Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

dal manifesto del 3 marzo 2007

La piccola bugia della «clandestina» Natasha

La badante ucraina, irregolare da tre anni, è una delle facce della manifestazione di oggi a Bologna

di Cinzia Gubbini

Natasha ci aspetta fuori da casa sua. O meglio, del suo datore di lavoro. Un signore che vive in una bella villetta nella pianura padana, vicino a Reggio Emilia. Campagna, capannoni e strade asfaltate. Natasha ha 36 anni, è ucraina. Fa la badante. Si occupa della casa, e della coppia di anziani per cui lavora. Lui è bene in salute, non fosse per l’udito. Mentre sua moglie è malata di sclerosi multipla. Natasha è una di quelle donne che coprono il welfare statale che manca per la terza età. Insomma: gli immigrati che ci servono. Pantofole, tuta da ginnastica, capelli raccolti. E un piccolo segreto. Perché oggi pomeriggio sarà a Bologna per partecipare alla manifestazione contro i centri di permanenza temporanea. Ma non deve saperlo nessuno. I suoi datori di lavoro preferiscono non vada tanto in giro. Soprattutto per manifestazioni. Natasha è irregolare, un passaporto romeno falso in tasca. Ma non è che si preoccupino dell’espulsione. Magari anche quello. Però, dopo un po’ di insistenze, l’altro sabato le hanno permesso di andare a fare shopping a Bologna. Solo che era un’altra bugia: in realtà era a Vicenza, alla manifestazione contro la base Nato. Un’esperienza entusiasmante: «Che eccitazione. Per una single come me, è come fare l’amore». Di solitudine, in mezzo alla campagna e occupata ventiquattro ore al giorno a vigilare che tutto funzioni alla perfezione, un po’ ne soffre: «Qualche volte, mi sembra di impazzire. Sarà che sono giovane, ma mi manca di poter parlare con qualcuno». L’unico svago è la domenica, quando va a Reggio Emilia al Caffè Babele del centro sociale Aq16, uno spazio aperto dove si può bere qualcosa insieme, occupare i tavolini per tutto il tempo che si vuole, e parlare di sé e del mondo.
Da un anno, poi, esce il meno possibile e ogni giorno è un’attesa. Natasha è una delle 600 mila persone che ha presentato la richiesta di regolarizzazione con il decreto flussi. Solo da qualche mese le Prefetture hanno iniziato a spedire i nulla osta. Quando arriverà il suo, dovrà fare ritorno in Ucraina per ottenere il visto, tornare e finalmente avere «quel maledetto permesso». Ci vogliono circa tre mesi, le raccontano le amiche che sono già in Ucraina. I suoi datori di lavoro sono spaventati: dovranno trovare una sostituta. E poi un po’ temono che, una volta regolarizzata, Natasha se la darà a gambe, come spesso succede. Lei, che è un medico, giura di no. Anche se un altro lavoro, meno stressante, lo desidererebbe davvero. Sogna la fabbrica. Vuole comprare una casa in Moldavia, dove vivono i suoi due figli che non vede da tre anni. Di tornare indietro da clandestina ha paura. È già accaduto che qualcuno sia stato espulso in aeroporto da zelanti poliziotti. Insieme a quelli di Aq16, ha scritto lettere al sindaco e ai ministri per chiedere di eliminare questo stupido passaggio, con cui si finge che chi partecipa ai flussi lo faccia dall’estero. Ma non c’è stato nulla da fare. E’ questa una delle principali delusioni del governo Prodi, per Natasha. Sperava in un semplice cambiamento: un permesso di soggiorno per chi lavora in Italia da clandestino. Ha capito che non sarà così.
Lei, per arrivare in Italia ha passato qualche «avventura» e speso parecchi soldi. Dopo aver ricevuto una sfilza di no da tutte le ambasciate dei paesi europei in Moldavia per ottenere un visto, incontra un tizio che conosceva una signora che vendeva passaporti falsi romeni. I romeni, già nel 2003, potevano viaggiare in Europa senza visto. 2.300 euro sull’unghia, un passaggio in macchina, il cambio di identità nei quindici metri di «terra di nessuno» che separano l’Ungheria dalla Romania. «Ho nascosto il mio passaporto nelle scarpe da ginnastica. Il conducente me ne ha dato uno nuovo. C’era la mia foto e il mio nome ma un altro cognome. Ed era romeno». Filò tutto liscio. Ma era il secondo tentativo. Il primo era stato disastroso. Un viaggio a piedi, attraverso i campi per raggiungere la frontiera austriaca. Scoperta. E’ stata in quell’occasione, nel 2002, che Natasha ha conosciuto i centri di permanenza temporanea. Quello ceco: una delle tante forme di collaborazione che gli stati candidati all’ingresso nell’Ue devono offrire. E’ stata l’esperienza più umiliante della sua vita. «Non capivo niente. Non ci spiegavano niente. Ci hanno fatto spogliare, nude, completamente. Tutte le nostre cose sono finite in un grosso sacco di plastica. Non potevamo prendere nulla. E poi la doccia. La cosa peggiore. Sotto gli occhi di due poliziotti». Questa è la sua verità. Per la quale, oggi, racconterà una piccola bugia.