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Adozione di cittadini stranieri maggiorenni e rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari

Una scheda pratica a cura dello Studio Legale Antartide

L’adozione di persone maggiorenni è un istituto riconosciuto dal nostro ordinamento, che può rilevarsi particolarmente interessante anche per il settore del diritto dell’immigrazione.
L’art. 291 del codice civile prevede che un uomo o una donna, sposato o meno, di almeno trentacinque anni, possa adottare un’altra persona adulta italiana o straniera di almeno diciotto anni più giovane, la quale acquisisce lo stato di figlio.
L’adozione civile o adozione di persone maggiorenni è disciplinata dagli art. 291-314 del codice civile e dalla Legge 4 maggio 1983, n. 184 e può essere effettuata anche da chi ha già dei figli biologici o adottati in precedenza, ma solo se questi siano maggiorenni e consenzienti.

L’adottante deve avere almeno trentacinque anni e almeno diciotto anni di più dell’adottato, tuttavia laddove vengano in rilievo circostanze particolari, l’adozione può essere richiesta anche da chi abbia compiuto i trent’anni di età, fermo restando la differenza anagrafica.
L’adozione non ha effetti legittimanti e l’adottato conserva i diritti e i doveri verso la famiglia di origine; al contrario non instaura alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né sorgono tra l’adottato ed i parenti dell’adottante, salve le eccezioni previste dalla legge (ad esempio in tema di impedimenti matrimoniali, come previsto dall’art. 87 del codice civile).

Inoltre sorgono alcuni specifici rapporti civili tra l’adottante e l’ adottato, il quale diventa titolare di diritti successori nei confronti dell’adottante e del diritto agli alimenti; al contrario l’adottante non acquisisce il diritto a succedere nel patrimonio dell’adottato. Tra l’adottato e il resto della famiglia dell’adottante, al contrario non sorgono mai rapporti civili, quali ad esempio diritti successori nei confronti degli altri figli dell’adottante.

Tra i requisiti, non è mai richiesta una particolare capacità reddituale per procedere all’adozione; tuttavia occorre precisare che è penalmente rilevate la condotta di chi ottiene e si avvale dell’istituto dell’adozione esclusivamente al fine di procurarsi un indebito profitto o per eludere le norme ordinarie sul diritto successorio.

Alla base della richiesta di adozione c’è un legame di filiazione che si chiede al Tribunale civile del luogo ove l’adottante ha la residenza, di riconoscere e dichiarare, laddove le condizioni previste dalla legge siano rispettate. Così nel caso seguito dall’avv. Salvatore Fachile, conclusosi con la sentenza 50/2016 nella quale il giudice dichiara l’adozione, rilevando che “a fondamento dell’istanza, la sig.ra …., vedova e con una figlia maggiorenne, ha esposto di voler formalizzare il rapporto di affetto filiale intrattenuto con l’adottando ”.

Il procedimento, di fronte al tribunale civile, dura circa 7-8 mesi e non è necessaria l’assistenza da parte di un avvocato.

Inoltre, l’adozione coinvolge necessariamente i rapporti personali di due famiglie, che più o meno grandi, si trovano ad intrecciarsi. Per questo motivo, la legge richiede che i familiari più stretti coinvolti nel procedimento di adozione prestino il loro consenso.

In particolare, ai sensi dell’art. 297 c.c., affinché si possa procedere all’adozione, si richiede il consenso del coniuge dell’adottante (se sposato e se non chiede anche lui l’adozione) e dei figli maggiorenni dell’adottato; inoltre è richiesto il consenso dei genitori dell’adottando e del suo coniuge se sposato e non legalmente separato.

Inoltre, nel caso in cui il consenso di uno di questi soggetti non sia stato prestato, il Tribunale civile, dopo aver sentito gli altri interessati, può valutare ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, il rifiuto al consenso e dichiarare ugualmente l’adozione. Al contrario, laddove il mancato consenso provenga dal coniuge convivente con l’adottante o l’adottando, la mancanza di consenso determina il rigetto della richiesta di adozione.
Se l’adottando è un cittadino straniero, ci si chiede come possa essere espresso il consenso dei genitori o del coniuge, se gli stessi si trovano all’estero e sono impossibilitati ad entrare in Italia.
L’art. 297 c.c. ammette che il “tribunale può pronunziare l’adozione quando è impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo”. La non presenza in Italia, la difficoltà a raggiungere il territorio italiano, o la propria permanenza all’estero, non sono condizioni sufficienti per far dichiarare al giudice la irreperibilità di coloro che dovrebbero esprimere il proprio consenso all’adozione. Per questo, una possibilità è quella di far esprimere ai parenti all’estero, il proprio consenso per procura, delegando puntualmente ed espressamente un’altra persona, presente in Italia, a prestarlo in sua vece, davanti al giudice. La procura speciale, autenticata da un notaio, tradotta e legalizzata presso l’Ambasciata d’Italia del luogo dove i familiari dall’adottando si trovano, è depositata di fronte al giudice al quale si richiede di dichiarare l’adozione.
Così la dott.ssa Mangano, del Tribunale civile di Roma, in un procedimento patrocinato dall’avv. Salvatore Fachile dichiara l’adozione di un cittadino messicano dopo aver rilevato che “i genitori dell’adottando, con procura speciale rilasciata presso il Consolato d’Italia in Messico, hanno espresso il loro assenso a mezzo del procuratore nominato, avv. Cristina Laura Cecchini; […]acquisito il consenso dell’adottante e dell’adottando nonché l’assenso del procuratore speciale avv. Cecchini, tutti comparsi davanti al Presidente, all’udienza del 12.1.2016” (sent. 14/2016, RG 12320/2015).

