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I nostri anni migliori – Un film di Matteo Calore e Stefano Collizzolli

Cosa resta di una rivoluzione nelle vite delle persone che l’hanno attraversata?

Cosa resta di una rivoluzione nelle vite delle persone che l’hanno attraversata?

Nel racconto di cinque ragazzi tunisini, incontrati a Manduria, Mineo e Palazzo San Gervasio, un’intera vita soffocata sotto il regime di Ben Ali, la rivoluzione inaspettata e dirompente che l’ha messo in fuga. Poi la possibilità di partire, per alcuni a lungo sognata e per altri solo improvvisata.

Gli anni migliori sono i loro: quelli di una generazione di giovani cui per troppo tempo è stata negata la libertà, e che hanno deciso di provare a prendersela fino in fondo.

Sinossi
Tra fine febbraio ed inizio marzo del 2011, seimila giovani tunisini approdano a Lampedusa.
Il governo, stretto fra le necessità di fatto e le sue stesse retoriche di chiusura e sicurezza, non sa che fare.
La piccola isola si avvia al collasso.

Lo “tsunami umanitario” domina il dibattito pubblico di quei giorni. Si grida all’invasione; si accusa l’Europa di “lasciarci soli”; regioni del nord e del sud, governo ed opposizione, si rimpallano responsabilità ed esseri umani.

Non si parla molto del paradosso di un paese da sessanta milioni di abitanti, da vent’anni al centro delle migrazioni mediterranee, che, troppo abituato a respingere, si mette in scena come incapace di gestire un picco di seimila persone, su un flusso complessivo di circa ventitremila: lo 0,04% della popolazione italiana.

Ciò di cui non si parla affatto è di cosa sia rimasto nelle vite di questi ragazzi che hanno appena vissuto una rivoluzione e un cambio di regime che sono forse il fatto capitale della storia araba degli ultimi trent’anni, e delle ragioni che gli hanno spinti a partire.

L’incapacità di capire diventa incapacità di accogliere. Il flusso dalla Tunisia si trasforma in un problema di mero ordine pubblico.

Il 5 marzo 2011 il governo italiano e quello provvisorio tunisino stringono un accordo bilaterale. La Tunisia si impegna ad intensificare i controlli sulle proprie coste e accetta il rimpatrio forzato di quanti riescano a raggiungere Lampedusa dopo la mezzanotte di quello steso giorno; l’Italia promette di fornire un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi per motivi umanitari a tutti coloro che siano già arrivati.

In attesa di questi permessi, dopo i giorni del folle sovraffollamento a Lampedusa, i giovani tunisini vengono trasferiti in campi di prima accoglienza che, per circa due mesi, diventano la seconda porta d’Europa. Qui li abbiamo incontrati.

Abbiamo passato i giorni a parlare attraverso le fitte reti del campo di Palazzo San Gervasio (PZ), negli uliveti e negli aranceti intorno al campo di Mineo (CT) e attorno ai fuochi improvvisati di fronte al campo di Manduria (TA).

Cinque di loro, cinque ragazzi comuni, ci raccontano le loro storie.

Storie diverse, ma accomunate da un lungo racconto: la costrizione, la repressione e la miseria dei lunghi anni sotto Ben Ali ed il sollievo di poterne finalmente parlare; l’orgoglio della rivoluzione e la decisione di partire, per urgenza di cambiamento, per curiosità, per ricerca di esperienze. Perché per la prima volta dopo 23 anni era possibile, ed era chiaro che la possibilità sarebbe durata poco. In una parola, per prendersi un diritto, il diritto al viaggio, alla libertà di movimento, che ai loro coetanei europei è riconosciuto senza discussione.

Cinque storie accomunate da uno sguardo curioso e deluso, ma non sconfitto, che si posa sulle impreviste sfaccettature della libertà, del viaggio e dell’Europa.