Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Studiare oltre i confini

Intervista a Rodriguo, rappresentante dell’ Ass.Studenti Camerunensi di Padova

Quando pensiamo ai fenomeni migratori troppo spesso siamo costretti ad affrontare racconti ed immagini drammatiche, quelle delle morti lungo le coste dei nostri mari o dei tentativi disperati di attraversamento delle frontiere che, in ogni angolo, penetrano le mura dell’Europa continentale. Troppo spesso, ma non può essere altrimenti, parlare di migrazioni è come parlare di un dramma, di viaggi sena fine, o peggio, con una fine prestabilita.
Ma i fenomeni migratori sono molto altro, sono la cifra del nostro tempo, sono l’inarrestabile spinta alla mobilità globale che i processi di globalizzazione e soprattutto i desideri di uomini e donne di ogni parte del mondo producono.

Desideri sì, perché non sempre chi si mette in viaggio lo fa per fuggire da guerre e carestie. Migrare per vocazione piuttosto che per ambizione, per inseguire il sogno di una Europa che non c’è o per liberarsi di quello che si lascia alle spalle, oppure, possibile migrare per poi fare ritorno.
E’ il caso di Rodriguo, rappresentante dell’Associazione Studenti Camerunesi di Padova che ci ha raccontato i motivi del suo viaggio e ci ha introdotto in una realtà che troppo spesso viene dimenticata.
Ad essere colpiti dalla crudeltà della legge Bossi Fini non sono solamente i viaggiatori disperati, ma complessivamente tutti quelli che attraversano i confini dell’Europa. Emerge così un universo variegato di confini che accompagnano varchi le frontiere.

Nonostante lo studio, la condivisione dei saperi, la circolazione delle conoscenze, l’innovazione, la cooperazione, siano il motore dell’economia contemporanea, studiare oltre i confini è una sfida ancora piena di ostacoli e barriere.

D: Da dove vieni Rodriguo?

R: Yaounde in Camerun

D: Quali scuole hai frequentato nel tuo paese?

R: Ho frequentato per cinque anni le primarie per poi andare al liceo. Ho fatto sette anni e poi ho trascorso quattro anni all’università, dove mi sono laureato. Alla fine sono venuto qua in Italia.

D: Perché partire dal Camerun per venire in Italia a studiare ancora?

R: Perché in Camerun non c’è lavoro per chi finisce dopo quattro anni l’università, ci sono tanti laureati e bisogna avere un surplus di capacità, un’esperienza, una capacità lavorativa di adattamento che permetta di superare gli altri che frequentano per quattro o cinque anni come te l’università. In Camerun questo è l’unico modo per trovare lavoro.

D: dalle tue parole sembra esserci molta competizione?

R: Proprio così, c’è molta competizione e ci sono pochi posti di lavoro, quindi, per essere sicuro di avere quel lavoro, chiunque deve per forza aggiungere qualcosa in più, se ha una formazione e per chi ha un’opportunità questo magari significa andare a fare qualcosa in più all’estero.

D: Partire per te è stata quindi una scelta obbligata. Perché l’Italia?

R: Avevo già due amici qui in Italia. E’ stato più facile per me avere informazioni sull’Italia rispetto ad un altro paese. Aver già fatto quattro anni di università in Camerun poi mi bloccava l’opportunità di andare in altri paesi come per esempio la Francia, dove è più facile poter entrare dopo la maturità. Lì diventa più difficile proseguire gli studi universitari.

D: Con quali aspettative, con che desideri sei arrivato in Italia, come immaginavi la tua vita ed il tuo futuro?

R: A dire la verità l’immagine che noi africani, ed in particolare in Camerun, abbiamo dell’Europa che sia Francia, Inghilterra, Germania, Italia o Spagna o tutti quei paesi che sono più noti all’estero, è quella di un posto ideale per poter provare una esperienza formativa, per trovare più opportunità. Quando uno ha un visto crede di aver realizzato la sua vita.

D: E’ stato difficile trovare il visto per partire?

R: Il visto è molto difficile da ottenere, a volte le procedure non sono definite, magari dall’anno prossimo le cose cambieranno perché il nuovo ambasciatore dell’Italia in Camerun ha preso qualche disposizione dopo gli eventi che sono successi ultimamente in Camerun. Forse, dall’anno prossimo, farà in modo che la procedura sia più facile. Per quel che mi riguarda ho dovuto fare due anni di corsi di lingua italiana. Era previsto un anno di corsi ma alla fine dell’anno, l’ambasciata si è trovata con più richiedenti visto di quanti ne poteva accontentare, quindi, ha dovuto scegliere secondo criteri non obiettivi, definiti secondo una procedura che ci era sconosciuta e alla fine tanti come me sono rimasti ad aspettare un anno in più. Aspettando abbiamo dovuto fare di nuovo i corsi di lingua italiana e sostenere un esame fatto dall’Università degli Stranieri di Perugia. Solo dopo quei due anni sono riuscito a venire in Italia.

