Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

I confini come campi di tensione

Intervista a Sandro Mezzadra

Photo credit: Mediterranea Saving Humans

Come spiegheresti, a parole o attraverso immagini, il concetto di confine oggi, nell’era della globalizzazione e della libera circolazione di merci e capitali?

Ho scritto molto su questi temi e l’ho fatto perché i confini sono prima di tutto oggi un luogo di conflitto, alcuni confini in modo particolarmente pronunciato. A me pare che il confine, contrariamente a quello che suggerisce la sua rappresentazione cartografica, definito come una linea, sia un campo di tensione determinato, da una parte, da processi di rafforzamento del confine stesso e dall’altro lato da pratiche che puntano spesso con successo all’attraversamento. Detta così sembra un concetto astratto, ma se pensiamo a quel che accade nel Mediterraneo ci rendiamo conto che tale definizione è tutt’altro che astratta.

Nel Mediterraneo ci sono processi che puntano al rafforzamento e direi anche alla fortificazione dei confini. A questi processi reagiscono però pratiche messe in campo da donne e uomini in movimento che puntano all’attraversamento di quei confini, sfidano quei confini pagando spesso un prezzo intollerabile. Questo è per me oggi prima di tutto il confine, oltre ad altre cose…

Veniamo ora al “terreno conflittuale” dell’immigrazione. I migranti che valicano un confine o lo attraversano via mare, divengono automaticamente illegali perché così è stato stabilito dalla legge. Su di loro incombe, non appena poggiano il piede su un nuovo Paese, lo stigma del clandestino che fomenta “panico morale” e senso di insicurezza, che tra l’altro sono alimentati giorno dopo giorno dal nostro ministro dell’Interno. Come sfatare il binomio che assurge a verità, istituzionalizzato attraverso una legiferazione, dell’insicurezza collegata all’immigrazione?

Esiste effettivamente in questo momento in Italia un processo di spettacolarizzazione dei confini, un processo per cui tutto ciò che accade attorno ai confini viene presentato nei termini dell’emergenza che a che fare con la sicurezza. Rispondere a questa domanda è tutt’altro che facile.

Siamo tanti e tante, collettivamente, impegnati a riguardo. Una pista di riflessione è quella che spinge a collegare ciò che accade attorno al confine con ciò che accade all’interno dello spazio che il confine dovrebbe perimetrare: nel nostro caso l’Italia. Nello spazio Italiano oggi la migrazione si presenta come qualcosa di normale, radicato e ancora: normale.

Noi dovremmo essere in grado, tra le altre cose, di proiettare questa normalità dell’immigrazione sul confine, produrre noi una narrazione del confine che sia nutrita dalla normalità dell’immigrazione. Non significa naturalmente proporre un’immagine irenica, idilliaca dell’immigrazione stessa. La normalità dell’immigrazione è una realtà di conflitto, di lotte, di processi di organizzazione, ed è questa normalità che bisogna rivendicare, cercando di spingerla verso una società che sia sempre libera ed eguale. Certamente non è la tendenza che esiste oggigiorno in Italia, dobbiamo lavorare contro la tendenza in atto.

Parlavi tu stesso di immigrazione come terreno conflittuale anche se normalmente si rischia di entrare in una logica infantilizzante o “paternalistica”. Come si decostruisce questa logica?

Intanto la decostruiscono quotidianamente i migranti e le migranti che reagiscono a questa logica paternalistica e la smentiscono con le loro vite quotidiane. Noi dobbiamo cercare di agganciarci a queste pratiche e a queste vite, ancora una volta, per metterle in risonanza con altre pratiche ed altre vite.

Quali saranno le prossime iniziative?

Le prossime iniziative di Mediterranea sono intanto la campagna #FreeMareJonio per la fine del sequestro a cui la nostra nave è sottoposta ormai da un mese e mezzo. Attorno a questa campagna poi le iniziative sono moltissime. Dal sito di Mediterranea si può avere un quadro di queste iniziative.