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#FragileMosaico – Joumana Haddad, la poetessa ribelle che sfida gli integralismi e lotta per i diritti delle donne

Racconti dal viaggio della campagna overthefortress in Libano

Foto di Vanna D'Ambrosio

Beirut – Sul suo profilo Facebook aveva già postato un video in cui esultava per la sua elezione al parlamento Libanese. Poi il sistema è andato misteriosamente in crash. Al riavvio, i conteggi delle schede hanno dato vincente il candidato cristiano maronita pupillo del partito del presidente in carica, Michel Aoun, del Free Patriotic Movement, una formazione di destra vicina ai falangisti. Stiamo parlando di Joumana Haddad, giornalista, scrittrice e poetessa libanese. Una delle donne considerata dai media tra le più influenti del Medio Oriente e non solo. Anche il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, le ha concesso nel 2013, il titolo onorario di ambasciatrice della cultura e dei diritti umani della città di Napoli.
In Libano, Joumana Haddad è uno di quei personaggio per il quale non ci sono mezze misure: o la odi o la ami.

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I più, c’è da dire, la odiano. Gli integralisti soprattutto. Sia quelli cristiani che quelli musulmani. Ma anche le destre fasciste e falangiste e, come lei stessa sottolinea, anche tanti che si considerano di “sinistra” ma che poi sono i primi a riproporre quei cliché sulle donne che sono gli stessi delle teocrazie più medioevali, come quella del Bahrein, Paese che l’ha dichiarata “personaggio non gradito” rifiutandole il visto di ingresso per il suo acceso femminismo.
E’ anche vero che Joumana è una di quelle donne che non ha paura di essere donna e che te lo fa capire fondando, disegnando e dirigendo una rivista come Jasad: primo tabloid in lingua araba a parlare di sessualità femminile, usando oltretutto termini vietatissimi come “orgasmo“, in un universo culturale in cui il corpo è considerato una cosa sporca e innominabile. Si capisce quindi perché Joumana Haddad ripeta: “Vivo in un Paese che non mi ama“. E che non ama neppure i suoi versi. Versi come questo che chiedono più libertà:

Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta
“.

Giornalista, abbiamo detto, poetessa ed anche scrittrice di libri che in Italia sono stati tutti pubblicati dalla Mondadori. “Non ho peccato abbastanza“, “Il ritorno di Lilith“, “Ho ucciso Shahrazad. Confessioni di una donna araba arrabbiata“, “Superman è arabo“, tanto per citare alcuni dei suoi volumi i cui titoli, come si dice, sono già un programma.

E a questo punto avrete già capito che Joumana Haddad non è una di quelle che si tirano indietro. Neanche quando si tratta di tradurre il suo impegno di intellettuale in una concreta azione politica. In un panorama desolato come il dibattito politico libanese, in cui trionfavano proclami ad attuare la volontà di Dio e richiami alla patria, all’onore e addirittura alla “razza fenicia” di cui i falangisti si sentono diretti discendenti, Joumana, presentatasi nelle file del partito Li Baladi, in lizza con la coalizione Kull Watani, è una dei pochissimi candidati ad aver affrontato i problemi veri del Paese come la povertà, la presenza di un milione di rifugiati, la privatizzazione di servizi come la sanità e l’energia, di beni comuni come l’acqua, e inoltre i diritti dei lavoratori, degli ultimi e delle donne.

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Non a caso, Joumana si è definita “la candidata di minoranza“. Ma soprattutto, Joumana era la candidata dichiaratamente laica che né il presidente della repubblica cristiano maronita, né tantomeno il primo ministro sunnita o il presidente della camera sciita – la Costituzione impone che le tre cariche fondamentali dello Stato siano assegnate ad appartenenti di queste confessioni – volevano trovare nei banchi dell’opposizione.
E così è arrivato puntualissimo il crash del sistema elettorale. Ed è arrivato dopo che il conteggio e il riconteggio di rito l’aveva proclamata vincitrice. Dopo che le televisioni e gli avversari politici avevano proclamato, a denti stretti, la sua vittoria.

La nuova legge elettorale infatti prevede che sia una commissione governativa ad avere l’ultima parola sui conteggi. “Quando il sistema è saltato – spiega Joumana – hanno mandato via tutti e si sono barricati nella sala. Quando ci hanno fatto entrare, i numeri negli schermi erano completamente diversi!“.

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Non ci sta, naturalmente Joumana, che ha già annunciato ricorso agli organi di vigilanza competenti. “Mi hanno rubato l’elezione e con me hanno derubato anche i miei elettori“, ha detto battagliera in televisione. Elettori che il giorno dopo il voto, hanno inscenato una protesta davanti alla sede del ministero degli interni. Presenti perlomeno 400 persone. “Non sono la sola da avere subito questo furto – ha concluso -. Gli osservatori internazionali hanno rilevato oltre 7500 episodi di presunte truffe ai danni dei candidati indipendenti. E questo vuol dire che facciamo davvero paura agli integralisti“.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.