Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Al di sopra di ogni sospetto

La cittadinanza negata sulla base di incontestabili segnalazioni della Digos

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di Avv. Salvatore Fachile

1. Il percorso ad ostacoli verso la cittadinanza

Ogni anno, le statistiche sui cosiddetti “Italiani senza cittadinanza” – persone radicate da tempo sul territorio, cresciute o nate in Italia, ma non riconosciute legalmente come cittadini – riaccendono il perenne dibattito sulle modifiche alla legge sulla cittadinanza, la n. 91 del 1992.
La cittadinanza per naturalizzazione è la via più comune, quella a cui si ambisce per liberarsi dell’angoscia dei continui e incerti rinnovi del permesso di soggiorno.

Tra le norme scarse e l’altissima discrezionalità, l’ottenimento dello status di cittadino ha ancora l’aspetto di un percorso a ostacoli destinato comunque, da ultimo, ad essere rimesso ad una scelta discrezionale dell’Amministrazione: occorre dimostrare la residenza legale e ininterrotta per almeno dieci anni, la conoscenza della lingua italiana con apposite certificazioni, la dimostrazione di un reddito adeguato al mantenimento di sé e di eventuali familiari a carico (peraltro costante dai tre anni prima dell’istanza fino alla sua definizione), e ancora l’assenza di condanne penali.

Ma ancora non basta. In aperta violazione della presunzione di innocenza, all’immacolato aspirante cittadino si chiede non solo di essere privo di qualsivoglia condanna ma anche di denunce o di meri sospetti. Così, qualcuno inciampa proprio sul finire del percorso, con motivazioni lapidarie che ne dimostrerebbero la evidente pericolosità per la sicurezza della Repubblica.

2. Un (aspirante) cittadino al di sopra di ogni sospetto

Proprio in queste parole si annida uno degli elementi più problematici delle norme sulla cittadinanza. È possibile andare incontro ad un rigetto anche in assenza di condanne o semplici denunce, ma solo sulla base di una vaga segnalazione della Digos. Solo due o tre righe, che si limitano ad un cenno all’aver mantenuto un atteggiamento di forte critica verso la cultura occidentale, o al fatto di frequentare assiduamente la moschea, o ancora, dei gruppi sindacali.

Non si tratta di casi isolati. Secondo quanto emerso da un accesso agli atti presentato al Ministero dell’Interno, il numero di istanze rigettate sulla base di ragioni “inerenti alla sicurezza della Repubblica” era di 233 nel 2020, 169 nel 2021 e 218 nel 2022. La formula utilizzata in questi casi si ricollega più precisamente ad uno spazio di discrezionalità non trascurabile che finisce per accentuare il carattere politico della concessione della cittadinanza, in particolare per naturalizzazione.

Già la scelta dei requisiti su cui fondare quel particolare legame di appartenenza ad uno Stato-Nazione rappresentato dalla cittadinanza ha un carattere indubbiamente politico, posto che lo status di cittadino ha delle evidenti ripercussioni sulla quantità e qualità di diritti di cui questi può godere, a partire da quelli di carattere politico e socioassistenziale. Per questo in generale, nella disciplina della naturalizzazione la tendenza è quella di delineare le caratteristiche che l’aspirante cittadino dovrebbe allegare per dimostrarsi ‘degno’ dello status. Tendenza che, anche in ottica europea, è stata definita come politica del “super citizen1. Il termine allude proprio all’utilizzo dei requisiti per la naturalizzazione come uno strumento finalizzato a plasmare l’aspirante cittadino come una risorsa politica, economica e culturale per lo Stato. Nella giurisprudenza italiana questa tendenza assume le forme di espressioni quali un “serio sentimento di italianità” e uno “status illesae dignitatis morale e civile2.

Nell’ottica del super citizen, quindi, per ‘meritare’ la cittadinanza lo Stato chiede non solo di essere benestanti e ben integrati secondo i criteri della cultura occidentale, ma anche di essere politicamente docili. I sospetti di pericolosità per la sicurezza della Repubblica, infatti, di solito altro non sono che collegamenti, anche indiretti, con persone che simpatizzano o fanno parte di movimenti anarchici, eversivi o terroristici; ma anche semplicemente aver partecipato, per una volta, ad una manifestazione studentesca, un picchetto per lavoratori o per opporsi allo sfratto di una famiglia. Insomma, la semplice partecipazione, magari negli anni universitari, ad un collettivo o a delle manifestazioni di protesta può inaspettatamente tradursi in una segnalazione della Digos, fino a diventare un ostacolo incontestabile all’ottenimento della cittadinanza. Oppure, è sufficiente che quel padre, con cui da diversi anni non si hanno contatti, sia sospettato di essere vicino ad un gruppo terroristico, sindacale o simili, perché la sua onta diventi quella dei suoi figli.

In nessuno di questi casi ci si trova di fronte ad un fatto commesso o accertato. Si tratta sempre di un giudizio di carattere prognostico, di una convinzione che quel soggetto potrebbe, in futuro, rappresentare una minaccia per la sicurezza (per come intesa in quel momento dal potere governativo). Sono evidentemente valutazioni funzionali ad una politica di prevenzione che, svincolandosi dalla commissione di un fatto concreto, resta facilmente in balìa di pregiudizi razziali e valutazioni politiche. In fondo, è la stessa matrice da cui derivano altri meccanismi di controllo sociale che, soprattutto se non esclusivamente nel diritto dell’immigrazione, si fondano sul sospetto e sul reato d’autore.

3. Impossibile difendersi

Il nodo della questione sta nel fatto che da simili allusioni è impossibile difendersi, proprio per il carattere discrezionale dei provvedimenti in materia di cittadinanza. Cercando di semplificare, esistono degli elementi espressamente necessari, ma la concessione della naturalizzazione, pur in presenza di tutti i requisiti di legge, è pressoché unanimemente riconosciuta come un atto di c.d. “alta amministrazione”. Vale a dire, un tipo di provvedimento in cui la Pubblica Amministrazione conserva un margine di discrezionalità estremamente ampio nel decidere se concedere la cittadinanza o meno. Ogni parola non scritta, ogni termine vago, in questi casi equivale a lasciare uno spazio di discrezionalità difficilmente contestabile dal destinatario. Così il fatto che tra le cause ostative alla concessione siano incluse “ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica” allarga le maglie già molto ampie del potere decisionale dell’amministrazione in materia di cittadinanza.

La giurisprudenza, di fronte ad atti di alta amministrazione, non può compiere valutazioni sul merito della decisione, e si limita a verificare che la motivazione sia coerente da un punto di vista logico. Non servono indizi, prove, relazioni, approfondimenti, bastano tre righe razionali. Qualora ci si rivolga ad un tribunale per opporsi al rigetto, il più delle volte si può ambire solo ad avere un’idea vagamente più definita del motivo del rigetto, senza comunque poterlo contestare.
La via giudiziaria in questi anni ha portato a pochi traguardi, perlopiù insufficienti. Dopo varie pronunce, si è giunti ad affermare la possibilità, per gli avvocati, di consultare gli atti di indagine su cui si fondano i sospetti – senza poter fotografare e sempre sotto gli occhi vigili dell’autorità – ma la possibilità di opporre un’eccezione che vada oltre la manifesta illogicità di quelle tre righe resta inaccessibile.

4. Educare all’obbedienza

Per comprendere la ratio di un meccanismo del genere, allarghiamo per un attimo lo sguardo ad altri istituti della legge 91/92. In particolare, consideriamo l’art. 14, che disciplina la revoca della cittadinanza ottenuta per nascita, matrimonio o naturalizzazione, qualora tramite la commissione di gravi reati dovesse rivelarsi una particolare pericolosità.
Di fronte allo strumento della revoca non si spiega l’esigenza di un giudizio prognostico che, svincolato dalla commissione di fatti di reato, si fonda sul solo parametro del sospetto. Una certa coerenza si può rinvenire solo qualora lo si legga come uno strumento di controllo sociale in linea con quella tendenza securitaria fondata sul binomio sicurezza-immigrazione che già in materia penale si è scontrata con le principali garanzie costituzionali. È una minaccia, un monito per tutti, soprattutto per i ragazzi ancora stranieri radicati in Italia a cui di fatto si veicola l’informazione per cui partecipare alla vita politica, aderendo a un centro sociale, a un movimento ambientalista, a una battaglia per le persone in movimento può significare perdere la cittadinanza e rimanere inchiodate al rinnovo del permesso di soggiorno per tutta la vita.

Volendo essere ottimisti, l’ipotesi di rigetto sulla base di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica ne esce come uno strumento funzionale alla politica del Super citizen, per cui la persona non cittadina iure sanguinis è sottoposta ad uno standard maggiormente elevato di conformità a non meglio specificati ‘valori della nazione’. Per i meno ottimisti, il rischio è che questo particolare spazio di discrezionalità si traduca in uno strumento di controllo preventivo non ancorato alla commissione di fatti conoscibili e contestabili.

Di fronte a strumenti di questo tipo, frutto di specifiche decisioni di politica legislativa, la via giudiziaria non è la soluzione, almeno non da sola. Senza una pressione sociale, una spinta mediatica e popolare che metta in discussione le leggi sulla cittadinanza sul piano politico, in tribunale le si può solo rendere meno incostituzionali.


Per approfondire questo tema, mercoledì 21 febbraio ad ore 19.30 si terrà un dibattito a Roma organizzato presso il circolo Sparwasser in via del Pigneto 215, insieme a Nonna Roma e Aps Spazi Circolari. Sarà possibile seguire l’incontro anche online.

Criminalizzare e perseguitare il dissenso politico” con:

  • Francesco Romeo – Nuove tecniche normative e giudiziarie per reprimere la manifestazione del pensiero politico dissidente;
  • Giulia Crescini – Negare il riconoscimento della cittadinanza per un presunto sospetto della Digos senza alcuna denuncia o segnalazione;
  • Francesco Ferri – Il tentativo di riformulare il patto sociale reprimendo la partecipazione politica dei soggetti sociali maggiormente esposti.
  • Modera: Gennaro Santoro.

Intervengono: Italiani senza cittadinanza | A buon diritto | ActionAid | Antigone | Arci | Asgi | Black Live Matter | Cittadinanzattiva | Cild | Giuristi Democratici | Legal Aid-Diritti in movimento | Lunaria | Progetto Diritti.

  1. E. Badenhoop, Responding to the call for the Super Citizen: migrants’ ambivalent experiences of naturalization in Germany and the United Kingdom, in Citizenship Studies, 2021, pp. 564-582.
  2. Ad es., Consiglio di Stato, sent. 1826 del 2021.