma il percorso di questa vicenda sino ad oggi è stato per noi assai istruttivo.
La prima lezione è “la politica dell’annuncio”, che anche per la questione “voto ai migranti” si è abbondantemente dispiegata, ad oggi col solo risultato mediatico.
Rammentiamo lo scenario. In italia vivono circa 2,5 milioni di migranti residenti con tutta la sofferenza e le umiliazioni che comporta ottenere e soprattutto conservare il permesso di residenza, anzi di “soggiorno”. Vige in Europa la convenzione di Strasburgo del 1992 che impone ai sottoscrittori, tra cui l’Italia, di concedere il voto e l’elettorato passivo per le elezioni amminstrative ai residenti. Molti partiti politici si esprimevano in varie sedi per adempiere alla Convenzione e comunque per dare questo diritto civile ai residenti stabili non cittadini.
Su richiesta di Città Aperta, Arci e CGIL, le segreterie genovesi dei partiti della maggioranza di centro sinistra nel 2003 si consultano sulla eventualità di introdurre il voto ai migranti; chiedono tempo per consultare le segreterie nazionali e gli esperti giuridici delle segreterie. Ottenuto ponderato parere, decidono che si può e si deve fare. Il primo partito genovese, i DS, si dimostra particolarmente deciso ed efficace. La seguente Festa dell’Unità, che si tiene a Genova nel settembre 2003, ha come tema principale il voto ai migranti. Manifesti con slogan sul voto ai migranti vengono affissi in città; il dibattito finale è su questo tema, ed interviene sul punto l’ex Ministro Sig.ra Turco ed il Sindaco Prof. Pericu, che rivendica la volontà di introdurre tale nuovo diritto come una scelta che appartiene all’intera cittadinanza. Si spende un termine per modificare lo Statuto del Comune ed allargare il voto ai migranti: entro il 2003.
Si moltiplicano i convegni, le dichiarazioni sulla stampa, i dibattiti pubblici a Genova e in tutta Italia. Giunge perfino la bufala mediatica del vicepresidente del Consiglio, il non più fascista Fini che, forse ben consigliato sulla gestione mediatica delle proprie sorti future, spara la cannonata: voto ai migranti in tutta Italia (do you remenber?); levate di scudi di Lega e colleghi di partito, dichiarazioni soddisfatte dei progressiti, e via col circo. Qualcuno sa che fine ha fatto o ricorda quali erano i reali (ed agghiaccianti) termini della cannonata mediatica di Fini? Ci par di vedere le vostre facce perplesse, e per procedere speditamente vi diciamo noi l’esito della grande proposta. Nulla assoluto.

Finisce il 2004, ma il natale passa senza innovazioni statutarie nè a Genova nè in altre città. Città Aperta pungola pubblicamente, sulle mailing list, nelle riunioni: vabbè tanti bei discorsi, ma quando si introduce il giusto diritto al voto? Di rinvo in rinvio, si giunge al luglio 2004.
Il Consiglio Comunale vota per la seconda volta la modifica statutaria (necessitano due votazioni a maggioranza assoluta, a distanza di un mese l’una dall’altra). Applausi in aula, meritati. Il Sindaco di Genova e i Consiglieri della maggioranza oltre a Rifondazione si meritano un posticino nella storia della lotta all’ingiustizia.
Il coraggio dei genovesi produce i frutti che speravamo: i migranti cominciano a pensare che la loro vita politica non è necessariamente di serie b; molte amministrazioni comunali in Italia votano mozioni, dichiarazioni di principio, programmi, impegni solenni che preludono a fare il gran passo genovese, ed a riconoscere come elettori ed eleggibili quelli che sulla stampa erano i “vù cumprà” e nel senso comune di tanti sono i “negher” o i “marocchini”.
Nel frattempo, a Genova si attende il passo definitivo: introdotto il diritto con la modifica dello Statuto, il passo più difficile è certamente fatto. Tuttavia in oggi servono delle semplici norme regolamentari che stabiliscano il “come si vota” e cioè: quali impiegati comunali redigono le liste elettorali, verificano i presupposti; come si organizzano i seggi elettorali, ed altre cosette che ad oggi non sono stabilite dal Comune.
Per risolvere tali questioni non necessita una votazione complessa e la forte maggioranza avuta per la modifica statutaria, si tratta di semplici delibere del Consiglio Comunale, che ci si dovrebbe attendere vengano fatte prima delle prossime elezioni.

Ma tant’è ci piace la diffidenza: cosa stanno aspettando?

