Gli allarmismi sulla presenza degli immigrati, e tra questi in particolare degli irregolari, in Italia, il pericolo paventato che – incrementando la spesa pubblica – si pregiudicherebbero le compatibilità economiche imposte dall’Unione al welfare europeo, incidono in modo sempre più pesante sull’accesso alle cure mediche, ancorché continuative, da parte degli immigrati irregolari e si sono ulteriormente estesi dopo l’ingresso dei nuovi paesi dell’Europa orientale nell’Unione Europea.
Eppure non si può dire proprio che si sia verificato il temuto “effetto invasione”, dopo l’apertura delle frontiere ad est, con la Slovenia ad esempio, a fronte della emersione dei cittadini romeni e bulgari prima in condizioni di irregolarità, mentre dopo gli accordi firmati dall’Italia a Tripoli con la Libia, lo scorso 29 dicembre, si sta assistendo ad una ulteriore esternalizzazione dei controlli di frontiera e dei dispositivi di arresto, con pattuglie miste, e con la pratica generalizzata della detenzione amministrativa (anche nei paesi di transito).
Gli arrivi degli immigrati irregolari da sud sono in calo, malgrado le partenze “mirate” utilizzate periodicamente dalla Libia per tenere alto il suo potere di ricatto sull’Italia. Non si può dunque parlare di un’emergenza immigrazione in senso generale, pur esistendo delle aree critiche che avrebbero richiesto da tempo interventi mirati (prostituzione, sfruttamento minorile, lavoro sommerso, infortuni sul lavoro, criminalità,) e un adeguamento delle politiche sociali a sostegno dei processi d’integrazione della popolazione straniera (in particolare in favore dei rom).
A fronte degli episodi di discriminazione, di esclusione sociale e di vera e propria riduzione in schiavitù, agevolate da prassi amministrative che diffondono il terrore costringendo i migranti irregolari alla clandestinità, anche quando ci sarebbero le possibilità per il riconoscimento di un permesso di soggiorno, occorrono decisioni politiche che riducano l’ambito di discrezionalità utilizzato dalle questure per negare il permesso di soggiorno agli immigrati affetti da gravi patologie.
Le leggi magari esistono, ma le prassi amministrative delle questure e le decisioni demagogiche di diversi enti locali e vertici delle aziende ospedaliere, alla continua ricerca di consenso e di risparmi per fare quadrare i bilanci dissestati da anni di cattiva amministrazione, penalizzano proprio le componenti più deboli del sistema, tra queste, naturalmente, gli immigrati e quelli irregolari in particolare.
Stanno dunque diventando invisibili gli immigrati affetti da gravi patologie che le Questure ritengono di potere espellere, senza però mettere in esecuzione le espulsioni, un modo raffinato per fare statistica, senza allontanare nessuno dal territorio dello Stato. Senza considerare però le conseguenze devastanti sulla vita delle persone e delle loro famiglie, costretti alla clandestinità ed a una esistenza ancora più precaria proprio per effetto di un provvedimento di polizia. Dopo l’espulsione, qualunque prospettiva di regolarizzazione o di reingresso regolare scompare, ed è una condanna che pesa per tutta la vita.
Ancora più grave la condizione dei malati di AIDS conclamato, alcuni dei quali già godevano di un regolare permesso per cure mediche e che, malgrado il loro precario stato di salute, si sono visti respingere la richiesta di un permesso per cure mediche o bloccare il rinnovo di questi permessi di soggiorno, e stanno ricevendo provvedimenti di espulsione, malgrado l’art. 35 del testo unico sull’immigrazione preveda che le cure mediche ambulatoriali “comunque essenziali, ancorché continuative”, siano prestate” anche agli stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello stato”, che dunque non possono essere allontanati con la forza.
Si aggrava sempre di più, per le nuove iniziative delle questure italiane, la questione dell’accesso alle cure essenziali per i cittadini extracomunitari di fatto soggiornanti in Italia ma privi di permesso di soggiorno. Per quanto riguarda il significato della dicitura «cure essenziali» la legge comprende: «le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti)».
