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Grecia. Che ne è dei sopravvissuti della strage di Pylos?

Una testimonianza raccolta da Solidarity With Migrants

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«Il crimine di Stato a Pylos non sarà dimenticato, giustizia per le vittime e i sopravvissuti. Libertà di movimento per tutte/i!», sono le rivendicazioni che sabato 2 settembre centinaia di persone hanno portato in piazza ad Atene in un corteo che si è mosso dalla stazione metro del Pireo verso la sede di Frontex e della Guardia Costiera greca.

Una protesta contro le politiche migratorie razziste e mortali dell’UE e della Grecia, che costano migliaia di vite e per chiedere verità e giustizia sul naufragio di Pylos del 14 giugno 2023, una strage in cui sono morte più di 600 persone.

Ma cosa ne è stato dei sopravvissuti, in totale 104 persone? 

Refugee Support Aegean (RSA) che, fin dal primo giorno, ne segue l’assistenza legale e rappresenta i sopravvissuti al naufragio 1 e i parenti delle vittime, ha spiegato nel dettaglio il trattamento che le autorità greche hanno riservato a queste persone sin dalle ore successive 2 alla strage.

«Subito dopo aver assistito alla morte e alla perdita di parenti, amici e compagni di viaggio, sono stati inizialmente trattati come “immigrati irregolari” invece di ricevere le cure necessarie per la loro accoglienza e il loro sostegno in quanto persone vulnerabili che hanno subito un grave trauma. 
Durante la loro permanenza nel porto di Kalamata, i sopravvissuti sono stati ammassati in condizioni di detenzione in un magazzino, sono stati costretti a dormire su materassi sul pavimento e non sono potuti uscire nemmeno per contattare i loro parenti/conoscenti che stavano arrivando sotto shock da altri Paesi. L’immagine dello straziante incontro tra due fratelli e il loro abbraccio dietro le sbarre è indicativa del trattamento inaccettabile riservato a queste persone dalle autorità competenti». 

Anche i sopravvissuti ricoverati in ospedale non hanno potuto vedere i parenti, poiché le autorità hanno dichiarato che erano detenuti.
Dalle testimonianze raccolte emerge che chiunque avesse ancora un telefono cellulare è stato obbligato a consegnarlo alle autorità.

Global Detention Project in un documento pubblicato nel mese di agosto «Imprisonment Rather Than Protection: Pylos Survivors Detained in Greece» denuncia la condizione di detenzione arbitraria in cui vengono trattenuti molti dei sopravvissuti nel centro di Malakasa. Qui sono stati trasferiti il 16 e il 17 giugno 3.

Il Centro di accoglienza e identificazione di Malakasa (RIC) 4, fuori Atene, è una struttura circondata da una recinzione di metallo e filo spinato, che in passato ha ospitato i sopravvissuti di altri naufragi.

«Il RIC – uno dei tanti in Grecia – è progettato per ospitare temporaneamente gli arrivi irregolari mentre vengono sottoposti a procedure di accoglienza e identificazione e presentano domanda di asilo». Le persone non sono libere di andare e venire durante questo procedimento, ma sono soggette a rigide restrizioni di movimento che possono durare fino a 25 giorni.

Una struttura inadeguata per chi è sopravvive ad un evento così traumatico, un centro di detenzione de facto, si legge nel documento di GDP. Le persone possono essere private arbitrariamente della loro libertà in violazione delle leggi e dei regolamenti dell’UE in materia di asilo, la definisce l’organizzazione.

RSA – che ha già avuto accesso al sito – descrive la struttura composta da numerosi container in cui i detenuti condividono lo spazio per dormire e vivere con livelli minimi di privacy.

Con i telefoni persi o confiscati, molti hanno faticato a contattare amici e parenti per aggiornarli sulla situazione. Hanno invece fatto affidamento sul fatto che altri nel campo prestassero loro i dispositivi. Le autorità non hanno fornito telefoni ai sopravvissuti e solo alcuni sono stati assistiti dalla Croce Rossa.

Pare che il sequestro dei telefoni “per questioni di sicurezza” sia una pratica che le autorità greche stanno utilizzando sempre di più negli ultimi mesi. Come denuncia NoBorder, questo comporta il non poter contattare un legale o un’organizzazione; non conoscere la posizione geografica in cui si trovano; non poter avere nessuno contatto con familiari e amici.

