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Serbia: quando la violenza contro le persone in movimento si normalizza

Il monitoraggio sul campo di No Name Kitchen

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Piazza della libertà, Trieste. 

È notte, fa freddo, ma tra noi c’è rabbia e forza che vibra. Tu stai aspettando un treno, e mi racconti di come hai fatto ad arrivare lì. Io sono qui con i compagni di No Name Kitchen. Nei tuoi occhi c’è tanta stanchezza, ma nelle tue parole c’è una forza, un coraggio e una speranza che mi fa venire i brividi. Mi parli di tanta violenza, fatica, ostacoli, detenzione. È diverso tempo che si è consapevoli di ciò che accade ai confini della “fortezza europa”, ma c’è qualcosa di diverso nelle tue parole, la situazione della rotta sta peggiorando, cosa sta cambiando? 

Il 27 Ottobre 2023 ci sono state due sparatorie in posti diversi al confine serbo-ungherese 1. Era successo anche a fine 2022, il governo aveva risposto con sgomberi non solo di squat 2 ma anche parzialmente di campi di transito (i campi al nord sono da tempo molto pieni e sgomberavano le persone che dormivano nei pressi dei campi perchè all’interno erano sovraffollati). In quelle operazioni era stata coinvolta anche la gendarmerie ma in primavera 2023 tutto era tornato come prima.

Quest’anno invece la risposta del governo è arrivata immediatamente e in modo molto più violento, sgomberando in modo sistematico tutti gli squat e militarizzando i campi di transito e i paesi di Kikinda, Subotica e Sombor. Dal 7 Novembre sono iniziati anche gli sgomberi completi nei campi di queste tre città 3, con anche video e dichiarazioni del governo serbo.

Inizialmente le persone sono state deportate al Sud, in campi al confine con il Montenegro, Bulgaria e Macedonia del Nord e a Sid, altra città al confine con la Croazia. Il 28 Dicembre gli sgomberi sono iniziati anche nei 2 campi di transito presenti nell’area di Sid (Principovac e Adasevci) e attualmente sono vuoti, rimangono solo circa 40 minori nel campo per famiglie. 

I campi al nord non ospitano più persone ma sono costantemente sorvegliati dalla polizia serba. Da inizio Gennaio sgomberi sistematici sono iniziati anche a Obrenovac, il campo vicino a Belgrado, e hanno riguardato anche persone che sono lì da mesi e lavorano nel territorio, senza alcun rispetto per le loro scelte e la loro vita.

Le conseguenze di questa enorme operazione sono preoccupanti su diversi livelli.

In primo luogo, è allarmante come tantissime persone siano state deportate in modo violento contro la loro volontà e rinchiuse in centri isolati.

Essere nel sud della Serbia è problematico perchè, come denunciato dalle persone in movimento che si trovano lì, all’interno dei campi la polizia è violenta nei loro confronti e il supporto medico è insufficiente. 

A Sjenica, ad esempio, la polizia controlla la città tutto il giorno e molte persone riportano di essere state prese e riportate dal centro città al campo. L’accesso al trasporto pubblico è ostacolato dalla forze dell’ordine. Alla biglietteria non vendono i biglietti alle persone in movimento, o se le persone riescono ad avere un biglietto e ad entrare nell’autobus il più delle volte la polizia controlla l’autobus e le fa uscire. L’alternativa al trasporto pubblico è il taxi, ma i prezzi sono inaccessibili, una corsa Sjenica-Belgrado costa circa 300 euro a persona. Mancano organizzazioni di supporto nella zona, che in altre aree della Serbia da anni sopperiscono alle mancanze del governo nel supporto alle persone in movimento.

L’unico aspetto positivo è che la comunità locale sembra aver reagito bene all’improvviso aumento delle persone presenti nel campo, Sjenica è nella zona musulmana della Serbia e la gente ha la possibilità di andare a pregare alla moschea e di sedersi in diversi bar della città. Ancora una volta, la mancanza di supporto a livello europeo e statale è sostituita dall’attivismo e umanità di persone comuni, ma questo non è abbastanza.

L’aspetto più preoccupante è il peggioramento della violenza psicologica a cui quotidianamente le persone in movimento sono soggette. Le persone sono piuttosto smarrite per il modo in cui sono state trasferite da un luogo all’altro. Molti di loro sono state ferite e hanno perso oggetti personali e denaro durante gli sgomberi. Ora si trovano senza un piano, intrappolati e smarriti. Tutto questo implica la necessità di trovare strade alternative e più pericolose per proseguire il viaggio. 

