Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

A cura di Ares 2000 Onlus - (Altra Ricerca E Solidarietà)

Asilo negato

Rapporto sui rifugiati in Italia (e nel mondo)

Tragedie nel mare

10 giugno 2003- TG1 –immagini dal mare a sud di Lampedusa :una motovedetta italiana intercetta un vecchio peschereccio carico di centinaia di immigrati, stipati all’inverosimile, tra i quali visibilissimi bambini e donne, costringendolo con minaccia di speronamento(e per fortuna non ancora a cannonate come suggerito in questi giorni dal Ministro delle Riforme) a fare dietrofront. L’episodio viene presentato come un’impresa della nostra Marina degna di encomio, avendo evitato uno dei tanti sbarchi di immigrati “clandestini”, che con la bella stagione tendono a moltiplicarsi.

Ma sull’episodio subentra un disagio crescente: chi comandava la motovedetta si è domandato se per caso quei profughi fossero stremati, affamati, se per caso alcune donne, alcuni bambini, dopo un viaggio così lungo e in condizioni impossibili per sfuggire alla guerra, alla fame, nei loro paesi del Congo, della Liberia, della Sierra Leone, dell’Etiopia o dell’Eritrea, fossero in pericolo di vita, o avessero comunque i requisiti per richiedere lo status di rifugiato?. Si è domandato se quel comportamento non si potesse annoverare tra le violazioni del diritto internazionale che impongono di prestare soccorso , ed anzi di dare asilo ai perseguitati ? Dove sarà finito ora quel vecchio peschereccio con i suoi occupanti pieni di speranza? Resta’ un punto interrogativo inquietante, specie a seguito della tragedia ,avvenuta qualche giorno dopo sempre a largo di Lampedusa, con settanta immigrati dispersi in mare, e definita da Don Ciotti un “omicidio premeditato” causato da leggi restrittive che favoriscono la diffusione di un’idea “fortezza Europa”.

Di quel peschereccio non si saprà mai più nulla.. L’unica certezza è invece che in Italia il problema della richiesta d’asilo e dello status di rifugiato non trova molta audience. Da svariati anni è fermo in parlamento un disegno di legge organico che , come avvenuto in diversi paesi europei certamente più civili come la Svezia o come la Germania, potrebbe risolvere la questione in senso positivo per i tanti che sfuggono alle persecuzioni. Sottraendo i richiedenti-asilo alle attuali provvisorie norme-capestro inserite nella Bossi-Fini soltanto allo scopo di limitare i diritti dei rifugiati e far fallire la presunta strumentalizzazione del diritto d’asilo per evitare espulsioni e respingimenti.

E grazie agli interventi mirati del ministro Maroni che dalla cabina di regia del Ministero del Welfare conduce la guerra padana contro gli immigrati, la Bossi-Fini ha trovato applicazione solo nelle sue parti più feroci. La prima cosa che ha cominciato a funzionare a pieno sono state, per esempio, le espulsioni selvagge. Per il resto la legge è in alto mare: i ministri continuano a litigare sui decreti attuativi, la regolarizzazione ha raggiunto solo il 25% delle domande, il 2002 è passato senza decreto flussi, a frontiere italiane chiuse. Con evidenti effetti sul numero crescente di sbarchi di clandestini.

Trieste, lunedi 16 giugno. Un migrante curdo muore soffocato per il caldo nel cassone di un TIR greco, mentre assieme ad altri due compagni di sventura tentava di entrare in Italia. Probabilmente avrebbe potuto chiedere asilo , ottenere lo status di rifugiato, sempre che le autorità italiane applicassero la Convenzione di Ginevra non abrogata dalla Bossi-Fini.o per lo meno la legge 286/98.

Conso: “Non c’è proprio nulla da celebrare!”

Il 20 giugno si festeggia nel mondo ed anche in Italia la Giornata del Rifugiato. Ebbene, nel corso di una conferenza stampa che il 18 giugno illustrava una campagna promossa dal Comune di Roma sul diritto d’asilo, il costituzionalista Prof. Conso in un suo intervento molto polemico, ha osservato che quest’anno sui rifugiati in Italia non c’è proprio nulla da celebrare. “E’ un disastro. Bandiere listate a lutto non solo per la morte dei settanta immigrati in mare ma anche per l’immatura scomparsa di Dino Frisullo, nonché per il nulla cosmico che il governo italiano ha fatto in questo campo. In Italia, se si osa inoltrare una domanda di asilo politico, si rischia seriamente di essere rispediti ai propri torturatori. Come avviene per i Kurdi che stanno attuando a Roma da una settimana lo sciopero della fame.” Conso ha anche denunciato la carenza di una rete legale efficiente a difesa degli immigrati che chiedono asilo. Per bloccare l’espulsione basterebbe ad esempio sapere che vi è la possibilità di inoltrare un ricorso alla Corte di Strasburgo, in genere molto efficace.

