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da La Repubblica del 25 giugno 2006

“Legge sulle badanti per aiutare le famiglie”

Una legge per la formazione professionale delle badanti e per la regolarizzazione di quelle - ancora clandestine - che già lavorano presso le famiglie italiane.

“Un mese di Governo? Mi sembra un po’ presto per fare bilanci. Io poi non credo nemmeno alla regola dei primi cento giorni…”. Rosy Bindi, chemisier blu e filo di perle al collo, è seduta su una poltrona giallo canarino nello studio, nuovo di zecca, del neonato ministero della Famiglia, dove gli unici ornamenti per adesso sono il tricolore d’ordinanza e le pareti appena dipinte. Un dicastero piccolo, senza portafoglio, ma con forti deleghe su temi delicati e popolari, i bambini, la terza età, le adozioni. “Ci stiamo organizzando – dice – ma il ruolo del ministero è ormai definito”, e si capisce che da questo palazzo che si affaccia su piazza Montecitorio, a pochi passi dal Parlamento, parte una sfida che le sta a cuore, e dove i protagonisti sono i soggetti più deboli, gli anziani, i non autosufficienti, le donne, i bambini, le giovani coppie. In nome dei quali Rosy Bindi lancia un altolà anche al ministro dell’Economia: “E’ vero, il Paese ha bisogno di un risanamento, ma non devono essere le famiglie italiane a pagarne il prezzo”.

Sul suo tavolo l’agenda delle priorità: una legge quadro per la formazione professionale delle “badanti”, un fondo per la non autosufficienza, il Garante dell’Infanzia. Temi che si avvicinano e si intrecciano però alle competenze di ministri ben diversi da Rosy Bindi, la Solidarietà Sociale, le Pari Opportunità, esponenti di quell’ala “zapatera” che dal Gay Pride alle stanze del buco, in questi trenta giorni ha tracciato un solco politico sempre più deciso su diritti civili, famiglia, bioetica, welfare. Ma Rosy risponde, rilancia, media…

Ministro, oggi le due “anime” del centrosinistra sembrano più lontane che mai.
“L’importante è rimanere fedeli al programma, ognuno valuti poi la libertà di esprimere le proprie posizioni. Non ritengo però che la partecipazione ad una manifestazione come il Gay Pride si possa interpretare come un atto di Governo”.

Lei è il ministro della Famiglia. In che modo si impegnerà a tutelare chi si riconosce nelle unioni civili?
“Prima di tutto separando i piani. Il mio punto di riferimento per quanto riguarda la famiglia è l’articolo 29 della Costituzione italiana”.

E le unioni civili?
“Come ho già detto ci impegneremo per far uscire dalla clandestinità giuridica le persone che fanno parte delle coppie di fatto. Ma le priorità adesso sono altre. Né vorrei che la prima legge simbolo di questo Governo fosse proprio quella sulle unioni civili”.

Nessun metodo Zapatero insomma.

“Sulla politica di Zapatero si sta creando uno stereotipo nel nostro paese. Tutti parlano delle leggi spagnole sui matrimoni gay, dimenticandosi invece che il primo atto di Zapatero è stata una legge per garantire l’assistenza alle famiglie che si prendono cura delle persone non autosufficienti. Questa sì che è una vera emergenza”.

Un’emergenza a cui le famiglie italiane hanno risposto con i propri mezzi. Ad esempio con il ricorso di massa alle badanti. Secondo le Acli, oggi in Italia ce ne sono almeno un milione, e in gran parte clandestine.

“Le famiglie italiane lasciate sole dalle istituzioni hanno privatizzato la risposta. Ma è il numero delle badanti, che propongo di chiamare “assistenti familiari”, a darci la misura di quanto stia diventando grave il problema degli anziani non autosufficienti”.

Un tipo di assistenza il cui costo è oggi interamente a carico delle famiglie.
“E’ vero, e per questo vogliamo istituire un fondo per la non autosufficienza, che dovrebbe aiutare a sostenere le spese più gravose, e finanziare una rete di servizi domiciliari. A cui si deve collegare però una emersione dal lavoro nero e una maggiore professionalità di chi si prende cura dei nostri vecchi”.

