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PdS per affidamento e conversione in altro titolo: il caso di un minore albanese che si è visto notificare il rigetto dopo più di un anno di attesa

Consiglio di Stato, ordinanza n. 231 del 22 gennaio 2021

Un altro caso limite ed alquanto singolare che riguarda un cittadino albanese alle prese con gli insormontabili ostacoli per il rilascio del permesso di soggiorno in conversione con Ufficio Immigrazione della Questura di Bari.

Il ricorrente, cittadino albanese, giungeva in Italia senza figure genitoriali ed affidato con atto notarile, da entrambi i genitori, ad un amico di famiglia. Una volta in Italia il minore si recava presso l’abitazione del affidatario di “fatto”, il quale si rivolgeva al Tribunale per i minorenni di Bari per ottenere l’affidamento di diritto; all’uopo iscriveva il minore al corso di alfabetizzazione ed apprendimento della lingua italiana.

Il Tribunale per i Minorenni di Bari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 4 della L. 184/83, affidava il minore all’amico di famiglia affinché si prendesse cura di lui a causa delle pessime condizioni economiche dei genitori, ed incaricava, altresì, i Servizi sociali del Comune di Rutigliano di curarne l’istruzione, l’eventuale formazione professionale, la socializzazione ed il corretto inserimento nel tessuto sociale.
In virtù del provvedimento del Tribunale dei Minorenni di Bari, il ricorrente, ancora minorenne, richiedeva il permesso di soggiorno per affidamento. Dopo più di 1 anno dalla richiesta del permesso di soggiorno la Questura di Bari notificava il preavviso di rigetto ex art. 10 bis della L. 241/90 nel quale si comunicava quanto segue: “(…) ormai ultra-maggiorenne, è stato avviato il procedimento amministrativo diretto all’adozione di rigetto del rilascio per altri motivi del titolo di soggiorno, poiché, ai sensi dell’art. 32 del D.Lgs. 286/98, lei è in Italia da meno di 3 anni (dal 21/07/2017) e la Direzione Generale dell’Immigrazione – Divisione II – (ex Comitato per i minori stranieri) presso il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, con nota n. 947 del’11/03/2020 non ha espresso parere favorevole sulla prosecuzione del Suo soggiorno in Italia posto che lei, nel periodo di permanenza in Italia durante la minore età circa 2 anni), non ha intrapreso alcun serio percorso di integrazione sociale e civile passibile di valutazione e presupposto necessario per il rilascio del parere”.

Nonostante la promessa di assunzione, la dimostrazione di uno stabile ed effettivo inserimento sociale e lavorativo che davano diritto al minore, quantomeno, un permesso di soggiorno per motivi di affidamento dapprima ed in seguito in conversione ad altro titolo ossia per ragioni di lavoro, il Questore di Bari con il provvedimento impugnato respingeva la richiesta di permesso di soggiorno avanzata. Avverso il decreto di rigetto veniva proposto ricorso al Tar Puglia – sede di Bari che rigettava la richiesta sospensiva.
Avverso l’ordinanza di rigetto si proponeva appello al Consiglio di Sato affidandosi ai seguenti motivi:

– Erronea motivazione dell’ordinanza impugnata sul fumus boni iuris e sul periculum in mora.

– Violazione e falsa applicazione del quadro normativo di riferimento per i minori non accompagnati ossia: violazione dell’art. 32 comma 1 bis del D.Lgs. 286/98 e dell’art. 2 L. n. 184/1983; in particolare si osservava come con l’ordinanza impugnata, il TAR Puglia – Bari, aveva ritenuto non sussistente il buon diritto del ricorrente per due ragioni:

1) la prima perché “al momento dell’adozione del provvedimento impugnato il richiedente era diventato maggiorenne, non rilevando, ai fini della legittimità del provvedimento, il ritardo con cui il Questore ha esitato l’istanza, essendo ordinatorio il termine per il rilascio del titolo (c.f.r.: Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza n. 2916/2019)”.
Con tale motivazione il TAR spostava l’attenzione dal reale motivo d’impugnazione, avendo il provvedimento motivato il rigetto del permesso di soggiorno in ragione della maggiore età raggiunta dal ricorrente e per la mancanza di un espresso parere favorevole dell’ex Commissione per i minori stranieri.