Per lungo tempo in Italia il tema dell’assistenza sanitaria agli stranieri era stato regolato da una grande quantità di norme eterogenee. Con l’emanazione, nel marzo del 1998, della legge 40, poi confluita nel D.Lgs. 286 del luglio 1998 – “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” – si era finalmente fatto ordine in questo settore, dando un’impostazione stabile e chiara al tema del diritto all’assistenza sanitaria a favore degli immigrati nel nostro paese. Con l’introduzione della legge Turco-Napolitano il diritto all’assistenza veniva stato esteso anche a coloro presenti in Italia in condizione d’irregolarità giuridica e clandestinità, garantendo loro oltre alle cure urgenti anche quelle essenziali, continuative ed i programmi di medicina preventiva.
La successiva riforma introdotta nel 2002 con la legge n. 189, cd. Bossi-Fini, non ha modificato il quadro normativo di riferimento già contenuto nel testo unico sull’immigrazione in materia di sanità. Sono stati invece i legislatori regionali che, a partire dal 2003, con i loro interventi normativi, hanno notevolmente ridimensionato il pieno riconoscimento del diritto alla salute, sancito dalla Costituzione per tutti, ma nei fatti fortemente ristretto, soprattutto in alcune regioni del Nord – Italia, nei confronti degli immigrati privi di un documento di soggiorno.
Nel 2003 si registrava comunque un impegno espresso del governo allora in carica a garantire la permanenza sul territorio italiano degli stranieri privi di permesso di soggiorno con problemi di salute. Il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, rispondendo a un’interrogazione parlamentare presentata in quell’anno dall’On. Carlo Leoni (Ds) , assicurava che nel decreto di attuazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione sarebbero state introdotte nuove tipologie di permesso di soggiorno per motivi umanitari a favore delle persone affette da problemi di salute.
Queste dichiarazioni erano accolte con favore dalle associazioni non governative che tutelano il diritto alla salute dei migranti. “La legge Bossi-Fini non ha modificato quanto già previsto dalla Turco-Napolitano in materia di tutela della salute degli irregolari – spiegava allora Roberto Losciale, responsabile del Dipartimento legale di MSF-Italia – e cioè che anche agli irregolari devono essere assicurate le cure urgenti ed essenziali, anche se continuative. Ma questo diritto fino a oggi è stato sostanzialmente negato per una scorretta interpretazione della legge. MSF ha infatti constato moltissimi casi di espulsione di stranieri affetti da gravi patologie. Finalmente l’On. Mantovano assicura non solo la corretta applicazione della legge – e quindi il divieto di allontanare gli irregolari bisognosi di cure – ma anche l’introduzione di un ulteriore strumento di tutela: la concessione di permessi di soggiorno straordinari per gli stranieri che scoprono in Italia di essere gravemente ammalati ”.
Alle dichiarazioni del governo di allora non seguiva un espresso riconoscimento del diritto degli stranieri irregolari già presenti in Italia ad un permesso di soggiorno per cure mediche. Si registrava invece una prassi consolidata delle Questure che concedevano agli immigrati affetti da grave patologie, aventi carattere anche continuativo, un permesso per cure mediche, analogo a quello previsto per le donne in stato di gravidanza e nei primi sei mesi dopo il parto.
A partire dal gennaio del 2008 , alcune Questure italiane, in particolare quelle di Palermo e di Catania, sulla base di non meglio precisate “ disposizioni ministeriali, impartite in risposta a quesiti posti dagli uffici periferici”, “alla luce di una più attenta ed analitica lettura del dettato normativo “ coordinato con le istruzioni ministeriali”, hanno emesso circolari nelle quali, dopo il dovuto richiamo all’art. 35 del Testo Unico sull’immigrazione, si ribadiva che gli uffici non avrebbero più rilasciato “ permessi di soggiorno per cure mediche a stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello stato, ad eccezione delle donne in stato di gravidanza e fino a sei mesi di vita del bambino, così come espressamente previsto dall’art. 28 c.1 lett.c del citato DPR 349/99 così come modificato dal DPR n.304/04, in relazione all’art. 19 del D.L.vo n.286/98”.
