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Rifugiati – Vergogna Italia

L'inchiesta di Repubblica

Perchè questa inchiesta
Questa inchiesta nasce dal dossier prodotto da due avvocati tedeschi (Dominik Bender e Maria Bethke) che ha suscitato molto scalpore in Germania. Lo ha scovato Maurizio Bongioanni e ce lo ha segnalato. Il documento, prodotto per la Fondazione Pro Asyl s’intitola “The living conditions of refugees in Italy” e squaderna una vera e propria vergogna per il nostro Paese. Si tratta del problema dei “richiedenti asilo” e dei rifugiati, di coloro, cioé, che arrivano nel nostro Paese fuggendo da dittature e persecuzioni. Solo una minima parte viene accolta in strutture apposite, la stragrande maggioranza, una volta presentata la domanda, piomba in un “buco nero”. I “richiedenti asilo” sono veri e propri “fantasmi” sociali senza un lavoro né un tetto né soldi per vivere. La legge italiana, invece prevede che vengano aiutati e sostenuti. Lo stesso per i rifugiati, cioé per coloro che hanno ricevuto un “sì” alla loro domanda di asilo: nessun aiuto, nessun percorso d’inserimento sociale. Come se non bastasse, tutta questa gente non può nemmeno lasciar il nostro Paese per trasferirsi in Germania o in Svezia dove l’accoglienza è molto migliore. La normativa europea (“Dublino II”) prevede infatti che l’asilo venga dato dal Paese di Schengen dove il profugo è sbarcato o ha comunque messo piede per la prima volta in Europa.

I due avvocati tedeschi hanno raccolto decine di testimonianze sulla situazione dei rifugiati in Italia: racconti di violenze (anche sessuali), sfruttamento, induzione a ogni sorta di criminalità nei confronti di giovani somali ed eritrei (molti minorenni). Così hanno deciso di venire in Italia a verificare. L’hanno fatto nell’estate del 2010. Sono stati a Torino e a Roma in cinque luoghi (Anagnina, Collatina, Ponte Mammolo, Ostiense e ex-ambasciata somala, ora chiusa) dove si raccolgono spontaneamente questi “fantasmi” in fuga, dove vivono in edifici occupati in una sorta di autogestione in cui essi stessi (con il prezioso aiuto di alcune organizzazioni umanitarie) cercano di mantenere, tra mille difficoltà, un livello dignitoso di vita. L’Italia “ufficiale” se ne disinteressa quasi completamente.

I due avvocati tedeschi hanno pubblicato (lo scorso luglio) un dossier che ha fatto scandalo. Il nostro corrispondente Andrea Tarquini ha intervistato Bender che ha confermato ogni cosa e gli ha fornito diverse testimonianze, soprattutto di giovanissimi, sull’inferno vissuto nel nostro Paese. E il legale tedesco ha anche spiegato che, in seguito al loro dossier, molti giudici tedeschi stanno prendendo decisioni decisamente singolari e negano ai richiedenti asilo la possibilità di tornare in Italia a usufruire dello status di rifugiati perché, affermano, nel nostro Paese “non ci sono le condizioni sufficienti di dignità umana” per chi chiede asilo. Uno schiaffo umiliante per un Paese dalle nostre tradizioni di civiltà.

Oltre a pubblicare il dossier, con questa inchiesta, siamo andati a nostra volta a verificare se la situazione è cambiata. Ma a Roma, Fabio Tonacci e Valeria Teodonio hanno trovato che a Ponte Mammolo e in via Collatina, le condizioni di vita di rifugiati e richiedenti asilo sono sempre le stesse: disastrose. E, a Torino, lo stesso Bongioanni è arrivato a conclusioni analoghe. Nella speranza che questa nostra denuncia (che fa seguito alle tante di chi si occupa da anni del problema) trovi una qualche risposta, in futuro faremo ulteriori verifiche.


IL VIDEO

Roma – Viaggio nella baraccopoli dei rifugiati
Sono soprattutto eritrei ed etiopi. Scappati dai loro paesi. Hanno ottenuto l’asilo politico, ma lo Stato italiano non li aiuta in alcun modo. Così, in 150, vivono in un campo di baracche, a Roma, senza riscaldamento, elettricità, né acqua calda. E non posso andarsene
di VALERIA TEODONIO, FABIO TONACCI
montaggio di GIULIO LA MONICA


IL CASO

L’esercito degli “invisibili” intrappolati nell’inferno Italia
Sbarcano sulle nostre coste per chiedere asilo. Ma, nell’attesa non ricevono nessun aiuto e vengono trattati come animali. Molti fuggono nel Nord Europa, ma la legge europea (la “Dublino II”) prevede che l’asilo sia concesso dal Paese di sbarco. Dopo un dossier sulle loro condizioni di vita in Italia, molti giudici tedeschi hanno deciso di non rimandarli da noi: “Nessuna garanzia di dignità umana”
di MAURIZIO BONGIOANNI


