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Una nuova legge per la cittadinanza italiana?

A cura di Amedeo Intonti

La Commissione Affari Costituzionali della Camera ha, da pochi giorni, approvato un testo base di riforma delle norme che consentono agli stranieri l’acquisizione della cittadinanza italiana. La riforma, nel suo percorso, sarà sicuramente oggetto di modifiche e, prima di una approvazione del testo definitivo, probabilmente occorrerà attendere la prossima legislatura.

Quattro, in sintesi, sono i cardini di questa riforma:

1) cittadinanza italiana automatica per i figli nati in Italia da genitori stranieri residenti da almeno 8 anni e da almeno 2 anni titolari di Carta di Soggiorno;

2) riduzione da 10 ad 8 anni del periodo di regolare permanenza in Italia, trascorso il quale lo straniero può fare domanda di naturalizzazione (media attuale circa 2000 domande per anno);

3) aumento da 6 mesi a 2 anni del periodo di legale residenza del coniuge straniero di cittadino italiano, trascorso il quale è possibile far domanda di cittadinanza (media attuale circa 10.000 domande per anno);

4) il richiedente la cittadinanza italiana dovrà dimostrare di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura del nostro paese.

Ben vengano le novità di cui ai punti 1 e 2. Si può commentare solo che la pretesa automaticità di cui al punto 1 potrà non essere tale quasi certamente. Dovendo dimostrare un doppio requisito posseduto dai genitori stranieri, dovrà provvedervi un qualche ufficio.
Sarà sollecito ad attuare una rapida procedura? Per il punto 4 occorre molta, molta cautela. Bisogna indicare chiaramente i requisiti richiesti. Un esame può facilmente tramutarsi in una forma di discriminazione.

Non condivisibile è invece l’aumento dai 6 mesi ai 2 anni del periodo di attesa per effettuare la domanda dopo un matrimonio con cittadino italiano. Si giustifica l’incremento con il contrasto ai cosiddetti “matrimoni di comodo”? Occorre allora fare alcune osservazioni:

a) occorre determinare quanti sono questi presunti “matrimoni di comodo” presi a pretesto (ritengo che sia un quantitativo inferiore al 2% – per esperienza personale ne ho incontrato solo uno su circa 500 e, peraltro, con P.d.S. negato);

b) è comunque molto difficile riuscire a presentare la domanda prima di un anno dal matrimonio (6 mesi di tempo in media per il P.d.S./C.d.S:, almeno 3/4 mesi per la residenza ed ancora altri 3/4 mesi per l’ottenimento del certificato penale straniero con relative legalizzazioni del consolato italiano) e talvolta si riesce a predisporre tutto proprio allo scadere del 2° anno;

c) non tutti gli stranieri coniugi di cittadini italiani hanno interesse all’acquisizione della cittadinanza (p.e.: gli Ucraini che l’acquisiscono hanno mille difficoltà, poi, in patria);

d) non si possono considerare tutti i matrimoni misti “di comodo”, salvo dimostrazione contraria senza riaffermare quel medievale principio per cui una persona è considerata colpevole fino a dimostrazione della sua innocenza;

e) non si può scaricare sull’utente la disfunzione di una Pubblica Amministrazione che, nel caso, non riesce a fare i controlli occorrenti.

La precedente legge, che prevedeva l’acquisizione automatica della cittadinanza italiana al momento del matrimonio, fu cambiata imponendo un periodo limite di 6 mesi dal matrimonio per presentare la domanda, proprio per contrastare quelli cosiddetti “di comodo”. Accettare il principio che questo periodo possa essere allungato significherebbe accettare una estensione che può divenire senza fine, fino ad annullare del tutto questo tipo di riconoscimento della cittadinanza italiana.