Orbene, pur rispettando il richiamo giurisprudenziale dell’Ecc.ma Corte adita, deve rilevarsi che nel ricorso non si denunciava la violazione del termine di 60 giorni, previsto dall’art. 5 comma 9 del D.Lgs. 286/98, al fine di far dichiarare illegittimo il provvedimento, ma, solo per rilevare una grave irregolarità nell’iter procedimentale che aveva inciso sull’interesse legittimo del ricorrente ad ottenere un provvedimento espresso in tempi ragionevoli, nonché, sul diritto del medesimo ad ottenere il permesso di soggiorno richiesto.
Infatti, l’Ecc.ma Corte adita nella sentenza n. 1084 del 27 febbraio 2012 osserva che: “Quanto al secondo motivo di appello non può che richiamarsi il costante orientamento di questo Consiglio, in forza del quale in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio ed il suo superamento non determina l’illegittimità dell’atto, ma una semplice irregolarità non viziante”.

Nel caso de quo, si vuole evidenziare che, l’amministrazione non solo non ha rispettato il termine previsto per legge, ma se ne è addirittura avvalso per ritenere che “CONSIDERATO che il sig. XX ha raggiunto la maggiore età già dal 10/06/2019 e ciò giustifica il venir meno della speciale tutela sancita dalle norme nei confronti dei minori stranieri”.

Pertanto, e qui è il nocciolo della questione, quella che era una mera irregolarità non viziante è divenuta, per l’amministrazione, la ragione prima per negare al ricorrente il suo buon diritto.

Orbene, se il mancato rispetto del termine non avesse mutato alcuno dei requisiti presenti al momento dell’istanza avanzata dal ricorrente, l’amministrazione avrebbe potuto prendersi tutto il tempo che voleva; ma nel momento in cui il trascorrere del tempo abbia inciso su di uno dei requisiti, in questo caso l’età del ricorrente, tale comportamento non può essere considerato solo una mera irregolarità ma deve essere considerato un vizio procedimentale idoneo ad incidere sulla regolarità del provvedimento.

2) la seconda perché nel provvedimento questorile sarebbero stati “in ogni caso rispettati i parametri prescritti dall’art. 32 comma 1 bis dlgs 286/98”.
La motivazione ancorché estremamente generica, poiché non specifica quali sarebbero i parametri a cui ci si riferisce e le ragioni per ritenere, nel caso de quo, che tali parametri sarebbero stati rispettati, non tiene in debito conto la giurisprudenza formatasi sull’interpretazione dell’art. 32 comma 1 bis e sul valore da dare al parere della Commissione.

Detto articolo, infatti, prevede che il minore straniero non accompagnato, affidato ai sensi dell’art. 2 della L. 184/1983, al raggiungimento della maggiore età abbia diritto ad un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri.

Premesso che il ricorrente, a seguito del provvedimento del Tribunale per i Minorenni, aveva richiesto un permesso di soggiorno per motivi di affidamento, per il quale non è richiesto alcun parere della ex Commissione per i minori stranieri, il predetto parere, comunque, contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento questorile impugnato non è vincolante.

Sul punto si richiama la pronuncia Consiglio di Stato, Sez. 3, sentenza 3431/2020 del 01/06/2020, secondo cui: “Non ricadendo la posizione dell’appellante, nella fattispecie in esame, nella seconda ipotesi (con la conseguenza che risultano inconferenti le deduzioni difensive dell’Amministrazione, intese ad evidenziare il mancato svolgimento di “un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato”), l’esame della sua istanza era quindi subordinato, secondo il richiamato univoco dettato normativo, all’acquisizione del parere del predetto Comitato.
Deve tuttavia ritenersi che, in mancanza di univoche indicazioni qualificatorie di segno contrario, al suddetto parere non potrebbe riconoscersi natura vincolante, tale che il procedimento di conversione, in presenza di un parere di segno negativo, avrebbe dovuto ineluttabilmente concludersi in senso reiettivo.
Invero, la subordinazione del rilascio del permesso di soggiorno al “parere positivo” del Ministero del Lavoro deve ritenersi come la configurazione di un possibile modus procedendi dell’Amministrazione, la quale è senz’altro legittimata al rilascio del titolo in presenza di una valutazione favorevole formulata in sede consultiva, senza tuttavia escludere percorsi procedimentali alternativi, i quali, senza obliterare la rilevanza del suddetto parere, si fondino sull’acquisizione di elementi non considerati in sede consultiva ed idonei a dimostrare la meritevolezza della richiesta conversione.
Tale esito interpretativo, peraltro, risulta recepito dall’Amministrazione procedente, come si evince dal provvedimento impugnato, che all’uopo richiama le pertinenti indicazioni ministeriali (cfr., sul punto, le Linee – Guida del Ministero del Lavoro dedicate al rilascio dei pareri per la conversione del permesso di soggiorno dei minori stranieri non accompagnati al raggiungimento della maggiore età, laddove si afferma che “il parere si configura come un atto endo-procedimentale, obbligatorio ancorché non vincolante, ai fini dell’adozione da parte della Questura territorialmente competente del provvedimento relativo al rilascio del permesso di soggiorno al compimento del 18esimo anno d’età”).
Ad ulteriore conferma di tale conclusione, inoltre, è d’uopo rilevare che lo stesso parere ministeriale si conclude con l’inciso “restano comunque ferme le competenze della Questura territorialmente competente in ordine all’adozione dei provvedimenti che riguardano la conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età”, evidentemente dimostrativo della permanenza, pur a seguito del suo rilascio, di un margine di discrezionalità valutativa in capo all’Amministrazione.
”.

