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La CGUE sulla domanda di asilo reiterata basata sulla conversione religiosa dopo aver lasciato il Paese di origine

Corte di Giustizia UE, sentenza del 29 febbraio 2024

Ph: David Shankbone - flickr

La Corte di giustizia Ue, nella causa C-222/22 (Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl – Conversione religiosa successiva), afferma che una domanda di asilo basata su una conversione religiosa intervenuta dopo aver lasciato il paese di origine non può essere automaticamente respinta in quanto abusiva.

La vicenda

Un cittadino iraniano, la cui prima domanda di protezione internazionale è stata respinta dalle autorità austriache, ha presentato in Austria una nuova domanda (detta «domanda reiterata») di protezione internazionale. Egli ha affermato di essersi convertito nel frattempo al cristianesimo e temeva pertanto di essere perseguitato nel suo paese d’origine.

All’interessato è stato successivamente concesso il beneficio della protezione sussidiaria e un diritto di soggiorno temporaneo. Infatti, le autorità austriache hanno constatato che egli aveva dimostrato in modo credibile di essersi convertito «per intima convinzione» al cristianesimo in Austria e che praticava attivamente tale religione. Per questo motivo, egli correva il rischio di essere esposto, in caso di ritorno nel suo paese d’origine, ad una persecuzione individuale.

Per contro, le autorità austriache hanno rifiutato di riconoscere all’interessato lo status di rifugiato. Infatti, il diritto austriaco subordina il riconoscimento dello status di rifugiato a seguito di una domanda reiterata alla condizione che la nuova circostanza determinata dall’interessato stesso costituisca l’espressione e la continuazione di una convinzione già manifestata nel paese di origine. La Corte amministrativa austriaca chiede alla Corte di giustizia se tale condizione sia compatibile con la direttiva «qualifiche». La Corte risponde in senso negativo.

La direttiva «qualifiche» non consente di presumere che qualsiasi domanda reiterata basata su circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la sua partenza dal paese d’origine derivi da un’intenzione abusiva e di strumentalizzazione della procedura di riconoscimento della protezione internazionale. Qualsiasi domanda reiterata deve essere valutata individualmente.

Pertanto, se si constata, come nel caso di specie, che l’interessato ha dimostrato in modo credibile di essersi convertito «per intima convinzione» e di praticare attivamente tale religione, ciò è tale da escludere l’esistenza di un’intenzione abusiva e di strumentalizzazione della procedura. Se un tale richiedente soddisfa le condizioni previste dalla direttiva per essere qualificato come rifugiato, deve essergli riconosciuto tale status.

Per contro, se vengono accertate un’intenzione abusiva e una strumentalizzazione della procedura, il riconoscimento dello status di rifugiato può essere negato anche quando l’interessato teme a ragione di essere perseguitato nel suo paese d’origine, come conseguenza delle circostanze che egli stesso ha determinato. Egli conserva tuttavia, in tale ipotesi, la qualità di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra. In tal caso, l’interessato deve beneficiare della protezione garantita da tale convenzione, che vieta in particolare l’espulsione e il respingimento verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo, segnatamente, della sua religione.

IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.