LA TESTIMONIANZA

“Gestiti come un’emergenza e tagliati fuori dalla società”
Il racconto di don Fredo Olivero, direttore dell’Ufficio pastorale migranti di Torino. “Gli avvocati tedeschi non riuscivano a capire come i rifugiati potessero essere trattati così”. Profughi parcheggiati in alberghi e case di accoglienza senza mai puntare a un loro inserimento
di MAURIZIO BONGIOANNI


IL VIDEO-REPORTAGE

Nel palazzo-carcere dei rifugiati
Vivono in un ex palazzo del ministero del Tesoro. In tutto 800 persone. Che hanno lo status di rifugiati politici e nessun aiuto da parte dello Stato. Vorrebbero andarsene, ma non possono. Così hanno occupato un palazzo, a Roma. Hanno trasformato gli uffici in case, alcune di 12 metri quadrati. Con loro, tanti bambini. E per cucinare si va in corridoio
di VALERIA TEODONIO, FABIO TONACCI


IL VIDEO

La “Casa Bianca” dei rifugiati. Un tetto per sessanta persone
Torino, l’edificio è occupato nel 2008 da circa duecento persone. Oggi ne restano meno di un terzo. Vivono senza riscaldamento e senza acqua calda. E senza alcun percorso di inserimento
di MAURIZIO BONGIOANNI


L’INTERVISTA

La lunga attesa in balia della burocrazia. “Otto mesi per il riconoscimento”
Il racconto di un richiedente asilo, scappato attraverso il Gambia e la Mauritania. “All’inizio dormivo in stazione senza alcun sostegno economico. Ho fatto domanda cinque mesi fa, mi hanno detto di tornare a febbraio 2012”
di FABIO TONACCI, video di ALBERTO MASCIA


L’INTERVISTA

“Tempi brevi solo per legge e i rifugiati restano in attesa”
La normativa dice che l’attestato della presentazione della domanda deve avvenire entro tre giorni, ma i richiedenti asilo aspettano anche quattro mesi. Il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein: “Una volta ottenuto il documento, non sempre si trova subito accoglienza”
di FABIO TONACCI, video di ALBERTO MASCIA


LE FOTO

Quando c’era l’ambasciata somala, tra depressione, droga e alcol
Erano 150 i rifugiati che abitavano all’ambasciata della Somalia a Roma. Questa struttura oggi giace abbandonata, ma fino all’anno scorso accoglieva, tra topi e immondizia, gente in cerca d’aiuto, senza alcun tipo di sostegno. C’era un gran via vai, ogni giorno tornava qualcuno: chi era fuggito in Germania o in Belgio veniva rispedito in Italia, perché era il nostro Paese ad aver preso per la prima volta le loro impronte digitali. Cercavano un rifugio dalla guerra, ma hanno trovato decadenza. Molti di loro sono caduti in depressione, passivi davanti a una situazione senza via d’uscita. C’era chi non si alzava più dal letto e cercava di dormire il più possibile per “non vivere”, chi consumava droga e alcool per sedare le emozioni di una vita impossibile. Dopo anni di proteste e manifestazioni per tentare di avere una vita più dignitosa, questo luogo ha chiuso. La causa è stata lo stupro di una ragazza. Dopo aver trascorso alcuni giorni per strada, alcuni di loro sono riusciti a trovare accoglienza in dei centri, altri cercano ancora illegalmente fortuna in altri paesi europei e vengono periodicamente rinviati in Italia
di LORENZO MELONI


I DATI

In Europa 258mila domande di asilo. In Italia bocciate il 60% delle richieste
I dati sui rifugiati nell’Unione. La Francia è al primo posto per numero di istanze presentate, ma il dato complessivo su tutto il continente è in calo. L’Afghanistan, invece, è in testa tra i paesi di provenienza


GERMANIA, L’INTERVISTA

“Senza tetto, picchiati, violentati e le cose stanno peggiorando”
Parla Dominik Bender, uno dei due avvocati tedeschi che ha realizzato il dossier di Pro Asyl sulle scandalose condizioni di vita dei richiedenti asilo nel nostro Paese. “Da più parti d’Europa arrivano giudizi simili e i tribunali s’interrogano se si possa rimandare in Italia un richiedente asilo. E non ci sono notizie di miglioramenti”
dal corrispondente ANDREA TARQUINI


LA STORIA DI HUSEIN, MOGADISCIO

“Vivevo a Termini e mangiavo rifiuti. A 14 anni la vita di strada fa paura”
“A Roma avevo 14 anni quando per mesi dovetti vivere in strada attorno a Termini. Sopravvivevo cibandomi di rifuiti che trovavo fuori dai supermarket e dai ristoranti. E vendendo un po’ di vuoti di bottiglia mi guadagnavo pochi soldi. Praticamente tutto il tempo a Roma l’ho vissuto in strada, fui anche aggredito e derubato, perfino, del permesso di soggiorno. Provai a vivere nell’ex ambasciata somala ma per me minorenne era troppo pericoloso, gli alcolizzati volevano continuamente stuprarci. Se chiedevo aiuto alla polizia, la risposta era sempre la stessa: stai molto attento, non ti far più vedere, vattene altrove in Europa. Alla fine decisi di tentare l’impossibile. Mi affidai a un passatore, che in giugno mi portò in auto in Germania”.