In Bosnia i campi sono sovraffollati e le condizioni di vita pessime. Si teme che riprendano anche respingimenti da Bosnia a Serbia, come succedeva nel 2020. Inoltre, come si può dedurre dalle testimonianze di pushbacks raccolte da No Name Kitchen 4, la violenza delle polizie europee non si è placata, e se l’unica strada percorribile è la rotta più occidentale, questo espone le persone a maggiori rischi e violenze.

Gli sgomberi e il trasferimento delle persone nel sud non possono essere considerati come azioni singole e separate, ma come parte di un piano più grande iniziato, in diverse parti della Serbia, il 27 ottobre. I campi vengono sistematicamente utilizzati per trattenere le persone, soprattutto quelli di Sjenica e Tutin che vengono utilizzati per isolare e bloccare le persone già da diversi mesi. In generale, tutti i campi al Sud sono situati in piccoli villaggi mal collegati con altre città; la strada è spesso bloccata dalla neve, impedendo l’accesso al campo per diverse settimane. 

Nonostante ufficialmente si giustifichino queste violenze come lotta ai trafficanti, in realtà si violano costantemente dignità e diritti umani delle persone, rilocandole, detenendole e deprivandole della libertà rendendo la loro vita più pericolosa e difficile. Come le associazioni denunciano da tempo, il modo di combattere la criminalità è quello di costruire passaggi sicuri e legali per tutti, e non rendere più difficili, pericolosi e mortali quelli già esistenti. Questo meccanismo è ben spiegato nell’ultimo report di Medici Senza Frontiere Death, despair and destitution: the human costs of the EU’s migration policies 5.

La normalizzazione della violenza presente in Europa verso le persone in movimento combinata con le politiche di esternalizzazione, si traduce in persone bloccate in paesi extra europei senza accesso a protezione e cure mediche adeguate. Le persone che attraversano i confini europei muoiono di deidratazione, ipotermia, ferite causate nei deserti, montagne, foreste, oltre che da ferite causate dagli stessi muri costruiti per “proteggere l’europa”, o dalle violente torture e pestaggi che subiscono quando vengono fermati dalle forze di polizia, mentre cercano di arrivare in posti sicuri o scappano da violenti respingimenti. Tutto ciò impedisce l’accesso al diritto d’asilo e aggiunge ansia, violenza, depressione e traumi a persone già in condizioni precarie. Nonostante l’assurdità di tutto ciò e le continue denunce delle associazioni, il nuovo patto UE sulla migrazione sembra andare ancora di più in questa direzione, invece che segnare inversioni di rotta rispetto a queste atrocità che si consumano da anni ai confini.

Trieste

Arriva il momento di prendere il treno per te e per me di andare a dormire. Tu mi ringrazi e io ringrazio te per questa condivisione così breve ma così intensa. Tu mi dici che il peggio è passato, che anche se tante altre difficoltà arriveranno hai speranza per il tuo futuro. Io ti auguro buona fortuna e mentre cammino a casa con i miei compagni, ispirata dalla tua resistenza, ho una consapevolezza in me. Che questa rabbia, non ce la faremo passare.

  1. Shooting between migrants near the Serbia-Hungary border leaves 3 dead and 1 wounded, report says – EuroNews (27 ottobre 2023)
  2. Con squat si intendono tutti gli insediamenti informali in cui le persone in movimento si rifugiano per riposarsi mentre percorrono la rotta balcanica. Possono essere sia edifici abbandonati che accampamenti di tende
  3. Police cooperation between Serbia, Hungary in preventing irregular migration – Sito governo serbo (ottobre 2023)
  4. No name kitchen and the newest border violence special report: we present the bloody borders project
  5. Vai al rapporto

Chiara Bonfanti

Ho una laurea triennale in filosofia e una magistrale in scienze politiche. Ho scritto la mia tesi su un programma di housing per richiedenti asilo in Grecia. Negli ultimi due anni ho vissuto per alcuni periodi in Grecia e in Serbia, come attivista/tirocinante/volontaria, collaborando con alcuni collettivi/organizzazioni che supportano le persone in movimento.