“Il blocco dei fondi per l’assistenza ai rifugiati – ha continuato Conso -e il clima di caccia alle streghe nei confronti degli immigrati, considerati tutti clandestini, non è certo un buon biglietto da visita per il semestre europeo, tenendo conto che il pur criticato Statuto Europeo prevede specificamente un lungo articolo sul diritto di asilo e sui rifugiati.”

Quante sono le richieste d’asilo

Quanti sono i rifugiati in Italia? Circa 23.000, vale a dire soltanto lo 0,4 ogni mille abitanti, contro 20 ogni mille abitanti presenti in Svezia ed i 10 della Germania.

Il fenomeno quindi in Italia è molto circoscritto. La maggior parte di domande(100.000) presentate in Italia dal 1990 al 2000 è stata inoltrata da albanesi(21.300), ex Iugoslavia (12.197) Iraq (12.132, Romania (6.114),Turchia (4.250). Nel 2001 il primato delle domande è spettato ad iracheni (1.985) e kurdi (1.690) seguiti da immigrati provenienti dalla ex Iugoslavia, dalla Romania, dall’Afghanistan, nonché dal Sudan, dall’Etiopia e dall’Eritrea.

Contrariamente a quanto accade in Italia , a livello mondiale il fenomeno rasenta l’emergenza. Si calcola che nel mondo una persona ogni 275 sia costretta alla fuga a causa di guerre o persecuzioni di ogni genere. Così nel mondo i rifugiati raggiungono la soglia di 22 milioni.

Nella sola Europa nel 2001 sono arrivati a 2,7 milioni, e di questi 1,7 milioni vivono nei paesi della UE (906.000 nella sola Germania.).

Occorre d’altra parte osservare come in Italia invece dal 1999 al 2002 il numero delle persone che ha chiesto lo status di rifugiato è andato sempre più diminuendo, da 33.000 nel 1999 a 15.000 nel 2000, a 10.000 nel 2001, ad 8.099 nel 2002 (secondo dati del Ministero dell’Interno). In media è stato accolto soltanto il 10% delle domande.. Nel 2002 è stato riconosciuto lo status di rifugiato a soli 659 stranieri (secondo il Ministero dell’Interno) ed a 1.270( secondo i dati della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato).Va evidenziato a questo riguardo come in materia di rifugiati, data l’estrema confusione vigente in materia, i dati statistici possano variare anche in modo rilevante a seconda della fonte.

Le lungaggini della procedura (anche 12 mesi) provocano peraltro che la maggior parte dei richiedenti asilo si renda irreperibile prima della decisione finale nei loro confronti. Nel 2002 si sono avuti 14.970 dinieghi senza colloquio con il richiedente per irreperibilità della persona (fonte commissione Centrale.)

Ed è lecito a questo punto chiedersi se il calo delle domande sia dovuto ad un minore afflusso in Italia di perseguitati, ad un attenuarsi dell’emergenza, oppure al sistema repressivo vigente, basato su procedure “semplificate” e poco garantiste. Si pensi che dopo una decisione negativa di un’apposita Commissione, il ricorso del richiedente-asilo al Tribunale, non è sospensivo, per cui l’immigrato viene immediatamente espulso. Forse la sua causa in Tribunale potrà essere miracolosamente seguita da un avvocato che non pretende immediate parcelle. Ma nel frattempo, in attesa che la pratica sia sbrigata, il richiedente- asilo viene espulso con tutti i rischi conseguenti sulla sua persona e sulla sua famiglia.

Gli articoli 31 e 32 della legge Bossi-Fini, che per avere piena attuazione attendono ancora il varo di un regolamento, peggiorano in danno dei richiedenti asilo la normativa precedente costituita dalla legge 28 febbraio 1990 n.39 (cosidetta legge Martelli). Quest’ultima norma prevedeva infatti che al richiedente fosse subito concesso un permesso di soggiorno e che il ricorso contro una decisione negativa sospendesse il provvedimento di espulsione. Gli articoli della legge Bossi-Fini prevedono al contrario che soltanto in casi eccezionali possa dal questore territorialmente competente essere rilasciato un permesso di soggiorno. E non prevedono alcuna sospensiva in caso di ricorso.

