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da Liberazione dell'8 giugno 2006

Rapporto Medici del mondo: «Il Cpt di Torino va chiuso»

Torino – Nostro inviato

«Mancano i requisiti minimi per il rispetto della dignità delle persone, il Cpt di Torino deve essere chiuso». Dopo le proteste dei movimenti, di Amnesty, Medici senza frontiere, Arci, pezzi di sindacato e alcuni partiti, arriva un report indipendente di Medici del mondo a chiedere la fine della struttura di detenzione per migranti di corso Brunelleschi.

Le ragioni: «Assoluta inadeguatezza per gli scopi dichiarati», e ancor più per l’assistenza sanitaria, che lo rende «un prolungamento del carcere» ancor «più impermeabile» e «totale» (corrispondenza e libertà dei colloqui violata, discrezionalità amministrativa su tutto dall’accesso di medici e avvocati alle cure farmacologiche per sedare i detenuti). Ci vorrebbe una commissione d’inchiesta e monitoraggio e invece, il prefetto annuncia di voler investire per renderlo più vivibile e già che c’è ampliarlo. Lo aveva detto anche per le Olimpiadi invernali, una vera fissazione. «Il Prefetto si assumerebbe la responsabilità di un enorme spreco di denaro pubblico, un’azione improvvida. E poi i Cpt sono stupidi e inutili agli scopi, su centomila migranti presunti a Torino, espellerne 1524 all’anno è svuotare un lago con un secchio al costo di tre miliardi di lire l’anno», commenta la deputata torinese del Prc, Marilde Provera. «Faremo un’interrogazione urgente in Parlamento – dichiara Roberta Fantozzi, responsabile migrazione del Prc – per fare chiarezza sul caso Torino, superamento dei Cpt non può voler dire ampliamento».

Allora leggiamolo il report di Medici del mondo (Mdm), 7mila membri nel mondo e 1200 volontari in missione in 88 paesi, che dal 2003 monitorizza i Cpt in Italia: Lampedusa, Modena, Foggia, Lecce, Roma e Torino i centri visitati, con qualche difficoltà. La restrizione degli accessi è il primo ostacolo e al Cpt di Torino è una vecchia storia: qui non possono entrare nemmeno i consiglieri regionali, peggio del carcere. A vista il Cpt torinese è uno dei più inquietanti, un piazzale di cemento diviso in tre aree separate da sbarre alte sei metri, nove container abbastanza degradati per vivere, uno dedicato a spazio comune per mensa, luogo di culto e ricreazione, capienza 88 persone – ma non supera da tempo le 72 unità secondo la Questura – si dorme in sei in 22 metri (con servizio). Per muoversi o giocare a carte c’è il piazzale. La gestione è del corpo militare della Croce rossa, in divisa. Tre appelli al giorno, nessuna possibilità di mantenere oggetti e abiti. Se non si chiama carcere, è una caserma di rigore. Due volte alla settimana per 90 minuti è disponibile uno psicologo, che è anche il vice-direttore del centro, tanto per facilitare il colloquio. Per il resto ci sono i volontari della Croce rossa che fanno tutto: dall’informazione sul diritto d’asilo alla gestione di un piccolo ambulatorio medico e farmaceutico. Chi soffre di patologie va nella “suite”, come la chiamano gli operatori, un container destinato all’isolamento medico con tre letti, «condizioni igieniche approssimative» e impianti caldo/freddo fuori uso, secondo Mdm. Tra i farmaci più usati, la benzodiapezine, uno psicofarmaco per il 15% dei trattenuti, «sotto controllo sanitario» sempre secondo i responsabili. Non ci sono sieropositivi, donne gravide, minori e persone in trattamento metadone. «Anche se ogni volta che siamo riusciti a entrare – racconta Silvia Formia del Tavolo migranti – abbiamo trovato i “casi particolari”, minorenni, una mamma ecuadoregna con una bambina di 2 anni tenuta da una vicina di casa in questi giorni, persone malate, coniugi di cittadini italiani e così via».

Il Cpt aperto nel 1999 doveva essere provvisorio, ma da allora non è cambiato, si è degradato. Aumentano, invece, continue rivolte e fughe macchiano il buon nome della città. L’ultima di una lunga serie si è verificata meno di una settimana fa: sette poliziotti feriti e 18 migranti fuggiti. «Tra i fuggitivi c’è un mio allievo dei corsi di formazione, senza precedenti o denunce», racconta Silvia Formia. Secondo gli operatori del Cpt, il principale problema sono gli “ospiti” che danneggiano le strutture, si feriscono per fuggire, sono pericolosi e all’80% proverrebbero dal carcere in attesa di espulsione, ma le stime ufficiali rese note per la prima volta da Marilde Provera, parlano del 45% di accompagnamenti per soli reati amministrativi (senza permesso di soggiorno). La limitazione della libertà personale, decisa da un giudice di pace, dura al massimo 60 giorni, poi la libertà o il rimpatrio di uomini o donne colpevoli di nulla o che hanno già scontato la pena. E il Cpt è peggio del carcere. «Almeno è tutto regolamentato – racconta l’avvocato Gianluca Vitale, dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – al Cpt è tutto un chi-lo-sa che dipende dalla disponibilità del personale della CrI e di ps. C’ho messo un mese per raccogliere una denuncia contro uno sfruttatore da parte di una ragazza non c’era mai un ufficiale giudiziario». Figuriamoci se succedono reati dentro. I casi che raccontano gli avvocati sono incredibili. Una ragazza marocchina, espulsa due giorni fa, venuta in Italia per farsi operare a una gamba. Era in carrozzella, i giorni al Cpt sono stati un supplizio. Una moldava, investita da un auto con l’anziana che accudiva, invece di scappare chiama ambulanza e vigili la portano al Cpt. Il cittadino libico scagionato da un’indagine per terrorismo che viene visitato da poliziotti e poi da misteriosi signori che parlano arabo e malgrado denunci torture nel suo paese, viene rimpatriato. Da tre anni la famiglia a Bengasi non ha più notizia di lui.

Questa è la condizione che piace al Prefetto e che anche il neo-sindaco Chiamparino vorrebbe “umanizzare”. «Il discorso di umanizzare i Cpt sembra lo stesso che trent’anni fa si diceva per i manicomi – commenta Ugo Zamburro dell’Arci, psicologo – invece bisogna far smettere questa vergogna come fu per i luoghi di reclusione psichiatrica». Nonostante la retorica della sicurezza e le fiaccolate di An, anche alle persone del quartiere il Cpt non piace, paura per la vicinanza e vergogna per la presenza di un carcere di gabbie a cielo aperto nel quartiere: «Per la popolazione non è accettabile, da sempre la nostra comunità ha vissuto di integrazione di piemontesi, meridionali e oggi di cittadini extracomunitari – racconta il Presidente della circoscrizione, Michele Paolino (Margherita) – e poi non prendiamoci in giro, con quale maestranze vogliono ristrutturarlo, col permesso di soggiorno in scadenza così poi se li tengono. Speriamo che il governo sappia sorprenderci». E li chiuda.