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Il rebus dei piccoli natanti

di Cinzia Gubbini

Barche sempre più piccole, e per questo sempre più insicure. E’ questa la nuova «tendenza» che gli investigatori registrano negli sbarchi di immigrati sull’isola di Lampedusa. Un trend inquietante e che non ha ancora trovato una spiegazione univoca. Fatto sta che confrontando i dati del 2005 e del 2006 emerge con molta chiarezza la moltiplicazione di piccoli natanti, spesso davvero «straccioni», che cercano di raggiungere le coste italiane. Sono diminuiti vistosamente, invece, quelli di portata media a cui eravamo abituati negli anni passati. Al contrario aumentano leggermente – elemento tutto da valutare – quelli di grossissima portata.

I numeri parlano chiaro: se nel luglio 2005 gli sbarchi con a bordo meno di 50 persone – dunque barche molto piccole- erano stati 34, nello stesso periodo del 2006 avevano raggiunto quota 106. Una vera e propria «esplosione».

Viceversa i natanti di media entità – quelli che riescono a trasportare tra le 101 e le 200 persone – erano stati 25 nel 2005 e 14 nel 2006. Per quanto riguarda i barconi che riescono a caricare più di 201 persone i dati si invertono: nel 2005 ne sono arrivati solo 6, quest’anno ne sono già approdati 14, almeno fino al mese scorso.
Cosa significa questo cambiamento? Gli inquirenti, finora, si sono limitati a registrare i dati e a notare che qualcosa – in effetti – è cambiato. Le ipotesi sul tappeto sono diverse: qualcuno sostiene che in Libia siano finite le barche più grandi (e anche più sicure) a causa delle continue partenze dalle coste e della pressione – per così dire – della «domanda». A questo fattore potrebbe affiancarsene un altro: l’Italia ormai distrugge i natanti che trasportano gli immigrati, come «deterrente» per le organizzazioni mafiose che stanno alle spalle dei migranti, e questo potrebbe aver convinto chi organizza i viaggi dell’inutilità di mandare in mare barche più sofisticate.

Un’altra scuola di pensiero – molto in voga anche in Spagna, dove si registra il medesimo fenomeno – ritiene, invece, che i trafficanti mettano in mare degli esili gusci di legno perché sono difficilmente intercettatili dalle navi e dagli aerei ( e in Spagna dal sistema elettronico sullo stretto di Gibiliterra) che controllano il mare. C’è poi una terza ipotesi: l’esistenza delle cosiddette «navi madre». Imbarcazioni più grandi che mettono in mare navi più piccole arrivati a un certo punto della navigazione. Per la verità gli investigatori si stanno convincendo che questa è una modalità di viaggio minoritaria. Ma le «navi madre» esistono. Il tribunale di Agrigento ha appena condannato cinque libici per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina «beccati» all’inizio dell’anno a bordo di un peschereccio che aveva appena messo in mare alcuni gommoni carichi di immigrati.