D: Dopo aver studiato così tanto nel tuo paese il tuo titolo di studio ti è stato riconosciuto?

R: Fino ad oggi non è stato ancora riconosciuto e questo non perché io non ci abbia provato: ho seguito la procedura, ho spedito il certificato in Camerun, lì doveva essere legalizzato dall’ambasciata per poi essere rimandato in Italia direttamente all’università, ma fino ad oggi, dopo tre anni, la procedura non avanza.

D: Quando sei partito dal Camerun qui in Italia era già in vigore la famosissima legge Bossi-Fini, una legge che noi non abbiamo mai esitato a definire disumana. Per questa legge i migranti sono visti solo in funzione della loro utilità per il mondo del lavoro.
Tu invece venivi per motivi diversi, ti sei sentito in qualche modo travolto da questa visione della legge o invece ti è sembrato di avere una corsia preferenziale?

R: Quella legge, nello spirito di tutti gli immigrati, non solo nel mio, dà sempre i brividi, perché quando uno vive sapendo che deve dare obbligatoriamente gli esami o non ha il permesso di soggiorno, o il rinnovo del permesso di soggiorno, i pensieri non ti fanno stare bene, anche dormire è difficile a volte perché non sei libero. Ti fa paura l’idea di essere condizionato da qualcosa.

D: Quindi anche il tuo percorso di formazione qui in Italia, parlando della tua vita all’università, è molto legato a questa legge che come una spada di Damocle pende sul rinnovo del tuo permesso di soggiorno?

R: Si, con l’ansia di magari dover rendere conto delle tue azioni, fa paura.

D: Tu sei arrivato in Italia con il pensiero che il tuo futuro possa essere qui o desideri, una volta terminato il tuo progetto di studi, tornare al tuo paese d’origine?

R: Ho sempre pensato e forse negli ultimi tempi ancora di più, di ritornare nel mio paese, perché io sono venuto qua con il desiderio di approfondire i miei studi e poi, dopo, di tornare in Camerun per poter approfittare delle mie conoscenze. Il Camerun, senza mentire, è un paese molto bello e io non riesco a immaginare la mia vita fuori da quei confini per un periodo molto lungo: tornerò in Camerun!

D: Parliamo adesso del mondo universitario, qualche tempo fa abbiamo appreso la notizia che all’Università di Bergamo, il Rettore ha scelto di escludere gli studenti stranieri dalla possibilità di candidarsi come rappresentanti degli studenti, questo accade in una università che agli studenti stranieri chiede le stesse cose che chiede agli studenti italiani, sia per quanto riguarda i corsi sia per quanto riguarda la difficoltà degli esami.
Cosa ne dici?

R: Vorrei capire perché il Rettore dell’ Università di Bergamo ha preso quella decisione, sembra strano che a tutt’oggi una parte degli studenti non abbia il diritto di esprimersi sulle questioni che li riguardano: sono studenti quanto gli altri quindi perché non hanno la possibilità di esprimersi, di portare le proprie idee, le proprie rivendicazioni? Gli esami e le tasse sono uguali anche per gli stranieri, perché non lo è il diritto ad essere rappresentati?

D: Saremmo portati a pensare all’università come ad un luogo di innovazione e di produzione di una nuova società. I saperi non possono avere frontiere?

R: Come diceva il Rettore dell’Università di Ferrara, le università devono essere internazionali, cioè, le loro strutture devono accogliere la gente da tutte le parti del mondo. Ma se accogliamo le genti da tutte le parti del mondo e non diamo la possibilità di dare il loro punto di vista sulle cose, è come se dimostrassimo di aver paura di qualcosa, delle differenze, o magari se pensassimo che chi viene, non ci possa dare nulla di innovativo o che ci possa servire a migliorare la società. Questo è sbagliato.

D: Negli ultimi anni, l’Università di Padova, aveva messo a disposizione un servizio per ambientarsi e muoversi dentro la complicata trama della legge Bossi-Fini, questo ufficio da qualche tempo non esiste più, come avete vissuto questo passaggio, che difficoltà ha provocato alla vostra vita in città?

R: Si trattava dello sportello SOS, quel servizio aveva il compito di agevolare il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno agli studenti immigrati, ed anche di rispondere alle domande per quanto riguardava l’aspetto istituzionale; oggi che non c’è più questo servizio è più difficile. Per avere i permessi di soggiorno dobbiamo aspettare otto, nove mesi, e dopo due mesi è già tempo di rinnovarlo. Sappiamo bene questo cosa significa: uno studente che non ha il permesso di soggiorno non può muoversi, non può trovare un lavoro, insomma la sua vita cambia profondamente. E poi gli esami, se ne va storto uno il rischio è di non poter rinnovare il permesso. Questo è assurdo.

Intervista a cura di Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa