Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Repubblica del 12 ottobre 2003

I fini ambigui del voto agli stranieri di Ilvio Diamanti

IL DIRITTO di voto (amministrativo) agli immigrati potrebbe costringere gli italiani al voto (politico) anticipato. Le reazioni suscitate nella Casa delle Libertà dalla proposta di Gianfranco Fini, lanciata nei giorni scorsi a un seminario europeo organizzato dal Cnel, paventano esplicitamente questa minaccia. Una crisi di governo, elezioni anticipate, frattura nella maggioranza. Fra An, Forza Italia e la Lega. Nel nome dei diritti politici degli immigrati. C’ è più di un motivo per restare sconcertati. E scettici. Perché mai gli alleati (si fa per dire… ) della Cdl dovrebbero intraprendere una prova elettorale quando i sondaggi offrono indicazioni, per loro, poco favorevoli? Perché dovrebbero affrontare una competizione quantomeno incerta divisi come oggi? Poi, c’ è la “questione”. Non si è giunti alla frattura sul conflitto di interessi, sulla devolution, sulle pensioni e sulla tv. Come pensare che la maggioranza possa deflagrare sul diritto di voto amministrativo agli immigrati? Quasi che si trattasse di un argomento che squarcia l’ opinione pubblica e turba le notti degli italiani. Non è così. L’ immigrazione suscita presso gli italiani sincero allarme. Ma in misura meno intensa del passato e, peraltro, non superiore agli altri Paesi europei. Si dicono, infatti, preoccupati dall’ immigrazione circa un terzo degli italiani. Soprattutto perché viene associata al problema della sicurezza e della criminalità. Invece, la concessione del diritto di voto agli immigrati regolari alle elezioni amministrative non ha mai suscitato preoccupazione. Almeno in Italia. Lo registrano molti sondaggi, condotti non solo negli ultimi giorni, sull’ onda della contingenza polemica, ma negli anni precedenti, in ambito internazionale. Una ricerca condotta dalla Fondazione Nordest in 8 Paesi europei (cinque della Ue e 3 dell’ Europa centro-orientale), con cadenza annuale dal 1999, mostra come in Italia la quota di cittadini che è d’ accordo nel riconoscere questo diritto agli immigrati superi largamente il 70% della popolazione. Il 76% nel 2002. Si tratta del dato più alto in Europa, avvicinato solo dalla Spagna. Inoltre, si tratta di un orientamento stabile nel tempo. Nel 1999 in Italia, secondo un’ indagine di Poster per la rivista liMes, il 77% degli italiani si diceva d’ accordo sulla concessione del diritto di voto amministrativo agli immigrati (mentre la percentuale, per quel che riguarda le elezioni politiche, scendeva del 10%); la stessa quota, o quasi, registrata da un sondaggio condotto da Eurisko nel giugno 2002 per Repubblica. Poco più alta di quella rilevata dall’ Ispo di Renato Mannheimer nei giorni scorsi. Tanta apertura fra gli italiani in tema di immigrazione contrasta con l’ immagine prevalente, accreditata dalle stesse forze di governo, che raffigura un’ opinione pubblica impaurita dagli stranieri. In effetti, si tratta di una rappresentazione, almeno in parte, distorta dai media e dalla comunicazione di alcuni attori politici (la Lega, in particolare). Certo, fra gli italiani l’ immigrazione suscita allarme, ma in misura calante. La componente di chi esprime grande preoccupazione, a questo proposito, fra il 1999 e oggi in Italia è scesa dal 40% al 30% (indagini laPolis-Università di Urbino, Demos, F. Nordest). Tuttavia, la paura non si è tradotta in chiusura, sul piano della cittadinanza politica. Il che può risultare in parte contraddittorio. Ma, in realtà, può essere spiegato in modo ragionevole. Anzitutto, l’ ostilità verso gli immigrati riflette “paure” che riguardano la sicurezza e (in misura minore), il lavoro, mentre solo in minima parte riassume pregiudizi di tipo etnofobico e razziale. Poi, più prosaicamente, gli italiani non percepiscono il voto amministrativo come un diritto particolarmente significativo e “pregiato”. Tanto più che, la presenza degli immigrati su base locale, a eccezione di alcuni contesti, risulta, perlopiù, limitata (1-4%) e comunque frammentata, per nazionalità, religione, provenienza. Il che rende loro difficile aggregarsi attorno a candidati e soggetti politici comuni, influenzando davvero gli esiti delle elezioni. Gli stessi immigrati, peraltro, guardano