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Ph: Baobab

Condannato per scafismo: la campagna Capitani coraggiosi tenta la revisione del processo

La denuncia di Baobab Experience: «Spariti nel nulla gli elenchi delle persone sbarcate, impossibile rintracciare i testimoni»

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All’interno della campagna “Capitani Coraggiosi” di Baobab Experience, l’associazione sta provando a richiedere la revisione del processo che ha portato alla condanna per scafismo di Alaji Diouf.

«Alaji – racconta Baobab – è un ragazzo a cui lo Stato italiano ha rubato 7 anni di vita».

Sulla base di una singola testimonianza e senza tenere conto degli elementi di prova a suo favore, è infatti stato condannato come scafista di un gommone che non ha mai guidato. È stato accusato da una sola persona, tra le oltre 100 sbarcate con lui nel 2015, la quale, tra l’altro, non si trovava neanche sul suo stesso gommone.

«Alaji parlava solo la lingua mandinga. Non sapeva leggere né scrivere. Eppure, agli atti del processo, non solo risulta che lui parlasse la lingua wolof ma al suo interrogatorio – su indicazione del Giudice – l’interprete ha tradotto tutte le domande in francese, inglese e arabo, idiomi che Diouf ignorava completamente. Questa enorme violazione del diritto alla difesa si è riprodotta durante tutto il processo», sottolinea Baobab.

Se avessi parlato l’italiano che parlo adesso, non sarei finito in carcere” ha detto Alaji alle attiviste mentre ricordano che è «un ragazzo a cui è stata rubata la vita, privato di un effettivo diritto alla difesa e travolto in una stagione buia della politica e della magistratura italiane, che, a braccetto, hanno scelto di mettere dietro le sbarre “disgraziati 1” e stringere le mani agli amici dei trafficanti».

E’ per questo che il 3 luglio 2023 Baobab Experience decide di attivarsi e ricontattare le persone che si trovavano sul barcone con Alaji così da ottenere la loro ricostruzione di quanto avvenuto durante l’attraversamento del Mediterraneo, soprattutto rispetto a chi fosse davvero al comando dell’imbarcazione. Con il supporto dell’avvocato Francesco Romeo, chiede quindi alla Questura e alla Prefettura di Taranto di ottenere gli elenchi delle persone sbarcate e le informazioni relative ai centri di accoglienza dove erano state trasferite.

Il 24 luglio 2023, la prima risposta della Prefettura di Taranto: la richiesta è “poco efficace” perché sono trascorsi ormai otto anni dall’evento. Tuttavia, sia pur con riluttanza, il Prefetto interroga il Garante per la Privacy e l’avvocatura distrettuale dello Stato di Lecce sulle corrette modalità di condivisione dell’elenco richiesto dal difensore legale, al fine di bilanciare il diritto di accesso agli atti del difensore ed il “diritto alla riservatezza”.

Il prefetto quindi si pone il problema di tutelare la riservatezza di possibili testimoni. «Ma il diritto alla privacy non può mai prevalere sul diritto di tutte e tutti alla difesa, ovvero sul diritto di Alaji di chiedere l’annullamento della sua condanna», spiega l’associazione che precisa: «La cosa più importante è che, sicuramente, il 24 luglio non c’è traccia di sparizione delle informazioni richieste».

Dopo un lungo silenzio, il 24 ottobre 2023, l’Avvocato difensore di Alaji reitera la richiesta di accesso agli atti evidenziando che non vi è stata risposta.

Si arriva quindi al 4 gennaio 2024, quando la Prefettura di Taranto risponde ma cambia versione: “(..)a seguito di ripetute ricerche anche negli archivi di deposito di questa Prefettura, non sono stati rinvenuti gli atti relativi allo sbarco di migranti avvenuto a Taranto in data 20/10/2015”.

«Queste parole all’indomani del caso Iuventa – affermano le attiviste e gli attivisti – fanno ancora più impressione. Era lo stesso anno, il 2015, quello dei “taxi del mare”: l’anno del ribaltamento della realtà, in cui le ONG di mare e di terra hanno iniziato ad essere chiamate “amiche dei trafficanti” e in cui migranti presi a caso al momento dello sbarco hanno iniziato ad essere il capro espiatorio delle politiche migratorie fallimentari e criminali di Italia e Unione Europea».

Baobab Experience stessa fu trascinata nel buco nero dei processi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per aver acquistato 9 biglietti del bus a persone di origine sudanese e ciadiana: «Il meccanismo perverso è lo stesso. Ciò che cambia è il diverso livello di tutela legale che si possono permettere gli attivisti e le persone migranti, appena giunte in territorio italiano, prive di una rete sociale di riferimento, che non conoscono la lingua e le leggi del posto: le vittime sacrificali perfette».

La risposta della Prefettura di Taranto dimostra quanto sia importante una campagna come quella di “Capitani Coraggiosi”, sia per raccontare le storie e sia sostenere le persone arrestate con processi sommari come quello subito da Diouf. 

A breve Baobab Experience, con l’avvocato Francesco Romeo, presenterà il ricorso per annullare la condanna. L’obiettivo è un giudizio di revisione per dimostrare che Alaji era un passeggero come gli altri: i trafficanti, i loro complici e i loro amici vanno cercati altrove.

  1. “Disgraziati”, così si esprime la Corte d’Appello di Lecce nella motivazione della sentenza di condanna a carico di Diouf: “[…] gli imputati non sono gli organizzatori del viaggio, questi ultimi rimasti al sicuro sulle coste libiche, bensì altri disgraziati che hanno accettato tale compito per fuggire anch’essi dalla condizione in cui versavano in patria. Dunque scafisti improvvisati se è vero che essi venivano allenati sulla spiaggia alla conduzione dei gommoni poco prima della partenza.”

Redazione

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