«Sono stati sottoposti all’impegnativo processo dei colloqui di asilo con procedure estremamente ridotte, senza tempo sufficiente per la preparazione, l’assistenza legale o un adeguato supporto psicosociale».

Ai sopravvissuti è stato chiesto di descrivere dettagliatamente le ragioni della fuga dai loro Paesi in colloqui che non soddisfano le garanzie procedurali di base per le persone vulnerabili, condotti nei container del RIC di Malakasa tramite telefoni cellulari, senza la presenza fisica degli operatori e degli interpreti del Servizio di asilo e senza registrazione audio, come richiesto dal Codice di asilo greco. Queste problematiche sono state sollevate dalle organizzazioni legali presso le autorità greche.

Venerdì 1° settembre Solidarity with Migrants ha pubblicato un aggiornamento da Malakasa dopo aver incontrato e parlato con alcuni dei sopravvissuti al naufragio di Pylos.

Ecco la loro testimonianza sulle condizioni del centro, sul trattamento riservato loro dalle autorità dopo il naufragio e sulle loro richieste per il futuro.

«Quando è avvenuto il naufragio, stavamo andando in Italia. Il naufragio è stato colpa della Grecia, la Grecia ha commesso un errore. La Grecia, invece di salvarci, ha lasciato affondare la nave e ora non ci dà i documenti legali necessari per lasciare il campo. Noi chiediamo quei documenti legali per poter lavorare e vivere la nostra vita.
Ora, in Grecia, abbiamo bisogno di documenti per poter lasciare il campo e vivere normalmente. Non riusciamo a trovare lavoro e nel campo le condizioni sono miserevoli. La carta di credito che dovremmo ricevere mensilmente è di soli 70 euro e per alcuni di noi ci sono ritardi fino a 2 mesi. I soldi dovrebbero arrivare ogni 10 del mese, ma l’ultima volta che ho contattato il servizio mi hanno detto che mi avrebbero dato i soldi il 20 settembre. I residenti si dividono i soldi e le cose per sopravvivere.Il cibo fa schifo, è spazzatura. Possiamo mangiare cibo adeguato solo 2 giorni alla settimana, altrimenti mangiamo spaghetti o riso semplice che cuciniamo noi stessi. Per un’intera settimana abbiamo mangiato riso, spesso semplice o con verdure comprate al supermercato.

Alle nuove persone che arrivano al campo a volte non viene dato il cibo. Ci danno solo 2 bottiglie d’acqua da 1,5 litri ciascuna per 24 ore, che spesso non sono sufficienti per noi. C’è una fontanella nel campo, ma anche questa non è sufficiente per tutte le persone.

Non ci vengono forniti articoli da toilette, shampoo, ecc. Ogni mese ci viene detto che ci verranno dati alcuni vestiti e scarpe, ma non ci vengono forniti nemmeno questi.
Per venire ad Atene paghiamo noi stessi i biglietti. Ogni volta vanno e vengono 3,60×2=7,20€. Ci affidiamo l’uno all’altro e all’aiuto di altre persone.

Sorvegliano le persone con cui parliamo. Per motivi di sicurezza ci impediscono di parlare con altri migranti del naufragio che vivono a Kalamata. Ci hanno detto di non parlare con i media e le organizzazioni politiche.

Per i primi 3 giorni non ci hanno nemmeno permesso di parlare con le nostre famiglie. Recentemente, 3-4 giorni fa, hanno introdotto l’ingresso con le impronte digitali, fino ad ora abbiamo scansionato la scheda e siamo entrati. Se non dai le tue impronte digitali non puoi lasciare il campo per andare a sbrigare i tuoi impegni. Stiamo aspettando il servizio di asilo per vedere cosa succede. La carta che abbiamo ora è quella di un richiedente asilo e dura 3 mesi. Stiamo aspettando di vedere se possiamo ottenere la nostra carta per lasciare il campo».

Vedi anche:

  1. Naufragio di Pylos: Cronologia e archivio di una tragedia che poteva essere evitata
  2. Blatant lack of information and investigation, one month after the shipwreck in Pylos, Greece (RSA, luglio 2023)
  3. Le testimonianze video da Malakasa di MSF il 16 giugno 1 e 2
  4. I RIC sul sito del governo greco

Redazione

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