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Accoglienza dietro le sbarre

Comunicato stampa sulla vicenda dei profughi della Cap Anamur

Il calvario dei 37 profughi africani salvati dalla nave tedesca Cap Anamur, ormai ormeggiata a Porto Empedocle e sottoposta a sequestro, sembra aggravarsi ora dopo ora senza una prospettiva certa di sbocco. Malgrado le richieste presentate da diverse associazioni e da rappresentanti politici, e malgrado i contatti con i governi italiano e tedesco, non è chiaro se l’Italia concederà l’ammissione alla procedura di asilo.

L’unica cosa certa è che i profughi appena sbarcati dalla Cap Anamur sono stati rinchiusi nel centro di detenzione di San Benedetto ad Agrigento, adesso ridefinito “centro di identificazione”, e poi forse saranno trasferiti in Germania, o addirittura rimpatriati nei paesi di provenienza, con accompagnamento forzato.

Da quanto dichiarato dal governo italiano, dopo le prime sommarie audizioni da parte delle forze di polizia nel CPT di Agrigento, senza interpreti e mediatori indipendenti, si tratterebbe di africani di diversa nazionalità ma non di sudanesi.

Ci auguriamo che le garanzie fornite al Cir ed all’ACNUR consentano a tutti un accesso effettivo alla procedura di asilo ed una detenzione limitata al tempo della identificazione.

Ma ancora più grave sembra la condizione del comandante della nave, del suo secondo e di Elias Birdel responsabile dell’associazione umanitaria Cap Anamur. Tutti sono stati arrestati e sono adesso accusati del reato di agevolazione dell’ingresso di clandestini, punito dalla legge italiana con la detenzione che può superare anche dieci anni. Come risultato del tentativo di trovare una mediazione, si può dire, un risultato veramente sconcertante.

La vicenda ha già in sé significati gravissimi, per il comportamento assunto innanzitutto dal governo italiano ed anche dagli altri Paesi “coinvolti”.

Per lunghi giorni è sembrato proprio di assistere al gioco del gatto con il topo. Promesse, aperture, e poi smentite. Senza tenere conto che comunque i profughi avrebbero (avuto) diritto a chiedere l’asilo ai sensi dell’art. 10, co. 3, della Costituzione italiana, che prescinde da qualsiasi accordo convenzionale o internazionale, ciò che doveva imporre, sin dall’inizio, di farli attraccare nel porto italiano, senza i patetici rinvii e richiami a norme comunitarie, utilizzate solo per non assumersi alcuna diretta responsabilità.

La richiesta di asilo rivolta alla Germania si sta rivelando un passo che rischia di compromettere il futuro dei profughi e dello stesso equipaggio della nave che li ha salvati.

Ormai è chiaro che la Germania non accoglierà le richieste di asilo. Ed il governo italiano considera gli stessi profughi come clandestini.

L’unica certezza è dunque la deportazione da un centro di identificazione italiano( leggasi centro di detenzione) ad un altro, forse in Germania, e il rischio, dopo un accertamento sommario delle posizioni individuali, in caso di diniego del diritto di asilo, di una espulsione verso i paesi di provenienza e di transito, in violazione dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra che vieta il rimpatrio forzato di quanti rischiano di subire trattamenti inumani e degradanti.

Di fronte a questa situazione il vasto fronte di solidarietà che si è costituito in Italia ed in Europa deve chiedere con determinazione che l’Italia, paese di ingresso effettivo dei profughi nell’area Schengen, riconosca il diritto di asilo costituzionale e che a quanti sono scampati ad un naufragio, oltre che dalle tante guerre del continente africano, venga evitata la detenzione nei “centri di identificazione”, con il rischio di una successiva deportazione.

Questo il frutto avvelenato della “cooperazione rafforzata”, conseguenza degli accordi tra il governo tedesco e quello italiano, consacrata la scorsa settimana nel vertice a sei di Sheffield, in Gran Bretagna. Una politica di chiusura anche nei confronti dei richiedenti asilo, che sembra caratterizzare queste prime fasi dell’Europa allargata.

Bisogna rimettere in discussione i contenuti ed i criteri applicativi delle Convenzioni di Schengen e di Dublino, che dopo l’allargamento dell’Europa a 25, hanno dimostrato tutta la loro tragica ferocia, oltre che la effettiva inapplicabilità.

Sono ormai centinaia i profughi morti in mare o nei deserti africani. Le leggi sempre più repressive, e la loro rigida applicazione da parte delle autorità amministrative, gli accordi di riammissione che ignorano nella sostanza il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, costituiscono un fattore oggettivo che arricchisce sempre di più le organizzazioni criminali, senza avere significativi risultati nel contrasto del “traffico di clandestini”.

I parlamentari italiani ed europei dovranno denunciare in tutte le sedi nazionali e comunitarie le violazioni dei diritti umani fondamentali perpetrate ai danni dei profughi della Cap Anamur.

Il “respingimento collettivo” inizialmente praticato al limite delle acque internazionali, poi il blocco navale davanti a Porto Empedocle, adesso l’internamento dei profughi in quelli che la stampa definisce ancora come “centri di accoglienza”, sono state le uniche risposte che i rappresentanti della “nuova Europa” hanno saputo dare a chi chiedeva soltanto un minimo di umanità e di ragionevolezza.

Speriamo di non dovere assistere ad altri casi di espulsioni collettive, sanzionate dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Rete siciliana antirazzista, Forum sociale Palermo, Osservatorio regionale sull’immigrazione CGIL, CISS-CEPIRE, ICS ( Consorzio italiano solidarietà),Attac-Catania, commissione regionale immigrazione-PRC