1. La Commissione De Mistura sta visitando in questa settimana i centri di detenzione amministrativa siciliani, dopo essere stata a Lampedusa alcuni mesi fa.
Nel corso delle audizioni, dalle denunce delle associazioni, sta emergendo un quadro di gravissime violazioni dei diritti fondamentali della persona umana riconosciuti a tutti gli immigrati “comunque presenti nel territorio italiano” dall’art. 2 del testo unico sull’immigrazione. Stanno assumendo rilievo anche le croniche inadempienze delle associazioni “convenzionate” che cogestiscono i centri di detenzione, impropriamente chiamati dalla stampa come centri di accoglienza ( CPT-CDA-CDI, la gestione non cambia perché spesso un’unica associazione gestisce tutte queste strutture) Appare evidente soprattutto la chiusura dei centri di detenzione siciliani verso l’esterno e la carenza di mediazione e di assistenza socio-legale, mentre rimane ancora nell’ombra il profilo gestionale-contabile, già criticato nelle ultime relazioni della Corte dei Conti. Ma anche su questo dovrà indagare la Commissione De Mistura.
Sullo sfondo, lo scandalo scoppiato attorno al centro polifunzionale di Caltanissetta ( dove “polifunzionale” significa soltanto dilatazione estrema della discrezionalità amministrativa) e le fughe a ripetizione, da ultimo dal centro di accoglienza di Cassibile ( un vecchio fabbricato rurale circondato da una recinzione). Come riferiscono i giornali siciliani le fughe ( anche da Caltanissetta in pieno inverno) avvengono sempre a piedi nudi, perché così la polizia scopre gli immigrati al termine di feroci rastrellamenti. O gli immigrati che si allontanano dai centri di detenzione sono completamente idioti, ritenendo preferibile fuggire a piedi scalzi, oppure evidentemente qualcuno li lascia a piedi nudi già all’interno della struttura, anche se un immigrato “trattenuto” costa da 40 a 70 euro al giorno.
Anche su questo attendiamo risposte dalla Commissione De Mistura, come le attendiamo, e ben documentate, sulla sorte dei minori non accompagnati che, una volta sbarcati a Lampedusa, vengono “spalmati” nelle province di Agrigento e Trapani, presso strutture di accoglienza del tutto inidonee a riceverli, minori che dopo qualche giorno si allontanano, scompaiono nella clandestinità, potenziali vittime di sfruttatori e trafficanti di ogni genere. Senza che qualcuno abbia comunicato la loro presenza ai giudici minorili ed al Comitato per i Minori stranieri, senza uno straccio di identificazione o di provvedimento che li riguardi. Così vite umane, soggetti vulnerabili che spariscono nel nulla. Tutti sanno, nelle Questure e Prefetture siciliane che succede questo e nessuno interviene per garantire a soggetti tanto deboli l’assistenza di figure di riferimento, l’accesso alla procedura di asilo, la nomina di un tutore, il rilascio immediato di documenti di identità. Ed è ancora alto si può ritenere, il numero di migranti sottoposti all’accertamento medico dell’età, e che riconosciuti come maggiorenni vengono sottoposti allo stesso trattamento riservato agli adulti.
2. Ma il sistema dei centri di detenzione in Sicilia, perché di un sistema si tratta, perché ogni struttura ha la sua destinazione precisa che è complementare rispetto alla funzione degli altri, si caratterizza per altre peculiarità su cui la Commissione De Mistura farebbe bene a chiedere una buona dose di documentazione alle Questure ed alle Prefetture delle province visitate, ed anche alla Questura ed alla Prefettura di Agrigento, per quanto riguarda Lampedusa.
