Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

da Repubblica on line del 23 maggio 2006

Amnesty accusa l’Occidente “Due pesi e due misure e l’Italia indaghi sui Cpt”

Roma – Sono nominate la Cina, il Darfur o la Cecenia, ma nel rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani di Amnesty International ricorre molto più spesso il nome di nazioni occidentali che si vantano di voler esportare democrazia e diritti civili. Come già lo scorso anno, l’organizzazione non governativa indipendente denuncia l’incapacità delle grandi potenze, Stati Uniti su tutte, di trasformare in azioni concrete gli impegni dichiarati. Più di questo: Amnesty parla chiaramente del pericoloso “uso di un doppio linguaggio e di doppi standard, da parte delle grandi potenze, che indebolisce la capacità della comunità internazionale di affrontare gravi crisi dei diritti umani”.

E poi, secondo Amnesty, c’è l’alibi della guerra al terrorismo, che svia l’interesse verso problemi più gravi, che sta fallendo perché si basa su interessi di sicurezza nazionale e di corto respiro anziché sulla reale volontà di promuovere i diritti umani. Non mancano le bacchettate all’Italia, ancora una volta segnalata perché non garantisce i diritti ai migranti e nell’occhio del ciclone, insieme agli altri paesi europei, per le “operazioni coperte” utilizzate dalla Cia per arrestare, catturare, trasferire e detenere persone in segreto, o consegnarle ad altri paesi dove hanno subito torture.

L’agenda della sicurezza. E’ il punto centrale del rapporto, che denuncia come in nome della sicurezza nazionale, “promossa da chi ha potere e privilegio” si siano sviate “energie e attenzione del mondo dalle gravi crisi dei diritti umani in corso”. “I governi, da soli e collettivamente, hanno paralizzato le istituzioni internazionali – si legge nel rapporto – dilapidato risorse pubbliche per perseguire obiettivi di sicurezza limitati e di corto respiro, sacrificato valori in nome della “guerra al terrore” e chiuso gli occhi di fronte a violazioni dei diritti umani su scala massiccia. La conseguenza è che il mondo ha pagato un prezzo elevato, in termini di erosione dei principi fondamentali e di enormi danni arrecati alla vita e al benessere della gente comune”.

Le grandi potenze hanno insomma “remato contro” la reale soluzione dei problemi. “Nel 2005, coloro su cui, nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ricade la maggiore responsabilità di salvaguardare la sicurezza globale, sono stati i più attivi nel paralizzare questo organismo e impedirgli di svolgere un’azione efficace in difesa dei diritti umani”.

I governi europei. In questa politica per la quale ciò che conta è solo l’interesse nazionale, nessuna delle potenze occidentali fa bella figura. Amnesty punta il dito sulle “connivenze” dell’Europa, che a livello di Consiglio dell’Ue apre inchieste sul coinvolgimento dei suoi membri nel programma Usa di trasferimenti illegali di prigionieri, ma a livello nazionale continua a essere complice degli abusi.

“Rivelazione dopo rivelazione, è emerso fino a che punto i governi europei sono stati complici degli Usa – scrive Amnesty – sfidando il divieto assoluto di tortura e di maltrattamenti e subappaltando queste pratiche mediante il trasferimento di prigionieri in paesi come Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Marocco e Siria, noti per praticare la tortura”.

Spesso i governi nazionali, denuncia l’organizzazione, anziché apprezzare gli sforzi fatti dalle corti e dai parlamenti per ristabilire il rispetto dei diritti umani hanno trovato il modo per aggirare i pronunciamenti, in nome di “assicurazioni diplomatiche”, che hanno comunque avvallato l’espulsione di prigionieri verso paesi dove la tortura è ammessa. E una menzione speciale merita in questo la Gran Bretagna, che secondo Amnesty ha la colpa di rimanere muta sul carcere americano di Guantanamo.

La crisi dell’Onu. Conseguente a questo atteggiamento è anche la crisi dell’organismo sovrannazionale che dovrebbe promuovere politiche di salvaguardia dei diritti, e secondo Amnesty ha avuto invece “attenzione flebile e discontinua” su crisi gravissime come quella del Darfur e ha attuato in prima persona quella politica della doppiezza che è al centro del rapporto. “In un anno in cui hanno speso gran parte del tempo a parlare di riforme e di composizione dei loro principali organismi, le Nazioni Unite non hanno prestato attenzione al comportamento di due membri-chiave come la Russia e la Cina, che hanno fatto prevalere i propri limitati interessi economici e politici nei confronti delle preoccupazioni sui diritti umani a livello nazionale e internazionale”, è la conclusione.

Darfur, Iraq e Medioriente.
Sono queste le tre aree nominate in modo più esplicito nel rapporto di Amnesty. Per quanto riguarda la regione del Sudan, oltre a sottolineare le iniziative inadeguate di Nazioni Unite e Unione Africana per una soluzione della crisi, il rapporto mette in luce ancora una volta come i crimini di guerra siano stati commessi da tutte le parti coinvolte, “in un conflitto che ha causato migliaia di morti e ha costretto alla fuga milioni di persone”.

