Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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I confini non sono il luogo in cui accadono le violenze, sono il motivo per cui accadono

Una riflessione dal confine italo-francese del Progetto 20K

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Stazione di Sospel, Francia, ore 7.40. Nel paese della Val Roya passa il treno che collega Breil sur Roya a Nizza, all’interno poca gente. Appena il treno giunge alla stazione spuntano sette soldati e una dozzina di gendarmes. I militari circondano il treno, mitragliatrici in mano, mentre i poliziotti, a due a due, entrano nel treno, scrutano i passeggeri per rilevare soggettività razzializzate. Si fermano quando vedono due ragazzini, gli chiedono i documenti. I ragazzi glieli mostrano, vanno bene, i poliziotti scendono e il treno riparte.

Stazione di Menton Garavan, Francia, ore 15.00. La situazione è identica, il treno che parte da Ventimiglia e che percorre la Côte d’Azur si ferma alla stazione, e circa quindici poliziotti, di cui alcuni appartenenti al corpo speciale antiterrorismo (facenti parte del piano vigipirate) pattugliano il treno. Chiedono i documenti ad una donna con una neonata, ha solo una foto, la fanno scendere, e il treno riparte.

Queste scene che sembrano provenire da una zona di guerra accadono quotidianamente lungo la frontiera italo-francese.

La situazione è questa dal 2015, quando il governo francese ha deciso di ripristinare i controlli ai confini proprio per impedire allə migrantə di oltrepassare il confine e giungere in Francia, e episodi di intensificazione della presenza di forze di polizia e della militarizzazione avvengono ciclicamente, spesso a causa di giochi politici tra il governo francese e quello italiano.

I poliziotti e i soldati agiscono come addetti al controllo e alla rimozione di difetti in un meccanismo: sorvegliano le persone che entrano in Francia e se queste non hanno tratti palesemente europei controllano che gli sia stato concesso un permesso di entrare, una sorta di certificato di garanzia di qualità del prodotto. Se questo documento non esiste il soggetto rischia di inceppare gli ingranaggi della civiltà liberale francese e europea, e dunque viene rimosso. Tolto il rischio del malfunzionamento della macchina, avendo estirpato dalla massa di soggetti entranti quelli perniciosi, il movimento può continuare.

Questo meccanismo perverso crea una differenziazione di accesso al diritto di movimento in maniera perfetta: il confine si materializza solo per chi viene designato come “irregolare” mentre per tutte le altre persone che arrivano in Francia è al massimo un fastidioso ritardo di qualche minuto.

L’effetto che il confine crea sulle persone è evidente nella città di Ventimiglia, a circa 9 chilometri dalla stazione di polizia dove avvengono i pushback.

Il numero dellə migrantə presenti in città è arrivato nel mese di settembre a quasi cinquecento persone, chi lavora qua da anni ci dice che è dal 2018 che non si vedeva una situazione simile. Le persone che vengono respinte quotidianamente dalla polizia francese sono circa 150/200.

Centinaia di persone dormono all’addiaccio in città, alcune sotto il cavalcavia in Via Tenda, altre in stazione, altre ancora dove trovano un posto. Più di qualcunə ci ha detto che è spaventatə dal dormire fuori, e anche chi non lo è è costrettə a dormire al freddo, senza alcun tipo di servizio essenziale e attirandosi per giunta la rabbia della popolazione.

La Caritas ha alcuni posti letto, ma sono assolutamente insufficienti, anche solo per chi ha maggiori vulnerabilità (donne sole, che rischiano di essere costrette a entrare in reti mafiose dominate da uomini organizzati che cercano di sfruttare l’indigenza per il proprio profitto; minori adolescenti non accompagnati; famiglie con bambini piccoli; persone che soffrono di estrema vulnerabilità psicologica…).

La risposta che arriva dalla popolazione locale e dalle istituzioni è esclusivamente quella dell’antagonismo e della repressione. La città di Ventimiglia, soprattutto la città bassa, è un luogo profondamente colpito dalla presenza della frontiera, in cui tutto sembra orientato verso il soddisfacimento degli interessi del turismo sciacallante che imperversa in città e un apparente destino di dover esistere come luogo di passaggio per chi può viaggiare liberamente. La rabbia dellə cittadinə si riversa però sullə migrantə, accusatə di sporcare, di ubriacarsi, di fare casino e di creare un senso generale di insicurezza.

L’assurdità della situazione è che non sono le migrantə a voler stare a Ventimiglia, a non avere un posto quantomeno decente dove dormire, è la politica, internazionale, nazionale e locale che le costringe; ma lə cittadinə sembrano non accorgersene, criminalizzando chi agisce solidarietà e chiedendo alle istituzioni locali risposte securitarie e coercitive. E la risposta arriva prontamente, e così via all’assunzione di due vigilantes per impedire allə migrantə di accedere all’unico accesso di acqua potabile vicino a uno dei principali luoghi dove possono riposare, alle azioni di sgombero e alla chiusura dei luoghi dove le persone passano la notte, ai proclami per le aperture di CPR e così via.

La scorsa settimana due persone sono state uccise dalla frontiera. Nel bel mezzo del paradiso liberale e democratico dell’Europa, due persone sono state uccise in una zona di confine dove tutte le interazioni sono condotte attraverso il prisma di un razzismo violento, umiliante e onnipresente. Questi confini (che, è bene sottolinearlo, non sono uno stato di fatto, ma il prodotto della volontà politica dei poteri costituiti) si sono presi queste vite, in nome della sicurezza, della conservazione nazionale, del fallimento dei doveri occidentali e della protezione del privilegio bianco. In totale, dal 2016, quasi cinquanta persone razzializzate sono morte in questa zona di confine, e questa terribile cifra, come quella dei dispersi nel Mediterraneo, non è sufficiente a riconoscere la singolarità, la complessità e l’emozione provocate dalla scomparsa di ciascuna di queste persone. Inoltre, questa cifra (senza essere definitiva) non deve nascondere il trauma fisico e psicologico causato dal (soprav)vivere in questa zona di confine.

La questione, ci troviamo costrettə a ripeterlo ancora una volta, è sempre la stessa: la libertà di movimento delle persone non può essere fermata. Questa è una constatazione storicamente e empiricamente dimostrata e dimostrabile, le persone continuano a bucare le frontiere quotidianamente, e l’aumento della violenza non smorzerà questa rivolta silenziosa.

La questione che i governi si devono porre è quanto sangue vogliono ancora versare, quante vessazioni vogliono ancora far subire a chi rivendica col proprio corpo la libertà di potersi spostare liberamente, quanto cinici e spietati vogliono ancora mostrarsi. Il potere è disumano, ma ciò con cui si confronta, ciò che vuole annichilire, sono corpi, sono persone, che non vogliono e non accettano passivamente di chinare la testa o di farsi scoraggiare dalle violenze e che continueranno a ribellarsi.

A Ventimiglia la situazione è la stessa da anni. O meglio, la situazione concreta è una costante parabola peggiorativa per le persone migranti, ma le politiche repressive sono sempre le stesse. Non ci illudiamo che siano i governi di destra, dichiaratamente xenofobi, sciovinisti e reazionari ad aver causato questa situazione. La c.d. “questione migratoria” viene affrontata dai governi nazionali ed europei secondo gli stessi principi da ormai trent’anni, ed anche se la maschera può diventare quella del pietismo “whitesaviorista”, il fil rouge è sempre l’autoconservazione del privilegio statale ed europeo. E così la frontiera continua a colpire chi non può attraversarla liberamente, che sia attraverso la violenza della polizia al confine, il tremendo e allo stesso tempo carnevalesco dispiegamento di armi e forze, il disagio premeditato delle condizioni igienico-sanitarie in cui sono costrette le persone migranti, il razzismo istituzionale e sociale alimentato ad hoc da media e politici, la criminalizzazione della sofferenza e delle persone oppresse, fingendo che tutto ciò sia funzionale al buon funzionamento della macchina democratica capitalista.

I confini non sono il luogo in cui accadono le violenze, sono il motivo per cui accadono le violenze. I confini sono un dispositivo oppressivo a salvaguardia del privilegio degli stati. Quel privilegio conquistato (anche) attraverso secoli di imperialismo, colonialismo ed ora neocolonialismo. Per quanto gli stati liberisti pensino di poter sfruttare interi popoli, depauperandoli di risorse, finanziando gruppi armati, schiavizzando bambinə, e di poter poi picchiare, intimidire e imprigionare chi cerca di arrivare nei posti in cui si accumula la ricchezza derivante da queste nefandezze, tutto in ragione del proprio benessere e senza che nessunə venga a scalfire la loro torre d’avorio, dovranno arrendersi all’evidenza che ciò non è possibile.

Chi ogni giorno si ribella alla frontiera sta compiendo un atto di rivolta e più questi atti di rivolta verranno soppressi più la rabbia aumenterà e più la rabbia aumenterà più veloce e potente sarà l’onda che travolgerà gli stati nazione, i confini, i loro privilegi e l’oppressione razzista.

Siamo complici e solidali con la lotta migrante.

Progetto 20k