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da Il Manifesto del 14 gennaio 2004

Bossi-Fini, la Consulta approva di Cinzia Gubbini

La Corte respinge le eccezioni di costituzionalità: il giudice può valutare quando uno straniero espulso si trattiene in Italia «senza giustificato motivo», e quindi può arrestarlo. E aggiunge che anche la povertà è un valido motivo

Roma – Costituzionale. Questo il succo della prima sentenza – che riserva molte sorprese – della Consulta su una delle eccezioni (più di 400) sollevate dai tribunali sulla legge Bossi-Fini. Il relatore è il giudice Giovanni Maria Flick (nominato da Ciampi, ex guardasigilli) e la sentenza è la numero 5 del 2004. L’articolo incriminato è il 14 del testo unico sull’immigrazione, laddove stabilisce che il giudice deve decidere se uno straniero espulso si è trattenuto sul territorio dello stato «senza giustificato motivo». Reato punito con l’arresto da 6 mesi a un anno in caso di prima espulsione, da 1 a 4 anni in caso di seconda espulsione. Riepilogo delle puntate precedenti: secondo la Bossi-Fini l’espulsione è attuata, in via ordinaria, con l’accompagnamento alla frontiera. Se è impossibile espellerlo immediatamente, allora può essere rinchiuso in un centro di permanenza. Se – passati i 60 giorni di reclusione – risulta impossibile espellerlo, allora il prefetto può imporre allo straniero di «autoespellersi» entro cinque giorni. Se lo straniero resta in Italia, scatta l’arresto e il rito direttissimo. Al giudice della convalida, l’«onere» di valutare la sussistenza di un valido motivo per restare. E qui scatta l’inghippo.

In primo luogo, secondo alcuni giudici dei tribunali di Troino e Ferrara, la norma è indeterminata. Che siginifica «senza giustificato motivo»? In secondo luogo, stando così le cose, l’onere della prova ricadrebbe tutto sulle spalle dell’imputato, ledendo l’articolo 24 della Costituzione sul diritto di difesa. Altri articoli costituzionali tirati in ballo sono l’articolo 2 (solidarietà sociale) l’articolo 3 (parità di trattamento), nonché l’articolo 97 sul «buon andamento dell’amministrazione». Quest’ultimo liquidato in poche righe dalla Corte, che ha ribadito come «il buon funzionamento» riguardi gli uffici, non la funzione dei giudici; ma è proprio la «lamentela» che meglio spiega l’ostilità nei confronti della Bossi-Fini, una legge che intasa i tribunali.

Ma vediamo come ha risposto la Consulta. Rispetto all’«indeterminatezza» della norma la Corte sottolinea che ne esistono molte altre contenenti definizioni altrettanto «elastiche» («arbitrariamente», «senza giusta causa» ecc…) e in genere hanno la funzione di «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo. In pratica quel «giustificato motivo» permette al giudice di assolvere l’immigrato, qualora verifichi che – effettivamente – non si porteva allontanare. Come farlo? Interpretando la norma in raccordo a tutto il quadro normativo sull’immigrazione, «un’operazione interpretativa non esorbitante» dal compito ordinario. La legge, infatti, dà «puntuali agganci» per capire quando sussite il «giustificato motivo». Alcuni sono contenuti nello stesso articolo 14, e sono quelli che impediscono allo stato di espellere immediatamente l’immigrato: difficoltà di ottenere i documenti, indisponibilità di un mezzo idoneo, necessità di soccorso. Ma, aggiunge Flick, anche «l’assoluta impossidenza»: se l’immigrato non ha un euro in tasca per comprarsi il biglietto di viaggio, beh, questo è un «giustificato motivo». Scrive Flick: «non può negarsi che la formula “senza giustificato motivo” riduce notevolmente, in fatto, l’ambito applicativo della norma incriminatrice». Traduciamo: sono più le volte in cui il fatto non costituisce reato, che quelle in cui si può disporre l’arresto.

«Il passaggio sull'”impossidenza” ha del clamoroso – commenta l’avvocato penalista bolognese Simone Sabattini – visto che finora i tribunali non sempre hanno considerato l’eccessivo costo del biglietto di viaggio un “giustificato motivo”. Ovviamente, di contro, dà un’indicazione tremenda, e cioè che lo stato deve adoperarsi a rispettare la “regole”, e cioè l’espulsione con accompagnamento alla frontiera. Una modalità che, come lamentavano gli stessi giudici remittenti, nella pratica non viene mai applicata perché è costoso e perché spesso è difficle identificare con certezza l’immigrato privo di documento». Ma proprio la questione della «generalizzazione» dell’espulsione amministrativa coatta (oggetto di numerose remissioni) secondo gli esperti verrà accolta dalla Corte, poiché comporta una limitazione della libertà personale e quindi può essere disposta solo dal giudice. Insomma, la Bossi-Fini potrebbe presto essere messa in grave contraddizione.

C’è un ultimo punto interessante, e lo sottolinea l’avvocato torinese Gianluca Vitale: «La sentenza sottolinea che anche la polizia ha la possibilità di “apprezzare” un palese “giusitificato motivo” al momento dell’arresto. In una situazione del genere, non dovrebbe procedere». Aiutando, almeno un poco, il «buon andamento» della pubblica amministrazione.