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da il manifesto del 24 agosto 2007

Pescatori sotto accusa, il teste: «Salvi grazie a loro»

di Cinzia Gubbini
«Abbiamo anche alzato il bambino che era con noi sul gommone, per farlo vedere. Ma quel peschereccio non si è fermato». A fermarsi per prestare soccorso, invece, sono stati i due peschrecci tunisini, il cui equipaggio è sotto processo a Agrigento per «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Il drammatico episodio è stato raccontato ieri da uno dei 44 migranti che l’8 agosto si trovava sul gommone recuperato dai sette pescatori alla guida dei motopescherecci Morhtada e Mohamed-Hedi, attualmente ancora sotto sequestro al porto di Lampedusa. Il teste – un ragazzo marocchino – ha raccontato per filo e per segno la brutta avventura delle 44 persone – molte delle quali eritree, etiopi e sudanesi – sin dalla loro partenza in Libia. Il gommone su cui viaggiavano è andato in avaria la notte del secondo giorno di viaggio. A bucarsi è stata la camera d’aria a poppa, che ha iniziato a sgonfiarsi. Inutile, da parte dei passeggeri, la richiesta di aiuto. Tra di loro c’è stato anche un litigio, quando hanno avvistato una nave battente bandiera tunisina. La maggior parte delle persone voleva avvicinarsi, temendo di morire in mare. Ma l’uomo che guidava il gommone – in tribunale lo hanno già ribattezzato «scafista», ma in realtà il marocchino ha assicurato che si trattava di uno come loro, che mai aveva guidato un’imbarcazione – era in disaccordo, temendo che si trattasse della polizia tunisina. Comunque sia, a poco è valso litigare: quando il peschereccio si è avvicinato ha rifiutato di farli salire a bordo, e si è limitato a indicargli la rotta per raggiungere l’Italia. Incontrare l’equipaggio dei due motopescherecci che invece si sono fermati, dunque, per i migranti è stato una specie di miracolo. In una delle prossime udienze sarà ascoltato anche un altro superstite, un uomo sudanese. Il teste ascoltato ieri ha confermato quanto già affermato dal medico di bordo della nave militare Vega, che era intervenuta in seguito alla segnalazione dei motopescherecci tunisini: il dottore non è riuscito a salire su entrambi i pescherecci, ma soltanto su uno, a causa delle cattive condizioni del tempo. Non ha dunque potuto accertarsi della condizione di salute di tutti i migranti (quattro dei quali sono stati trasportati in eliambulanza a Palermo non appena attraccati a Lampedusa). L’impianto dell’accusa si basa sul fatto che la Capitaneria di Porto non aveva dato l’autorizzazione all’ingresso in Italia, ordinando ai pescherecci di tornare in Tunisia.