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Libera circolazione comunitari (e neocomunitari) – Commento alla legge n.29/2005

Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea

Per quanto riguarda le norme riguardanti la circolazione dei cittadini dei paesi membri dell’UE, commentiamo di seguito la legge comunitaria n. 29, del 25 gennaio 2006 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee) pubblicata nella G.U. n. 32 dell’8 febbraio 2006.
Nell’ambito di questa complessa ed articolata norma che dedica diverse disposizioni ad ambiti molto diversi tra loro, si vogliono commentare soltanto le disposizioni contenute agli artt. 12 e 20 che, dal punto di vista più pratico, riguardano problematiche frequenti che incontrano non solo i cittadini comunitari, ma anche i neocomunitari. Ci si riferisce alla possibilità di circolare liberamente nell’Unione e di far valere diritti fondamentali, a seguito dell’esercizio della libertà di circolazione delle persone nei diversi paesi membri dell’UE (artt. 39 – 55 del Trattato istituivo della Comunità europea).
L’art. 12, comma 1, della legge precisa che “Fatta salva la normativa vigente in materia, in caso di procedimento nel quale è richiesto il possesso di un titolo di studio, corso di perfezionamento, certificazione di esperienze professionali e ogni altro attestato che certifichi competenze acquisite dall’interessato, l’ente responsabile valuta la corrispondenza agli indicati requisiti dei titoli e delle certifcazioni acquisiti in altri Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo o nella Confederazione elvetica”.
La valutazione dei titoli di studio (art. 12, comma 2) però – e questo non mancherà di comportare lungaggini burocratiche e lunghi tempi di attesa – “è subordinata alla preventiva acquisizione sugli stessi di un parere favorevole espresso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca tenuti conto dell’oggetto del procedimento. Il parere deve essere reso entro centottanta giorni dal ricevimento della documentazione completa”.
La norma manca di precisare che cosa succede nel caso in cui il Ministero dell’Istruzione non provveda a fornire il proprio parere. Non essendo previsto nessun meccanismo di silenzio-assenso, bisogna ritenere che – non a caso la norma è stata concepita in questo modo – la mancanza del parere paralizzi comunque la possibilità di dare riconoscimento ai titoli di studio e di formazione professionale conseguiti all’estero e utilizzati per ottenere l’autorizzazione a svolgere determinate attività professionali o imprenditoriali.
Se consideriamo che queste disposizioni contenute nella legge comunitaria sono improntate all’esigenza di adeguarsi a quanto stabilito dalle norme comunitarie, dobbiamo sottolineare una scarsa volontà di conformarsi alle stesse perché se ne tiene conto esclusivamente dal punto di vista formale, ma poi si adottano procedure prettamente “burocratiche”. Peraltro, in assenza dell’organizzazione dell’apparato che permetta di garantire tempi celeri di risposta, si introducono delle procedure che di fatto saranno destinate ad ostacolare maggiormente l’esercizio di diritti fondamentali quali, appunto, l’utilizzo di un titolo di studio acquisito in un altro paese dell’Unione europea.

All’art. 20 vengono apportate modifiche al “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea” (dpr 18 gennaio 2002, n. 54) nella parte in cui conteneva delle limitazioni rispetto al pieno recepimento delle norme previste a livello comunitario in materia di libertà di circolazione dei cittadini dei paesi membri e dei loro familiari.
Si nota che le disposizioni vengono adottate, modificando la precedente normativa italiana, proprio per evitare che si concludano le procedure di infrazione 2003/2134 e 2003/2166 avviate dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano a fronte della constatata inadempienza degli obblighi di attuazione piena della normativa comunitaria in materia di libertà di circolazione e stabilimento dei cittadini dei paesi membri. In particolare con l’art. 20 è stato finalmente rimosso – parzialmente – un limite alla libertà di circolazione per quanto riguarda la libertà dei cittadini dei paesi membri di poter portare con sé anche i figli a carico. Nella normativa modificata, questa libertà si limitava ai solo figli minorenni e non si considerava che anche i figli maggiorenni possono – come noto – continuare a vivere a carico dei genitori.
Ora si prevede infatti che: “Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto al coniuge non legalmente separato, ai figli di età inferiore agli anni 21 e ai figli di età superiore agli anni 21, se a carico, nonché ai genitori del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge”.

Pare opportuno precisare che le disposizioni ora commentate possono trovare applicazione anche per i cittadini neocomunitari, in particolare per quanto riguarda il diritto alla coesione familiare. I cittadini neocomunitari, come abbiamo già precisato, sono soggetti ad un regime transitorio, ma unicamente per quanto attiene la libertà di circolazione per motivi di lavoro subordinato. Nel momento in cui il cittadino neocomunitario abbia esercitato questa libertà di circolazione (in base a un’autorizzazione ottenuta con il decreto flussi al medesimo riservato), non incontra o non può incontrare altri limiti perché, sotto tutti gli altri punti di vista, è a tutti gli effetti un cittadino dell’Unione europea.
In altre parole, il regime transitorio stabilisce soltanto delle eccezioni alla regola e, per quanto non espressamente previsto, si applicano invece le regole generali già stabilite per tutti i cittadini dell’UE, ivi compreso il diritto alla ricongiunzione familiare che ora, per i cittadini neocomunitari, dovrà essere riconosciuto non solo con riferimento ai figli minorenni, ma anche ai figli a carico che risultino essere maggiorenni.