2002: i rifugiati nel mondo

Come riporta INFORM (14 marzo 2003), in base alle ultime statistiche sulle domande d’asilo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nel 2002 il più alto numero di domande d’asilo nel mondo è stato inoltrato da cittadini iracheni. Con oltre 51mila domande, gli iracheni hanno di gran lunga preceduto i cittadini di Repubblica Federale di Jugoslavia (ora Serbia-Montenegro) che hanno presentato 33.100 domande, Turchia (29.600) e Cina (26.300). A seguito del miglioramento della situazione nel proprio paese, si è invece dimezzato il numero di richieste d’asilo presentate da cittadini afghani. Questi ultimi sono infatti passati dal primo posto del 2001 con quasi 53mila domande al quinto del 2002 con 25.700. Anche il totale delle domande presentate negli ultimi tre anni vede gli iracheni al primo posto con 146mila, seguiti da afghani e jugoslavi entrambi con 110mila richieste. La quasi totalità delle domande presentate dagli iracheni nel 2002 è stata inoltrata in paesi europei, in particolare Regno Unito con 14.900 domande, Germania con 10.400, Svezia con 5.400, Austria con 4.600 e Grecia con 2.600.

1999-2002: i rifugiati in Europa

Negli ultimi quattro anni il numero complessivo di domande d’asilo nei paesi dell’Unione Europea è rimasto sostanzialmente stabile. è invece cambiata la distribuzione delle domande tra i vari paesi. Ciò è risultato particolarmente evidente nei paesi del Nord Europa, dove l’introduzione di legislazioni in materia d’asilo più restrittive in Danimarca e Paesi Bassi ha contribuito al netto calo del numero di domande, mentre questo è notevolmente aumentato in Svezia. Questi dati evidenziano chiaramente la necessità di una maggiore armonizzazione delle politiche in materia d’asilo e del sistema di condivisione degli oneri al fine di ridurre tali improvvise variazioni e differenze tra i paesi dell’Unione.

2002: cambiano i flussi e le rotte per l’Italia

L’arrivo dei richiedenti asilo in Italia nel 2002 è stato caratterizzato, specie nella seconda parte dell’anno, da un intensificarsi di flussi dall’Africa. Nuove guerre civili e disordini che hanno interessato alcuni paesi africani, hanno fatto si che da quel continente– si sia verificato un maggiore afflusso di richiedenti asilo. I principali paesi di provenienza sono stati: Sierra Leone, Liberia, Sudan, Eritrea, Costa d’Avorio; è continuato peraltro anche l’arrivo costante di cittadini turchi ed iracheni di etnia curda, con un notevole aumento di quelli provenienti dall’Iraq.

Sono notevolmente cambiate rispetto al 2001 le zone interessate dagli sbarchi di richiedenti asilo e altri cittadini stranieri. Si è verificata infatti una netta diminuzione di arrivi sulle coste pugliesi e calabresi e un forte aumento di sbarchi sulle coste siciliane. e sulle isole, in gran parte a Lampedusa. Chi organizza tali viaggi ha scelto evidentemente nuove rotte che sempre più partono da alcuni paesi del Nord Africa, soprattutto Libia e Tunisia verso le isole e coste siciliane.

Secondo Christopher Hein, direttore del CIR (Consiglio Italiano per i rifugiati), la mancanza di strutture di prima accoglienza in Sicilia ed il trasferimento coatto in altri centri della Calabria e delle Puglie, fa mancare ai richiedenti asilo una sufficiente offerta di servizi relativi alla seconda accoglienza. Il Programma Nazionale Asilo d’altra parte, andato avanti grazie ad una rete di più di 60 Comuni che si erano offerti a costituire centri piccoli e medi di accoglienza, è stato fortemente penalizzato per una diminuzione di fondi disponibili provenienti dal programma “Otto per mille Irpef”. A partire dall’aprile 2002 – denuncia Hein –il Ministero dell’Interno ha decretato una graduale diminuzione dei posti disponibili, passati da più di 2000 unità dell’anno precedente a meno della metà nella seconda parte del 2002. Di conseguenza , la stragrande maggioranza dei nuovi richiedenti asilo ha cercato altre possibilità di sopravvivenza nelle aree metropolitane (soprattutto a Roma) o di raggiungere con vie irregolari altri Stati dell’Unione Europea. Ne consegue che più dell’80% delle persone richiedenti asilo non si sono presentate al colloquio con la Commissione e la loro richiesta è stata respinta in modo quasi automatico. Sarebbe quindi sbagliato- continua Hein- dedurre dalle statistiche una mancanza di volontà da parte degli interessati a seguire la procedura d’asilo; la verità è invece che, a causa della dispersione forzata dei richiedenti asilo sul territorio italiano, in moltissimi casi la convocazione per il colloquio in Commissione non è mai giunta a loro conoscenza.

