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Abdelmalek Sayad: il pensiero di Stato e le sue conseguenze sul fenomeno migratorio e sugli emigrati-immigrati

Tesi di laurea di Tommaso Tess

Reena Saini Kallat, «Woven Chronicles», 2011-16

Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi.
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Università Ca’ Foscari Venezia
Facoltà di Filosofia e Scienze Umane

Abdelmalek Sayad: il pensiero di Stato e le sue conseguenze sul fenomeno migratorio e sugli emigrati-immigrati

di Tommaso Tess

Introduzione

Dal momento stesso in cui si sono materializzate, le migrazioni e le immigrazioni hanno sempre assunto il tratto fondamentale di essere concepite come dei problemi: problemi da risolvere, problemi per i quali bisogna trovare una soluzione, problemi da giustificare e, al massimo, legittimare.

La presenza degli immigrati di qua e l’assenza degli emigrati di là assumono i connotati di perturbazione e “falle” nel sistema e più che domandarsi come mai il fenomeno abbia ormai raggiunto proporzioni mondiali e andamenti sistematici, perché possa verificarsi un massiccio spostamento di persone da uno Stato all’altro, ci si ostina a provare a darne una spiegazione atta solamente alla “gestione” interna. Allargando lo sguardo e osservando da un punto di vista globale il fenomeno migratorio, si scoprirà che questo non è altro che uno degli ingranaggi che permettono alla macchina del capitalismo mondiale di continuare a correre. Il sistematico spostamento di persone dalle zone considerate come “più povere” e “in via di sviluppo” non è un aspetto secondario o un effetto conseguente all’accidentale o deterministico maggiore sviluppo di certi paesi rispetto ad altri, esso è uno dei fattori principali che hanno determinato il più rapido “sviluppo” dei paesi occidentali rispetto agli altri e trova la sua radice ultima nel periodo coloniale dove gli stati conquistatori, oltre a depredare territori e materie prime che servirono proprio come base per uno sviluppo ineguale tra conquistatori e conquistati, importarono pure il loro modo di strutturazione del mondo circostante basato su categorie di Stato.

Tra i primi che contribuirono a proporre una visione del fenomeno migratorio non intaccata da etnocentrismi delle società di immigrazione e pregiudizi basati su aspetti tutt’altro che obiettivi, si deve riconoscere la figura di Abdelmalek Sayad. Nato in Algeria nel 1933, fece parte della generazione di algerini che dovettero interfacciarsi con la nascita dello Stato algerino e la creazione della sua identità nazionale, nata dalle ceneri di una sanguinosa guerra d’indipendenza contro l’invasore francese. Facendo oggetto di studio le dinamiche di questa creazione e soprattutto le caratteristiche dell’emigrazione-immigrazione algerina verso la Francia, Sayad propose una teoria sociologica del tutto nuova e dirompente rispetto agli studi che avevano come oggetto di ricerca la sola immigrazione e la condizione degli immigrati presi in considerazione solamente alla fine dell’intero processo migratorio, ovvero al loro ingresso nella società ospitante. La sua stessa condizione di subalterno, di non nazionalmente definito in quanto oscillante tra Francia e Algeria, permise di ampliare lo sguardo sull’oggetto di studio e considerare le migrazioni come un fenomeno unico che comprende l’intero processo dalla sua genesi alla sua conclusione, un fatto sociale totale. Definire le migrazioni come dei fatti sociali totali significa scoprire che queste sono un avvenimento che colpisce in maniera totalizzante ogni personaggio sociale che vi partecipa, dall’intera società di partenza, all’intera società di arrivo, agli stessi emigrati-immigrati. Questi ultimi vivono una condizione sociale inedita, essi sono sempre “fuori luogo” perché non possono trovare uno spazio appropriato nella sfera sociale in quanto la loro intera esistenza è segnata dalla continua provvisorietà perché mai del tutto presenti qua e mai del tutto assenti di là. Utilizzando e modellando concetti della tradizione sociologica occidentale e applicandoli alle migrazioni spogliate da ogni etnocentrismo, Sayad ci obbliga a ripensare e a mettere in discussione ogni concetto andatosi a fossilizzare sotto gli imperativi del pensiero di Stato, a smascherare la falsa naturalità della nazione, l’inconsistenza del concetto di nazionalità e l’arbitrarietà che si nasconde sotto gran parte dei “nostri” assunti che appaiono come fissi e naturali. Si scoprirà che è proprio lo Stato e le sue categorie di strutturazione della realtà circostante a rappresentare quel limite epistemologico che le migrazioni riescono potenzialmente a sfondare, ma anche il motivo per il quale il fenomeno migratorio riesce a perpetuarsi e continuare a verificarsi.

Quello di Sayad è uno sguardo “eretico” che obbliga a mettere in discussione il nostro mondo e la nostra stessa identità tramite l’immigrazione e la figura degli immigrati. Fino a quando le migrazioni verranno trattate come dei problemi da risolvere e fino a quando agli immigrati verrà riservato un trattamento diverso rispetto agli altri, ci sarà bisogno di teorie come quella di Sayad per riuscire a fare chiarezza e non incorrere nel rischio di farsi trascinare da narrazioni semplicistiche, escludenti e soprattutto de-umanizzanti.

Una nota di carattere terminologico: durante tutto l’elaborato ci si riferisce ai soggetti implicati nel fenomeno migratorio utilizzando sempre la terza persona singolare o la terza persona plurale maschile (l’immigrato, gli immigrati). La volontà è quella di rappresentare e di includere entro questi termini ogni soggettività coinvolta nel fenomeno, qualunque sia l’identità di genere di chi partecipa di tale fenomeno. Il maschile utilizzato, frutto di un limite della lingua italiana, è da intendersi come neutro.