Sabato 2 marzo centinaia di persone hanno attraversato il Silos, un edificio abbandonato, vicino alla stazione centrale di Trieste, dove trovano rifugio le persone in arrivo dalla cosiddetta rotta balcanica. Qui si “vive”, anzi, si resiste, tra fango, topi e rifiuti.
Nella totale assenza di risposte istituzionali ai vari livelli, il Silos è l’unica possibilità per le persone in movimento, nonostante in città esistano diversi edifici vuoti e abbandonati che potrebbero essere utilizzati per l’accoglienza. Uno di questi, come dimostrano le fotografie e i video realizzati al suo interno, è a due passi dal Silos. Si tratta dello stabile di Via Gioia, un luogo abbandonato da oltre 15 anni, che ha tutte le caratteristiche per essere usato per questo scopo.
Trieste. In Via Gioia uno spazio di accoglienza negato a due passi dal Silos
L'edificio è stato aperto per mostrare l'assurdità di tenere questo spazio chiuso
«Khandwala welcomes Trieste» recitava lo striscione apposto sopra l’entrata di questi grandi magazzini, dove la merce veniva rilocata solo per breve tempo, in attesa di essere trasportata via treno alla prossima destinazione.
«Vogliamo mettere in pratica solidarietà non portando e distribuendo beni materiali, ma agendo cura e dimostrando supporto attraverso socialità, condivisione di storie ed esperienze, giocando, cucinando e parlando insieme» spiegano No Name Kitchen e Linea D’Ombra. «Un’occasione per passare del tempo insieme e conoscere persone intrappolate in una situazione assurda, che va avanti da anni soprattutto a causa di negligenze, inazione e ostilità delle istituzioni locali e nazionali».
Una giornata di solidarietà importante, molto partecipata. «Si è finalmente squarciato il velo su una situazione invisibile, volontariamente ignorata anche dalle persone sensibili – commenta un attivista di Linea D’Ombra – il Silos non dovrebbe nemmeno esistere, ma finché resterà l’unico rifugio per le persone migranti in transito e richiedenti asilo, sarà giusto continuare ad attraversarlo per portare solidarietà e tenere alta l’attenzione. È compito nostro, di chi a Trieste vive comodamente, della società civile, costringere chi governa a prendersi responsabilità».
Le fotografie di Andrea Vivoda