Il “ centro di accoglienza di Cassibile funziona con uno status al di fuori della legge, perché il trattenimento degli “ospiti” avviene ben oltre i termini di tempo e le modalità dettate dalla legge e dall’art. 13 della Costituzione italiana e dal T.U. sull’immigrazione. La struttura di Caltanissetta opera “di fatto” come centro di identificazione per richiedenti asilo “ ospitando” la Commissione territoriale per richiedenti asilo, che dovrebbe operare a Siracusa, dove invece manca il centro di identificazione previsto dalla legge. Al riguardo non si possono invocare ancora i decreti emergenza sbarchi con i quali il precedente governo ha gestito il contrasto all’immigrazione clandestina negli scorsi anni.. L’art. 21 comma 4 del regolamento di attuazione 394/1999 prevede tassativamente che “ il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea individuati ai sensi dell’art. 14 , comma 1 del T.U.” sull’immigrazione, con un decreto del ministro dell’Interno. E va ricordato che in base all’art. 23 del regolamento di attuazione il trattenimento in “centri di prima accoglienza e soccorso” è legittimo “solo per il tempo strettamente necessario per l’avvio ai predetti centri (CPT)”. Quanto avviene in Sicilia, a Cassibile in particolare, configura una grave lesione della riserva di legge prevista dall’art. 10 comma 2 della Costituzione. Si configura altresì una lesione degli articoli 13, che stabilisce la riserva di giurisdizione e dell’art. 24 che afferma il diritto di difesa, diritto che non si può fare valere effettivamente in assenza del tempestivo intervento di controllo del magistrato e della presenza di un difensore.
3. Le denunce del movimento antirazzista siciliano e l’impegno degli avvocati che in numerose occasioni hanno ottenuto dalla magistratura l’annullamento di provvedimenti di espulsione e di trattenimento palesemente illegittimi, hanno trovato autorevoli conferme nei rapporti delle più grandi agenzie umanitarie, come Human Rights Watch, la Federazione Internazionale dei diritti dell’uomo (FIDH), Il Comitato dei diritti umani delle nazioni Unite, dell’Alto Commissariato delle nazioni unite per i rifugiati, di Medici senza frontiere e di Amnesty International. Dopo una visita del Comitato per la prevenzione della Tortura, nel 2005, il governo Berlusconi era stato costretto a chiudere il famigerato centro di detenzione in Contrada San benedetto ad Agrigento. Dopo la condanna del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei Diritti dell’uomo il governo Prodi ha dovuto sospendere le deportazioni collettive verso la Libia, inaugurate da Pisanu e fortemente volute dai vertici del ministero dell’interno.
Malgrado questi successi del movimento antirazzista siciliano, tuttavia, gli abusi continuano ancora oggi, soprattutto per la continua proliferazione di nuove modalità e di nuovi luoghi di trattenimento forzato, in violazione delle leggi e dei regolamenti vigenti ( che imporrebbero un apposito decreto istitutivo ed una precisa rendicontazione per ogni struttura), e per il diffuso ricorso al famigerato istituto del respingimento differito.
Spesso anche in presenza dei presupposti per l’ammissione alla procedura di asilo si è preferito fare ricorso a provvedimenti di allontanamento. Ancora nel corso dell’ultimo anno si è registrato inoltre un diffuso ricorso all’istituto del “respingimento differito” e le Questure siciliane hanno emesso provvedimenti di espulsione “generalizzati”, provvedimenti fotocopia che di fatto precostituiscono i presupposti per una serie di espulsioni collettive, vietate da tutte le Convenzioni internazionali, anche nei confronti di persone palesemente nelle condizioni di ottenete lo status di rifugiato, così come poi si è potuto verificare per quella parte di loro ammessa alla procedura di asilo.
L’art. 10 del testo Unico sull’immigrazione disciplina il respingimento. In base del primo comma, “la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato”; il secondo comma disciplina invece i casi di respingimento cd. “differito”: “il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri: a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo; b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso”.
Le ipotesi di respingimento differito nelle forme in cui è utilizzato in Sicilia costituiscono frequenti casi di abuso per l’ampia discrezionalità che è attribuita all’autorità di polizia nell’individuazione dei relativi presupposti e, dall’altra, per il grave vulnus alle garanzie costituzionali dei migranti rappresentato dal rischio dell’assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale: poiché l’esecuzione di tale forma di respingimento implica inevitabilmente una coercizione della libertà personale dello straniero. La normativa vigente che non contempla alcun intervento del giudice, vìola la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della Costituzione, come risulta confermato dalla giurisprudenza costituzionale (la sent. n. 105/2001 e la più recente sent. n. 222/2004) .
4. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 105 del 10 aprile 2001 ha rilevato che: “Il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. Si può forse dubitare se esso sia o meno da includere nelle misure restrittive tipiche espressamente menzionate dall’articolo 13; e tale dubbio può essere in parte alimentato dalla considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti familiari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario. Tuttavia, se si ha riguardo al suo contenuto, il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale”, di cui pure si fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’articolo 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura ove questa venga violata.
Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale.
Nè potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani.“
Con la sentenza n. 224 del 15 luglio 2004, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, rilevando che: “Il procedimento regolato dall’art. 13, comma 5-bis, contravviene ai principî affermati da questa Corte nella sentenza sopra ricordata: il provvedimento di accompagnamento alla frontiera è eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Lo straniero viene allontanato coattivamente dal territorio nazionale senza che il giudice abbia potuto pronunciarsi sul provvedimento restrittivo della sua libertà personale. È, quindi, vanificata la garanzia contenuta nel terzo comma dell’art. 13 Cost., e cioè la perdita di effetti del provvedimento nel caso di diniego o di mancata convalida ad opera dell’autorità giudiziaria nelle successive quarantotto ore. E insieme alla libertà personale è violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo incomprimibile. La disposizione censurata non prevede, infatti, che questi debba essere ascoltato dal giudice, con l’assistenza di un difensore. Non è certo in discussione la discrezionalità del legislatore nel configurare uno schema procedimentale caratterizzato da celerità e articolato sulla sequenza provvedimento di polizia-convalida del giudice. Vengono qui, d’altronde, in considerazione la sicurezza e l’ordine pubblico suscettibili di esser compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia lo schema prescelto, in esso devono realizzarsi i principî della tutela giurisdizionale; non può, quindi, essere eliminato l’effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di ogni garanzia difensiva.
5. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2004, il legislatore è nuovamente intervenuto, delineando la nuova procedura di convalida di cui all’art. 13, comma 5-bis, T.U. introdotta con il d.l. n. 241/2004 convertito anche sul punto con modificazioni dalla l. n. 271/2004. La disciplina delineata dal nuovo comma 5-bis dell’art. 13 T.U. stabilisce che il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera: poiché la disposizione in esame stabilisce che “in attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui all’articolo 14” (salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili), deve ritenersi che la competenza territoriale del giudice di pace vada individuata sulla scorta dell’art. 14, comma 3, ai sensi del quale “il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento”.
Quanto avviene in Sicilia, soprattutto nel “centro” di Cassibile, come sarà rilevato anche dalla Commissione De Mistura, si pone in contrasto con le norme di legge e costituisce un uso gravemente distorto della discrezionalità rimessa all’autorità amministrativa.
Attendiamo dunque le conclusioni che la Commissione De Mistura renderà pubbliche dopo la fine delle sue ispezioni e ci auguriamo che vengano resi pubblici anche i documenti richiesti alle Prefetture ed alle Questure per giustificare i respingimenti differiti e le altre prassi applicative (?) della legge. Attendiamo anche la pubblicazione delle Convenzioni per la gestione dei centri di detenzione e la indicazione delle modalità delle gare di appalto. Nel frattempo continueremo il nostro impegno, nel territorio a fianco dei migranti, sul piano politico per una abrogazione della Bossi-Fini che non sia il ritorno alla legge Turco-Napolitano. Ma -già prima delle conclusioni della Commissione De Mistura- attendiamo che il Ministro dell’Interno ponga fine agli abusi della discrezionalità amministrativa in materia di trattenimento ed espulsione degli immigrati irregolari.
La relazione finale della Commissione De Mistura, a differenza delle sintetiche dichiarazioni sullo stato fisico delle strutture, strumentalizzate ad arte da alcuni mezzi di informazione per giustificare le modalità di gestione dei centri di detenzione siciliana, non potrà che confermare la richiesta, fatta propria lo scorso anno anche da dodici presidenti di consigli regionali, di chiusura di tutti i centri di detenzione amministrativa, con la introduzione di una nuova disciplina, più selettiva, dei respingimenti e delle espulsioni, e con la concreta possibilità di ricorrere alla regolarizzazione individuale permanente di quanti, trovandosi in Italia in condizione di irregolarità, non hanno commesso gravi reati e possono dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro. La chiusura dei centri di detenzione in Sicilia e nel resto d’Italia è dunque necessaria e possibile, non si tratta di un “superamento” ma di uno “svuotamento” di queste strutture detentive, con una legge organica sul diritto di asilo che abroghi la detenzione amministrativa dei richiedenti asilo e con una nuova normativa sugli ingressi per ricerca di lavoro.