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Ali Babà e i 28 ladroni

di Valentina Angotti Bicocca, volontaria a Velika Kladusa in Bosnia ed Erzegovina

Photo credit: Gabriel Tizon

Ali Babà ha 17 anni, è siriano ed è convinto che questa sia l’unica strada percorribile. A volte si sente stremato, dorme al freddo, stenta a trovare cibo e spesso si accontenta di mangiare una volta sola al giorno. Ha perso casa sua qualche anno fa a seguito di un bombardamento; affranto e spaventato decise di lasciare la sua città ed intraprendere un cammino in cerca di pace.

L’unica strada percorribile per Ali Babà è stata quella che da Homs lo portò prima in Turchia e poi in Grecia dove trascorse qualche mese in un campo. Lui decise poi di tentare la fortuna spingendosi un po’ più in la con la speranza presto di fotografare la Torre di Pisa. Attraversa l’Albania, il Montenegro e la Bosnia; lo fa a piedi, pazientemente e senza fretta. Ogni tanto incontra dei compagni di viaggio che il più delle volte perde per strada e spesso si trova solo cercando di trovare il miglior modo di passare l’ennesima gelida notte priva di riparo.

In Bosnia ed Erzegovina giunge sino ad una minuscola cittadina di frontiera, Velika Kladusa, ad un passo dalla Croazia, ad un passo dall’Unione Europea e dalla possibilità di fare richiesta d’asilo. Conosce qualche persona, molti uomini, poche famiglie, alcuni stanno nel campo, altri vivono in case abbandonate o per strada; vengono dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Pakistan e dal Maghreb. Tutti hanno tentato più di una volta di raggiungere l’Unione; le loro testimonianze non rassicurano Ali Babà che sentendosi così vicino al traguardo, non tarda a realizzare che l’ultimo ostacolo sarà proprio il più arduo.

Si fa mandare qualche soldo dal fratello, mette assieme un po’ di cibo ed un sacco a pelo; si unisce ad un gruppo in partenza, carica il suo telefonino ed installa l’applicazione MapsMe che gli permetterà di visualizzare la rotta anche off-line. Il tragitto è lungo, attraversa i boschi e fra i maggiori ostacoli figurano orsi e polizia. L’obiettivo? Raggiungere l’Italia a piedi in 12 giorni. Sono le 10 di sera, Velika Kladusa dorme ma Ali Babà è teso, sveglio, tremendamente impaurito e pronto a partire assieme ad altri tre uomini.

Ali Babà cammina fra i boschi, attraversa le frontiere e lo fa in silenzio; quando vede una pattuglia della polizia si nasconde dietro un albero. Nessuno gli dice cosa fare; è lo spirito di sopravvivenza che lo guida. Il cibo termina al quarto giorno; così inizia a mangiare foglie e frutta; un giorno si spinge sino a delle case, non c’è nessuno ma vede un cesto con delle pannocchie, le prende tutte e le condivide con gli altri. Non aveva mai rubato prima d’ora.

La mappa dice che si trova in Croazia e che il prossimo tratto attraversa una piccola strada provinciale sulla quale vi è la possibilità di incontrare pattuglie della polizia. E l’unica strada percorribile, bisogna stare attenti; Ali Babà sente di non avere altra scelta.

Succede tutto in un lampo, due uomini in divisa placcano Ali Babà; i suoi compagni di viaggio, più rapidi, corrono senza voltarsi nemmeno per un secondo, tuffandosi nei boschi e facendo perdere le proprie tracce. I colpi gli percuotono tutto il corpo, Ali Babà chiude gli occhi e si protegge la testa, delle scosse di dolore picchiano sui muscoli e lui spera solo di non morire così, sul ciglio di una strada provinciale croata. Gli chiedono dove sono andati i suoi amici, Ali Babà non lo sa ma se anche lo sapesse non sarebbe in grado di pronunciare alcuna parola. Lo fanno alzare, lo trascinano fino al fiume e gli ordinano di immergersi nell’acqua gelida di una innevata mattina di febbraio. Ali Babà guarda quell’uomo negli occhi e cerca di capire da dove giunge tutto quell’odio verso di lui che nemmeno conosce; non ha tempo di cercare la risposta, un colpo lo travolge nuovamente, perde l’equilibrio e l’impatto con l’acqua gli spezza il fiato, i polmoni smettono di funzionare.

È sfinito al punto che per un istante pensa che se morisse almeno smetterebbe di soffrire. Quando riprende conoscenza è su una camionetta assieme ad altri uomini il cui sguardo rispecchia la sofferenza di Ali Babà la cui preoccupazione è ormai solo quella di dover accettare la fine del suo sogno. La frenata è brusca, i poliziotti fanno scendere tutti, rompono i telefoni, confiscano ogni cosa: sacchi a pelo, giacche e denaro; parte dei beni sono messi alle fiamme, altri sono ben conservati nelle loro tasche: “Tornate in Bosnia e non fatevi più vedere in Croazia“.

A partire dal 2017 i tentativi di attraversamento frontalieri dalla Serbia e Bosnia ed Erzegovina verso la Croazia iniziarono ad essere registrati; UNHCR ha documentato la perdita di 26 vite umane, la maggior parte delle quali avvenuta lungo il confine sloveno-croato (Amnesty International, Pushed to the Edge, 2019).

Nel 2018, le autorità slovene deportarono 4.653 individui in Croazia le cui autorità, a loro volta, trasportarono tali persone in Bosnia ed Erzegovina; violando il diritto di richiedere asilo e costringendo i soggetti in questione ad uno spostamento forzato. (Are you Syrious?, Report on illegal practice of collective expulsion on Slovene-Croatian border, 2019).

Nonostante la raccolta di evidenze, video e fotografie che testimoniano le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine, le autorità croate negano ogni tipo di responsabilità, dichiarando che quanto accade nelle zone di confine avviene nel rispetto delle legislazioni dell’Unione Europea. (Amnesty International, 2019).

Le autorità italiane partecipano alle operazioni di respingimento forzato nei confronti di quanti entrano irregolarmente nel paese attraverso la rotta balcanica, malgrado le dichiarazioni dei migranti di voler presentare la domanda di asilo (Amnesty International, 2019).

Ali Babà non è un vero nome, significa ladro ed è un comune nomignolo attribuito a molte persone migranti che da un paese come la Bosnia tentano raggiungere l’Unione. E mentre Yassim, Mohammad o Aziz sono soprannominati Ali Babà, fanno paura anche se non mordono, ed hanno la sola colpa di aver perso tutto nei vari tentativi di raggiungere un paese europeo; i 28 paesi dell’Unione stanno a guardare, seduti comodamente dalla parte giusta e discriminando coloro ai quali ruba il diritto di chiedere asilo, di esserci, di esistere.