Parlo di riconoscimento, perché questa forma di acquisizione della cittadinanza è un vero e proprio diritto, peraltro sancito nella stessa attuale legge. La situazione familiare in cui uno dei coniugi è italiano e l’altro straniero è difficile e fortemente discriminante, sia nei confronti delle altre famiglie interamente italiane, sia tra gli stessi coniugi. In effetti, se in una famiglia un coniuge è cittadino italiano e l’altro no, dove è la parità di diritti fra i coniugi sancita dagli artt. 29 e 31 della nostra Costituzione? La stessa legge n. 91/1992 e le procedure che, in conseguenza ad essa, vengono lentamente attuate, appaiono anche in contrasto con gli artt. 1, 6, 8, 12, 13, 14 ed in particolare con l’art. 5 del prot. 7 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.

Occorre considerare anche i tempi per l’ottenimento del riconoscimento della cittadinanza. Le Prefetture, abilitate alla ricezione e controllo preliminare della documentazione, spesso inviano la pratica al Ministero dell’Interno dopo non meno di 6 mesi dal ricevimento, nonostante la legge prescriva appositamente un tempo limite di 30 giorni. E non si venga a dire che il personale è carente, avendo calcolato una media per Roma di … 3 pratiche al giorno!!!
La stessa legge 91/1992, poi, prescrive all’art. 8, comma 2, un tempo di 730 giorni dalla presentazione della domanda, trascorso il quale la cittadinanza non può più venire negata. Questo tempo, che viene regolarmente superato e di molto, dovrebbe rappresentare quello dei casi limite, magari relativi a stati centro-africani sprovvisti di servizi anagrafici e giudiziari, ma non certo per gli stati europei.

Trascorsi questi 730 giorni, consiglio allora di formalizzare una diffida ad adempiere (magari secondo un modello predisposto). Il Ministero dell’Interno ha, però, escogitato una risposta “tipo” quanto mai invogliante ad una successiva azione legale: “… si informa che l’istruttoria di rito si è favorevolmente conclusa e che è in corso la formalizzazione del provvedimento attributivo dell’invocato beneficio.”, peraltro con firma priva dell’identificazione del funzionario responsabile.

E’ stata annunciata da qualche giorno l’istituzione di una linea dedicata del Ministero dell’Interno (a pagamento) proprio per monitorare lo stato delle pratiche. Ovviamente le risposte date ad utenti interessati sono state assolutamente insoddisfacenti (v. il topic:http://www.stranierinitalia.net/newforum/topic.asp?TOPIC_ID=5259).

Le lungaggini eccessive per le procedure di ottenimento della cittadinanza non risparmiano, poi, neanche le naturalizzazioni dopo 10 anni di regolare residenza in Italia. Ho un esempio limite di una cittadina inglese che, vissuta in Italia dalla nascita, ha inteso ufficializzare la sua posizione chiedendo, appunto, la cittadinanza italiana.
Fino all’anno passato, l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione comportava la rinuncia alla cittadinanza d’origine. Ora non è più così, fortunatamente per una provvida legge del 2004, ma lo era all’epoca in cui la persona in questione aveva fatto domanda di cittadinanza. Per perfezionare la domanda presentata nel giugno 2000, questa persona ha dovuto sottoscrivere nel luglio 2003 una formale rinuncia della sua cittadinanza originaria, restituendo il passaporto inglese al suo consolato. Conclusione: questa persona è ora apolide, avendo dovuto rinunciare alla cittadinanza inglese e non avendo ancora acquisito quella italiana, date le lungaggini che ancora si frappongono alla sola firma del Decreto del Presidente della Repubblica.
Per questo periodo non ha potuto far visita ai parenti in Inghilterra, né tanto meno uscire dall’Italia per motivi di lavoro e/o di turismo. Ovviamente ha in corso una azione legale di risarcimento dei danni subiti. Voglio segnalare che stati come la Moldova, in questi casi, perfezionano la pratica di concessione della propria cittadinanza, condizionando la sola consegna del Decreto già firmato allo svincolo della cittadinanza di origine.

Come si può constatare, il problema è questa volta “a valle”!!! Non è una questione di legge, ma delle procedure per l’attuazione della stessa, che finiscono per produrre più svantaggi rispetto ai benefici che dovrebbero comportare. Vale allora la pena di cambiare la legge prima ancora di aver provveduto ad eliminare le anomalie conseguenti?

scarica l’Allegato 1 – Modello di diffida ad adempiere per acquisizione della cittadinanza italiana