LA STORIA DI MOGDAN, MOGADISCIO

“Un incubo tra la Sicilia e Torino. Il martirio è finito in Germania”
“In Sicilia vivevo in strada, fui spesso picchiato e derubato. Poi un contadino mi dette lavoro, ma in che condizioni! Lavoro dalle sei del mattino alle sei di sera, lavoro pesante nei campi. Niente colazione, a mezzogiorno solo pane secco. Non avevo un alloggio, dormivo in una capanna di legno infestata di ratti, cimici e pidocchi. Se crollavo di stanchezza il contadino mi picchiava selvaggiamente, o aizzava contro di me il suo cane da guardia. Non avevo neanche mai il diritto di lavarmi. Dopo alcuni mesi decisi di andarmene, chiesi di essere pagato, e lui mi rispose “non ho il dovere di darti proprio un soldo, perché non hai né documenti né permesso di lavoro”… Passai poi mesi a Roma, nelle terribili condizioni di vita nell’ambasciata somala, e a Torino in condizioni altrettanto pesanti. Il martirio è finito arrivando in Germania, lasciando l’Italia”.


LA STORIA DI WADY, KISIMAYO

“A Roma in balia dei gruppi mafiosi. Ora studio tedesco e gioco a calcio”
“Trascorsi due mesi e dieci giorni in un carcere a Reggio Calabria, poi quattro mesi e undici giorni in un’altra prigione. In tutto quel periodo di detenzione non ho mai potuto vedere un avvocato, mi prendevano solo le impronte digitali. Non sono stato maltrattato, ma mi trattavano sempre in modo razzista… a Roma poi ho vissuto tre mesi e venti giorni in strada. Quasi sempre nei pressi della stazione Termini. Noi giovani somali là a Termini eravamo in balìa dei gruppi mafiosi. Ci picchiavano selvaggiamente o ci usavano violenza sessuale per costringerci a compiere atti criminali… partii per Milano, ma anche là non trovai alcuna assistenza, né lavoro. Allora mi decisi, con l’aiuto dei clan somali cui appartengo, a tentare di lasciare l’Italia. Lungo viaggio, attraverso la Danimarca, poi la Svezia dove la polizia voleva rispedirmi in Italia. Mai, mi dissi, e riuscii ad arrivare in Germania. Da settimane ho alloggio in un ostello, studio il tedesco, gioco a calcio in una società sportiva”.


LA STORIA DI HABIB, MOGADISCIO

“La polizia picchiava con i manganelli. A Francoforte ho trovato un rifugio”
“A Lampedusa fu una prigione, tutti insieme, minorenni come me e adulti… se chiedevamo qualcosa tiravano fuori i manganelli… poi mi misero alla porta… arrivai a Roma, e là quando chiedevo aiuti alla polizia loro indossavano i guanti, picchiavano coi manganelli, mi sputavano in faccia. La vita a Termini era terribile, eravamo in mano a organizzazioni mafiose che minacciandoci ci chiedevano di compiere reati per loro, eravamo bottino, selvaggina. E’ stato a Francoforte che per la prima volta nella mia vita ho trovato un luogo di pace e protezione. Ho un tetto sotto cui dormire, assistenti sociali che si occupano di me, posso andare a scuola, imparo il tedesco, i medici qui mi hanno curato. Lentamente mi sto riprendendo dalle pesanti conseguenze del soggiorno in Italia, anche sulla mia salute”.


LA STORIA DI ABDUL, KISIMAYO

“Solo la Chiesa mi dava da mangiare, poi finalmente il treno per Monaco”
“I momenti peggiori vennero dopo che mi mandarono via da Lampedusa. Era impossibile a Roma trovare lavoro, studiare, nessuno si occupava di me che ero allora minorenne. Le difficili condizioni di vita ma prima di tutto il freddo, nell’edificio dell’ex ambasciata somala, fecero sì che io mi ammalassi. Avevo dolori tremendi agli arti, non ce la facevo più nemmeno a stare in piedi in fila davanti alle istituzioni di carità della Chiesa per aver da mangiare. Alcune donne somale s’impietosirono e si presero cura di me. Mi salvarono la vita. Dopo l’inverno venne la primavera, fu più caldo ma la vita nell’ex ambasciata era insopportabile: alcolizzati, pederasti. A Termini alcuni somali mi dissero ‘ragazzo, vai in un altro paese europeo, starai meglio’. Furono loro a portarmi in treno a Monaco e poi mi inviarono a Francoforte. Vivo a Francoforte da allora in un’istituzione giovanile. Chiunque ascolti di queste mie esperienze in Italia, quando avevo 14 o 15 anni, può capire che io non voglia tornarci”.