I risultati concreti di questa “più attenta ed analitica lettura del dettato normativo italiano” sono stati numerosi provvedimenti di espulsione nei confronti di persone già da tempo in cura presso strutture pubbliche italiane, e in molti casi già titolari di un permesso di soggiorno per motivi di cure mediche, con l’avvertenza “che si provvederà alla sospensione dell’esecuzione del provvedimento, in presenza di certificazione medica attestante la gravità della patologia e la necessità della erogazione di prestazioni sanitarie urgenti e comunque essenziali”.
Non si comprende quale principio di sana, imparziale e trasparente amministrazione possa portare le Questure ad emettere provvedimenti che producono effetti che possono essere immediatamente sospesi, sulla base di una certificazione medica di cui sono o potrebbero essere già in possesso, con l’unica conseguenza di instaurare situazioni di contenzioso, o di allontanamento nella clandestinità dei destinatari, e con grave nocumento della salute loro, oltre che di quella di tutti i cittadini, trattandosi spesso di patologie altamente infettive. Se poi i provvedimenti non dovessero essere sospesi si tratterebbe di una vera e propria condanna a morte disposta per via amministrativa, in quanto è noto che le possibilità effettive di cura dell’AIDS e di altre patologie altrettanto gravi, in paesi come gli stati della ex Jugoslavia o la Nigeria, sono praticamente vicine allo zero, soprattutto per chi viene rimpatriato senza mezzi economici a seguito di una espulsione con accompagnamento forzato.
Insomma ancora una volta una nuova ondata di clandestini “per legge” quando, anche a volere modificare la dizione del permesso di soggiorno, era senz’altro possibile rilasciare a queste stesse persone gravemente malate un permesso di soggiorno per motivi umanitari i base all’art. 5.6 del Testo Unico n. 286 del 1998.
Una ulteriore conferma della deriva securitaria di un governo che non è stato neppure capace di portare a compimento la riforma del Testo Unico sull’immigrazione.
Dal tenore delle circolari diffuse dalle Questure sembrerebbe infatti che il governo Prodi, ancora nel mese di gennaio del 2008, abbia indirizzato le stesse questure italiane a tenere una linea ancora più restrittiva di quella suggerita nel 2003 dal sottosegretario Mantovano dopo l’approvazione della legge Bossi Fini, durante il governo Berlusconi.
Riteniamo che la salute dei cittadini stranieri, come quella degli italiani, rientri nel campo di competenze degli atti di ordinaria amministrazione. C’è ancora tempo per un atto riparatorio, anche per evitare un diffuso contenzioso e l’ennesima denuncia dell’Italia alle agenzie internazionali che difendono i diritti umani dei migranti.
Chiediamo pertanto all’attuale governo, ancora in carica fino all’insediamento del nuovo governo, e comunque ai vertici del Ministero dell’Interno, di emettere immediatamente una direttiva che imponga alle Questure, anche sulla base dell’indubbio effetto precettivo dell’art. 32 della Costituzione (diritto alla salute), l’immediato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5.6 del testo unico sull’immigrazione a quanti fossero già in passato titolari di un permesso di soggiorno per cure mediche, e comunque a tutti coloro che versano nella situazione di intervento sanitario obbligatorio, affermata dall’art. 35 del vigente Testo Unico sull’immigrazione.
Mentre le Questure continuano a sfornare provvedimenti di espulsione tanto immotivati quanto vessatori, forse approfittando dal vuoto politico e dall’assenza di una direttiva specifica da parte del ministero dell’Interno, si aprono scenari inquietanti per il futuro del diritto alla salute, non solo degli immigrati, quale che sia la regolarità del loro soggiorno, ma anche della popolazione italiana.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo
Vedi anche:
– Sentenza T.A.R. della Liguria n. 218/2006
– Corte costituzionale – Sentenza 17 luglio 2001, n. 252