In senso conforme Consiglio di Stato, Sez. 3, sentenza 4812/2020 del 29/07/2020 e Consiglio di Stato, Sez. 3, sentenza 3082/2020 del 14/05/2020.

Pertanto, poiché la Commissione non era stata in grado di esprimere un parere favorevole sul percorso d’integrazione sociale e civile del ricorrente, basato esclusivamente sul percorso scolastico e formativo ma, al contempo, non aveva espresso nemmeno un parere negativo, anzi, aveva demandato alla Questura ogni ulteriore valutazione, quest’ultima avrebbe dovuto valutare tutte le circostanze del caso, come il positivo affidamento disposto dal Tribunale per i Minorenni, la durata del soggiorno di ben tre anni ad oggi, i legami familiari, l’integrazione sociale raggiunta nel paese di residenza documentata dai servizi sociali, attività lavorativa svolta e, soprattutto, la proposta di assunzione, tutti elementi trascurati nel provvedimento questorile e sacrificati sull’assunto che “in relazione a quanto sopra, l’istante non ha i requisiti previsti dalla legge per poter ancora soggiornare nel territorio dello stato, preclusa da disposizioni di carattere assolutamente vincolante che non lasciano margini di apprezzamento discrezionale”.

L’iter procedimentale più corretto, che la Questura avrebbe dovuto seguire, sarebbe stato rilasciare il permesso di soggiorno per affidamento, avendone il ricorrente tutti i requisiti e senza che fosse necessario il parere del Comitato minori, dopodiché, valutare il rilascio di un permesso di soggiorno in conversione o ad altro titolo.
Alla luce delle suesposte ragioni, si ritiene che il TAR abbia trascurato e non adeguatamente valutato il buon diritto del ricorrente.
Quanto al periculum in mora, dal TAR ritenuto genericamente dedotto e non provato, basti solo dire che il pericolo per il ricorrente di essere raggiunto da un provvedimento espulsivo è reale e non ipotetico, atteso che il TAR non ha concesso la sospensiva e il ragazzo attualmente è sprovvisto di un titolo autorizzatorio per restare in Italia, quanto alle precarie condizioni economiche a cui lo stesso andrebbe incontro in Albania è il caso solo di rammentare che nella dichiarazione notarile i genitori espressamente chiarivano le ragioni dell’affidamento all’amico di famiglia “perché siamo in una situazione difficile economica e il domicilio è molto piccolo”, peraltro, circostanze già valutate dal Tribunale per i Minorenni per tutelare il minore, inoltre, sono ben note le condizioni economiche delle famiglie in Albania, a ciò si aggiunga l’attuale situazione sanitaria dovuta alla pandemia da COVID-19.

Pertanto, il rigetto dell’istanza cautelare di fatto negava al ricorrente, sino al giudizio di merito, la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per minore età in un permesso per affidamento, che gli consentirebbe di lavorare; gli nega la possibilità, a parità di condizione con altri minori stranieri ed italiani, di avviare, in base al combinato disposto degli artt. 29 del R.D. L.vo 1404/34 e 23 della Legge 39/75, il prosieguo amministrativo delle misure di protezione e di assistenza fino al compimento del 21° anno d’età, inoltre, gli nega la possibilità di permanere legittimamente sul territorio nazionale esponendolo ad un’illegittima espulsione.

Con ordinanza del 21.01.2021 il Consiglio di Stato – III sezione accoglieva la domanda cautelare con la seguente motivazione: “Ritenuto che, nella comparazione dei contrapposti interessi, debba riconoscersi rilievo prevalente a quello, fatto valere dalla parte appellante, alla conservazione della posizione di soggiornante nel territorio nazionale, anche in considerazione della sua giovane età; …. La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione“.

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Consiglio di Stato, ordinanza n. 231 del 22 gennaio 2021