L’adozione ha effetti anche sul cognome dell’adottando, il quale assume, ai sensi dell’art. 299 c.c., il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio. Tuttavia, nel caso degli stranieri, tale disposizione non si applica, così come chiarito nel procedimento di fronte al Tribunale Civile di Civitavecchia, nel quale il giudice con sentenza n. 3/2016 ha previsto che: “nel caso di specie non trova applicazione l’art. 299 c.c., in forza del quale l’adottato assume il cognome dell’adottate e lo antepone al proprio, essendo l’adottante cittadino straniero”.
Infatti l’art. 24, c. 1, prima parte, della l. 218/1995 stabilisce che i diritti della personalità, tra i quali rientra il diritto al cognome, sono regolati in primo luogo dalla legge nazionale del soggetto, salvo che tali diritti derivino da un rapporto di famiglia. Tale norma ha una applicazione residuale, in quanto a completamento, si aggiunge che l’Italia ha aderito alla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980 ai sensi della quale il diritto al nome è disciplinato dalla legge nazionale del soggetto, anche laddove il diritto derivi da un rapporto di famiglia, come nel caso dell’adozione.
Per questo, nei casi di cittadini stranieri l’eventuale modifica del cognome dipende dalla legge nazionale dell’adottato, alla quale va fatto riferimento ed in relazione alla quale occorrerà verificare se l’istituto dell’adozione di maggiorenni è previsto e in caso di risposta affermativa se è stabilito che l’adottato muti, mantenga inalterato o aggiunga al suo cognome quello dell’adottante.

Ad esempio, nel caso dell’adozione di un cittadino adulto belga occorrerà far riferimento agli artt. 358-360, 370 c.c. dove si prevede che il figlio adottato aggiunga di norma il cognome dell’adottante, ovvero, qualora adottato da entrambi i coniugi, il cognome del marito. Altri ordinamenti potrebbero, al contrario, prevedere che l’adottato non muti il proprio cognome o non sostituisca il proprio con quello dell’adottante. Il nostro ordinamento, all’art. 16 l. 218/1995, prevede un unico limite all’ingresso di disposizioni di leggi straniere nel nostro ordinamento: la non contrarietà all’ordine pubblico internazionale, quale meccanismo di protezione dei valori essenziale e della coerenza dell’ordinamento interno. Nel concreto, per capire se la norma straniera sul cognome può entrare a far parte del nostro ordinamento va verificata la sua compatibilità con i principi fondamentali dell’ordinamento i quali non possono essere derogati senza grave turbamento dell’ordine sociale. Al momento, appare che sia compatibile con l’ordinamento interno una norma straniera che preveda di aggiungere o non modificare il cognome dell’adottato, dubbi potrebbero sorgere laddove l’adottato maggiorenne debba sostituire del tutto il proprio cognome con quello dell’adottato, considerati gli effetti non legittimanti dell’adozione per maggiorenne. Infine, laddove l’ordinamento dell’adottato nulla preveda, per quanto riguarda l’attribuzione del cognome a seguito di adozione, si tornerà a far riferimento alla legge italiana.

A seguito di adozione, il cittadino straniero adulto figlio adottivo di cittadino italiano e con lui convivente, diventa persona inespellibile in quanto familiare di cittadino italiano ai sensi dell’art. 19 c. 2 lett c), il quale può quindi ottenere la carta di soggiorno ai sensi del D.Lgs 30/2007.
La carta di soggiorno è rilasciata dalla Questura del luogo dove il cittadino italiano e il figlio adottivo si trovano, a seguito di foto segnalamento, esibizione del passaporto e consegna di 4 fototessere e della dichiarazione di ospitalità o cessione di fabbricato.

Successivamente all’ottenimento della carta di soggiorno per familiare di cittadino italiano, è importante procedere all’iscrizione anagrafica presso il Comune di dimora, in quanto, tra le altre cose, dopo cinque anni di residenza il cittadino straniero adottato dal cittadino italiano ha diritto all’ottenimento della cittadinanza italiana (art. 9 c. 1 L. 91/92).
Nei mesi successivi alla sentenza e dopo il pagamento della tassa di registrazione della pronuncia pari a 200 euro, si procede alla trascrizione del provvedimento di adozione presso l’ufficio anagrafe competente per residenza. Considerato il rapporto di filiazione che si è creato a seguito della adozione, la pronuncia va trascritta nei registri di nascita ed annotati nell’atto di nascita (ai sensi dell’art. 28 DPR 396/2000).
Solitamente i cittadini stranieri dovranno preliminarmente chiedere la trascrizione del proprio atto di nascita (già prodotto in sede di giudizio tradotto e legalizzato) al comune sul quale sarà annotata la sentenza di adozione, dalla quale discende il nuovo status acquisito. Su quello stesso atto di nascita, sarà successivamente annotata anche l’acquisizione della cittadinanza italiana.