al voto amministrativo con interesse ridotto, rispetto a quello che dedicano ad altri diritti: il soggiorno, il lavoro, l’ abitazione, l’ assistenza. La proposta di Fini risulta, quindi, provocatoria, soprattutto, se non esclusivamente, per la classe politica del centrodestra; fra i cittadini, invece, incontra riserve marginali. Questa ipotesi è, peraltro, condivisa da oltre il 70% degli stessi elettori di An, (Ispo 2003, Eurisko 2002): una quota di gran lunga più elevata di quanto si registra nella base di Forza Italia e quasi doppia rispetto alla Lega Nord (Eurisko 2002). Ciò suggerisce che l’ immigrazione, invece di essere affrontata come un fenomeno di proporzioni ampie, che pone questioni fondamentali per gli Stati nazionali e la società civile (dall’ integrazione interculturale, alla cittadinanza, ai diritti sociali), non da oggi, è brandita come una bandiera politica e ideologica. A opera, soprattutto (ma non solo) della Lega Nord, che ha impostato il suo messaggio sulla paura dell’ immigrazione fin dagli anni Ottanta, per rilanciarlo con particolare energia dopo il 1998, quando la prospettiva della secessione è sfumata. Oggi, dopo il cattivo esito registrato alle recenti elezioni amministrative di giugno, in vista delle elezioni europee del prossimo anno, An ha deciso di specificarsi nettamente. Per non continuare a pagare in proprio il prezzo della rincorsa al consenso realizzata, in modo spregiudicato, dalla Lega nordista, devoluzionaria e antiromana. Per riequilibrare i rapporti interni alla coalizione. Per incrinare l’ intesa fra Berlusconi e Bossi. Per intercettare gli elettori moderati in Italia; per accreditarsi presso la leadership degli altri Paesi europei (che continuano a diffidare di Berlusconi). Così Fini, proponendo la concessione del voto amministrativo agli immigrati, ha scelto un aspetto tutto sommato periferico di un argomento – l’ immigrazione – che risulta, invece, centrale e “sensibile” per la Lega. Più che per qualsiasi altra forza politica. Queste considerazioni, peraltro avanzate anche da altri commentatori, fanno sospettare che, in questa crisi, più dei problemi posti dal fenomeno migratorio alla società, più dei problemi degli immigrati, contino i problemi che gli immigrati possono creare agli avversari politici. Ciò, certamente, non svaluta l’ utilità della proposta delineata da Fini, ma solleva egualmente dubbi circa gli effetti che essa potrà sortire sui diritti degli immigrati. D’ altronde, a differenza di quel che ha detto il vicepremier, è difficile cogliere un legame di coerenza fra questa ipotesi e lo spirito della legge che egli, insieme a Bossi, ha siglato, nel 2002. La legge Bossi-Fini considera gli immigrati come “lavoratori”, da importare in modo parsimonioso, per quote, in base alle domande dell’ economia locale e a valutazioni di “sostenibilità” sociale, sicurezza e ordine pubblico. Mira, quindi, a trattare l’ immigrazione come una risorsa transitoria e strumentale, da utilizzare, quando e per quanto serve; e da “restituire”, appena l’ esigenza è cessata. Il riconoscimento del diritto di voto amministrativo è, invece, un passo, per quanto piccolo, che va nella direzione contraria: l’ integrazione, la cittadinanza. Si tratta di logiche e di modelli differenti, che difficilmente possono coesistere. Ma tant’ è: all’ immigrazione si tende a rispondere, da tempo, in modo rapsodico, in base a calcoli elettorali, alle contingenze politiche, alle emergenze sociali e mediatiche. In seguito all’emozione suscitata da uno sbarco di disperati, oppure da una rapina o da un incidente, con conseguenze drammatiche. Oppure in vista di una consultazione. Per motivi di marketing elettorale. Difficile ottenere risultati efficaci, su questa base. Nessuna sorpresa, quindi, se la stessa concessione del diritto di voto amministrativo, divenuta una bandiera, un’ arma di lotta tra fazioni, vedesse declinare rapidamente il favore dell’ opinione pubblica registrato fino ad oggi. A causa di una politica che trasmette alla società le proprie divisioni e le allarga. Che invece di dissolvere le paure, le inventa. Invece di costruire il consenso, alimenta dissenso. Strana politica. Che ci fa sentire, tutti (questo, almeno, è il mio personale sentimento), non cittadini, ma immigrati. Clandestini.