“Nel 2005, l’Iraq è affondato in un vortice di violenza settaria – affermano da Amnesty – È questa la dimostrazione che quando le grandi potenze sono troppo arroganti per rivedere e mutare le proprie strategie, il prezzo più alto viene pagato dai poveri e da chi non ha potere: in questo caso donne, uomini e bambini iracheni”. Infine la crisi in Medioriente, che è scomparsa dall’agenda internazionale, cosa che “ha acuito l’angoscia e la disperazione della popolazione palestinese, da un lato, e le paure di quella israeliana dall’altro.

L’Italia. Il rapporto sottolinea il ruolo dell’Italia nella “guerra al terrore”, che giudica sbagliata nei modi e nelle premesse. Le istanze presentate da Amnesty rivelano poi come la passata legislatura non abbia fatto nulla per risolvere le situazioni che già il rapporto del 2005 indicava come lesive dei diritti umani. In più si è aggiunta la violazione delle norme internazionali delle “operazioni coperte” della Cia, della quale l’Italia è stata complice.

Il fatto che gli aeroporti di Pisa e Roma Ciampino siano stati utilizzati per il trasferimento di persone detenute in segreto e la loro consegna a paesi dove hanno subito maltrattamenti e torture è una violazione grave delle norme internazionali, sulle quali, secondo Amnesty, l’Italia ha l’obbligo di svolgere indagini approfondite.

L’attenzione dell’organizzazione internazionale si concentra anche sulla legge antiterrorismo del 2005, che ha modificato le norme italiane sull’espulsione “per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato”. Una legge, secondo Amnesty, che consente l’allontanamento di cittadini stranieri anche solo sulla base dei primi elementi acquisiti a loro carico, senza che questi siano accusati formalmente di un reato e che pregiudica perciò il rispetto dei loro diritti.

Amnesty indica ancora come il disegno di legge sulla prevenzione della tortura sia rimasto all’attenzione della presidenza della Camera, ma non abbia proseguito il suo iter e così l’Italia non ha allineato la sua legislazione alla Convenzione delle Nazioni Unite.

Infine, come già era accaduto lo scorso anno, l’Italia non si è ancora data una legge organica sull’asilo ai migranti, “lasciando così intatte le lacune in cui proliferano le possibilità di abusi dei diritti umani a danno di richiedenti asilo e rifugiati”. Quello dei migranti e della loro accoglienza nel nostro paese è un tema che trova ampio spazio nel rapporto di Amnesty, che reitera le accuse fatte nel 2005 a proposito di persone rinviate da Lampedusa in Libia “in spregio delle norme di diritto internazionale e senza alcuna base legale nel diritto interno”. Amnesty chiede di fare luce sugli accordi siglati tra il governo Berlusconi e la Libia, entrati in vigore nel 2002 senza alcuna ratifica da parte del Parlamento.

Nella tragedia dei migranti Amnesty sottolinea soprattutto quella degli “invisibili”, i minori che arrivano alla frontiera marittima e in spregio alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia vengono avviati ai centri di accoglienza temporanea, in pratica detenuti. La Convenzione considera la detenzione di un minore un provvedimento eccezionale, da adottare solo in casi estremi, mentre secondo Amnesty le cifre rilasciate dal ministero dell’Interno lasciano intendere che è la prassi comune.

Passi avanti e richieste per il futuro. “Nel 2005 si è assistito a un mutamento dello stato d’animo dell’opinione pubblica”, si dice nel rapporto, e questo è un fatto positivo. “La pressione popolare che sta emergendo va usata in modo efficace per trasformare l’attuale irresponsabilità internazionale in azione concreta in favore dei diritti umani”, auspica Amnesty, che individua alcune priorità per l’agenda internazionale.

Amnesty International chiude il rapporto con richieste precise agli organismi internazionali ma anche alle singole nazioni. Nazioni Unite e Unione Africana devono impegnarsi per affrontare il conflitto e gli abusi dei diritti umani nel Darfur; ancora l’Onu deve avviare i negoziati per un Trattato internazionale che regolamenti il commercio delle armi, in modo che queste non possano essere usate per commettere abusi dei diritti umani.

L’amministrazione Usa è chiamata in prima persona a chiudere il carcere di Guantánamo Bay e rendere noti i nomi e i luoghi di detenzione di tutti i prigionieri della “guerra al terrore”. Infine il nuovo Consiglio Onu dei diritti umani, deve, per Amnesty, insistere nel pretendere i medesimi standard di rispetto dei diritti umani da parte di tutti i governi, che si tratti del Darfur o di Guantánamo, della Cecenia o della Cina.

Consulta il rapporto completo di Amnesty