In che modo?
“Penso a una legge quadro che preveda per queste persone un profilo professionale e corsi di formazione con l’insegnamento della lingua e delle regole primarie dell’assistenza, dove il tirocinio potrebbe essere svolto già presso le famiglie. Una formazione che dovrà essere organizzata dalle Regioni insieme a quelle realtà che finora si sono occupate delle “assistenti familiari”, come l’associazionismo o il terzo settore”.

Resta il problema della “clandestinità”.
“E’ ovvio che dovremo regolarizzare chi già lavora stabilmente nelle famiglie. Ciò che mi preme infatti è dare dignità a questo nuovo mestiere e sicurezza alle famiglie”.

La politica del suo ministero parte quindi dalla terza età invece che dalle culle vuote?
“La famiglia è una, e il problema degli anziani è strettamente legato al futuro dei giovani. Mi spiego. C’è una generazione di mezzo, quella delle coppie di 50, 60 anni, che si ritrova schiacciata tra la cura degli anziani e l’incertezza sul domani dei figli. Famiglie “sandwich”, che devono scegliere se destinare le proprie risorse all’assistenza di un genitore non più autonomo, o sostenere, ad esempio, l’uscita di casa dei giovani”.
I quali giovani tra lavori precari e mancanza di prospettive non ci pensano proprio a mettere su famiglia.
“Appunto”.

Messa così sembra una situazione senza via d’uscita.
“No, assolutamente. Per sostenere la maternità abbiamo previsto l’istituzione di un assegno di 2500 euro l’anno per ogni figlio fino alla maggiore età. Inizieremo con uno stanziamento che copra i nuovi nati e i bambini fino a tre anni. Ma dobbiamo anche pensare a nuove misure per conciliare i tempi della vita e i tempi del lavoro, incentivare i part time, gli orari flessibili”.

Ma i soldi li troverete? La situazione dei conti pubblici sembra drammatica…
“Il Governo Prodi ha messo la famiglia al centro dei suoi obiettivi. Padoa Schioppa le risorse le deve trovare. Non ci sono solo diritti individuali da tutelare, ma ci sono anche i diritti della famiglia. Paesi assai più laici del nostro come la Francia, la Svezia o la Norvegia possono insegnarci molto in tema di famiglia e tutela dell’infanzia”.

Lei ha citato i paesi laici. Non le sembra che negli ultimi anni ci sia stata un’ingerenza crescente del ruolo della Chiesa nella politica?
“A mio parere c’è il rischio di un nuovo conflitto tra tendenze clericali e laiciste. Credo invece che intorno al valore della laicità si possa costruire un equilibrio, una sintesi tra la Chiesa che annuncia il suo messaggio e la politica che si assume le sue responsabilità”.

Parliamo di bambini allora. In Italia sono pochi e amatissimi.
“Pochi sì, amatissimi non tutti. Stiamo lavorando a un disegno di legge per istituire il Garante dell’Infanzia. Ci sono ancora troppi bambini “senza voce”, troppi bambini abusati, troppi bambini negli istituti. Anche la giustizia minorile deve essere ripensata. Ho già verificato la disponibilità del ministro Mastella ad un lavoro comune, per una riforma, ad esempio, delle adozioni nazionali”.

Il suo ministero ha anche la delega sulle adozioni internazionali. Nel nostro paese ci sono migliaia di coppie in attesa.
“E’ un tema a cui tengo moltissimo, e per questo creeremo una struttura che si metta al servizio delle coppie. Ma la voce adozioni deve entrare in qualunque accordo il governo italiano siglerà con un paese estero. Ci sono milioni di bambini che hanno bisogno di una famiglia, ma nel nostro paese i bambini non arrivano”.

Ministro, so che lei vorrebbe un cambiamento della Costituzione, che naturalmente non ha nulla a che fare con questo referendum.
“Referendum al quale bisogna votare No, proprio per difendere la Costituzione. Ma all’articolo 3, quando si dice tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di razza, sesso, lingua, mi piacerebbe aggiungere anche “senza distinzione di età”. In nome dei diritti dei bambini”.

(Maria Novella De Luca)