Quanto vale la vita di un richiedente asilo nigeriano? A Fermo il piatto della bilancia della giustizia dei tribunali indica: 3 mesi di carcere, 6 mesi di domiciliari e obbligo di firma, nulla più. C’è da esultare, infatti nella vicina cittadina c’è chi festeggia la libertà di un omicida e a ragione: il territorio è salvo, la comunità può nuovamente tornare a vivere serenamente nella sua chiusura sociale, lontani dalle vie di comunicazione, dai giornalisti e dagli invadenti riflettori delle tv.
Si, perché il pericolo avvertito è stato solo quello, intendiamoci, il “cittadino” non si sente razzista, sente solo di aver subito una pressione ingiustificata e d’altronde Mancini è parte del tessuto sociale, rappresenta e viene rappresentato, ha un suo ruolo nella città.
Avevano ragione da vendere le istituzioni locali a lanciare da subito le parole d’ordine in stile “difendi Fermo, difendi la tua tribù”, perché questo oggi porta consenso, voti e rispetto nelle strade. La decisione dell’amministrazione comunale di non costituirsi parte civile nel processo penale, ha dimostrato l’incapacità di un’intera comunità di dare un segnale forte e significativo contro quanto accaduto e contro i suoi responsabili, diretti o indiretti. E i risultati si vedono e si sentono, hanno avuto gioco facile, hanno vinto oggi e vogliono continuare a vincere domani.
Solo una parola è stata sempre lontana dalla narrazione ufficiale dell’omicidio razziale.
Ovviamente non è “Sinistra”, entità politica che nella città di Fermo arranca come ovunque: non avendo sedi e spazi di aggregazione/socialità, non ha più base.
Citando il collettivo Wu Ming, “la parola refrattaria inzia con “F” e no, non è Fermana”, è un’altra ed è sempre più un tabù.
Emmanuel Vive, la città è morta.
Comunicato del Csa Officina Trenino “211″
Porto San Giorgio, FM