Le notizie dalle varie Amministrazioni locali che si sono attivate a favore del diritto di voto sono frammentarie e spesso del tutto imprecise.
Ad esempio, a leggere gli articoli dei giornali o anche i siti specializzati su internet (si segnala Melting Pot), il lettore anche se attento ha la sensazione che quà e là si sia attribuito il diritto di voto, o ciò stia per avvenire nelle amministrazioni di centro sinistra.
A quanto ci risulta, non è vero. Nessuno straniero ha mai votato. In nessuna Amministrazione Locale italiana, se si votasse domani, gli stranieri avrebbero diritto di voto.
In realtà, l’elefante ha partorito il topolino, o meglio neanche quello. Il topolino sono le elezioni nei consigli di circoscrizione. Quale sia il potere decisionale sulle questioni importanti, degli eletti nei consigli di circoscrizione è noto: poco o niente. Quale sia l’emolumento monetario per chi siede in circoscrizione è altrettanto noto: niente. Questo chiarisce quale sia, 13 anni dopo la convenzione di Strasburgo, la reale considerazione dei diritti politici degli immigrati.
I Consiglieri Comunali Genovesi interpellati, sembrano poco informati sullo stato dell’arte; secondo alcuni, si attende “l’esito del ricorso del Governo al Consiglio di Stato contro la modifica dello Statuto di Genova”: quale ricorso? A quanto risulta, Il Governo ha soltanto iniziato una particolare procedura, prevista dall’art. 138 del Testo Unico 267/2000 sugli Enti Locali, cioè l’azione di “annullamento straordinario” degli atti degli Enti Locali “viziati da illegittimità”. Giuridicamente, il Governo ha messo uno stuzzicadente sui binari e i Consiglieri del Comune hanno fermato il treno. Non ha caso il Prof. Pericu risponde al Ministro dell’Interno che certamente, con l’enorme ampliamento dei poteri propri del Comune avvenuto nel 2001 (legge costituzionale) è “venuto meno il potere di annullamento straordinario attribuito al Governo dall’art. 138 TUEL”.

Forse i Consiglieri interpellati si sbagliano ed il ricorso di cui parlano è quello presentato dai “soliti noti” della destra cittadina al Tar Liguria contro la delibera statutaria sul voto a Genova, per il quale gli anti-voto neppure hanno chiesto la sospensiva e che verrà deciso (se non rimesso come ovvio alla Corte Costituzionale) nei normali tempi della Giustizia Amministrativa tra un secolo. Aspettiamo questo secolo?
Ci vien da dubitare, a noi malfidenti, che si balbettino scuse svogliate per virare su obiettivi minimali e quindi dannosi, come le “Consulte dello zio tom” o il voto nei soli Consigli di Circoscrizione (questa è la “mezza voce” che si registra nei corridoi burocratici del Comune di Genova). Ci è parsa illuminante la delucidazione data telefonicamente da un’addetto ai servizi elettorali, che ha cortesemente risposto alla domanda sullo stato del diritto di voto per gli immigrati a Genova: “non c’è niente di cambiato, magari cambierà ma chissa quando”.
Azzardiamo una congettura ed un suggerimento. Se il problema temuto dai futuri ri-eleggibili italiani è il rischio di una invalidazione delle future elezioni genovesi, la soluzione c’è. La suggerisce l’Avv. Sergio Acquilino, ex Sindaco di Celle Ligure: “Io farei dei seggi a parte per gli stranieri perchè in questo modo se dovessero dichiarare il voto illegittimo perché un non eletto vince un ricorso, si deciderà se il voto degli stranieri è determinante o meno, ma non si dovrebbero rifare le elezioni, perchè si calcolerebbero i voti degli altri seggi.” Ancora: il problema è la “responsabilità dei funzionari” che dessero attuazione alla modifica statutaria Genovese, come il soldato che esegue un ordine manifestamente illegittimo e spara sui bambini? Sempre Acquilino suggerisce: “L’Amministrazione dovrebbe approvare un regolamento nel quale indica con precisione le modalità con cui si deve procedere, dicendo che il Funzionario deve attingere alle liste di residenti stranieri con tot. di residenza eccetera, inserendoli in apposite liste.” Eliminata di fatto la discrezionalità del Funzionario, questi se lo ritiene potrebbe dichiarare il proprio dissenso per iscritto e liberarsi dalla (da alcuni temuta) responsabilità.

La politica è spettacolo e promesse, ed in certo senso è giusto che sia così. Chi si è impegnato sinceramente in questa battaglia, sino ad oggi ben conoscendo la realtà ha ritenuto utile enfatizzare l’effetto mediatico del dibattito sul diritto di voto, che ha fatto riflettere sugli immigrati come soggetti di diritti, non come oggetti da confinare ed espellere.

Tuttavia, in questa fase, riteniamo giusto passare alla “fase 3)” e cioè ad un diritto vero e non sulla carta. E per fare ciò è necessario dire con chiarezza: nessuna Amministrazione Locale in Italia, nella eterogeneità politica delle amministrazioni (di centro sinistra ovviamente) sta percorrendo fino in fondo la strada per introdurre il voto agli immigrati. Molte amministrazioni hanno perseguito la “politica dell’annuncio”.
Chi ha conosciuto con disincanto la realtà dell’immigrazione, spesso ci dice: ma che cosa importa del voto agli immigrati, che devono subire ogni giorno un trattamento umiliante e discriminatorio proprio in base alle leggi vigenti?
Obiezione realistica. In realtà, la lotta per il diritto di voto agli stranieri è molto più utile agli “indigeni” italiani. Chiudiamo gli occhi e proviamo ad immaginare: campagna elettorale, decine di migliaia di stranieri pronti a votare per la prima volta. Quanti politici terrebbero i toni del razzismo velato o dispiegato, che sino ad oggi è un ormai tardizionale cavallo di battaglia per raccogliere voti, quasi quanto la costruzione di parcheggi per automobili? I politici, soprattutto i politici locali, vivono di voti. Certamente le scelte amministrative inizierebbero a considerare gli interessi quotidiani di chi sino ad oggi è citato solo come “problema”, come “nuovo schiavo”, come “preda della criminalità organizzata”.

Molta strada ancora da percorrere, con una meta difficile da tenere di vista; speriamo senza fumo negli occhi.

Roberto Faure