Peggiorata la situazione dopo l’11 settembre

A livello europeo e comunitario si è verificata da una parte un’accelerazione del processo di armonizzazione delle politiche sull’asilo e dall’altra l’adozione di un orientamento prioritario (vedasi l’Italia) basato sul controllo delle frontiere esterne, sul contrasto dell’immigrazione clandestina e sull’esternalizzazione dei controlli nei paesi terzi.

Dopo lo shock dell’11 settembre 2001, la parola d’ordine è stata infatti “sicurezza” e spesso è prevalsa un’ottica secondo la quale i diritti umani risultano contrastanti alle preoccupazioni sulla sicurezza, quando invece è vero il contrario: non ci può essere sicurezza senza uno scrupoloso rispetto dei diritti di base, incluso il diritto di richiedere e ottenere asilo.

A questo riguardo appare indicativo lo sciopero della fame a Roma di 30 kurdi ai quali, ignorando l’esistenza della legge n.286/98(protezione provvisoria per esigenze umanitarie), viene negato il diritto di asilo. “mi hanno tenuto dieci minuti, mi hanno chiesto solo come mi chiamo e quanti fratelli ho”; “dopo 14 mesi di attesa per l’audizione non ho avuto la possibilità di spiegare come era la mia vita in Turchia, né perché sono scappato”; “quelli della Commissione ci dicono che ormai in Turchia non ci sono più problemi e che quindi possiamo tornarci, ma chi viene rimpatriato –continuano le testimonianze raccolte al presidio davanti alla sede ONU di piazza San Marco – rischia il carcere e la tortura” .Sembra anche ricorrente da parte della Commissione la domanda:”sei venuto in Italia per lavorare o sei un politico?”

I “centri” scoppiano

I centri di permanenza temporanea, una sorta di monstrum giuridico, di “carceri amministrative”, strutture create per delimitare la clandestinità e la criminalità, hanno raggiunto un livello massimo di saturazione.

Gli stranieri espulsi non possono essere trattenuti presso questi centri per insufficienza di posti, e se si trattengono ulteriormente nel territorio italiano sono soggetti all’arresto e quindi alla detenzione.

E’ fatto notorio che anche le strutture penitenziarie sono sovraffollate di detenuti e la popolazione dei reclusi è destinata ad aumentare ancor più rapidamente per effetto delle nuove leggi. Le carceri ormai straripano e chissà se il governo italiano si troverà a ricalcare le orme dello Stato della California, che ha ceduto a privati la costruzione e la gestione delle strutture penitenziarie e dei centri per immigrati in attesa di concessione di asilo politico.

La critica di Amnesty International

Un’aspra critica all’approccio delle autorità italiana al problema dei rifugiati proviene da Amnesty International, secondo la quale il trattenimento nei Centri di accoglienza e la procedura semplificata per gli stranieri che entrano o soggiornano nel territorio italiano in maniera irregolare, non tutela chi fugge da gravi violazioni dei diritti umani ed è privo di documenti validi per l’espatrio.

La presentazione di un eventuale ricorso , in caso di risposta negativa da parte della Commissione territoriale, non ha effetto sospensivo, ed è comunque subordinato alla valutazione discrezionale del Prefetto.

Tale procedura – sempre secondo Amnesty – non solo non garantisce in alcun modo il richiedente asilo, ma va contro il sistema di tutela giurisdizionale garantito dalla Costituzione Italiana..

L’abuso e la strumentalizzazione del diritto di asilo non possono essere impediti approvando procedure sommarie e semplificate, che non garantiscono i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Secondo Amnesty l’Italia deve dotarsi di una legge organica che soddisfi i seguenti principi:

1)tutti i richiedenti asilo devono essere sottoposti a procedure eque e imparziali di valutazione delle loro richieste;

2)le restrizioni di ingresso nel territorio nazionale non devono ostacolare l’accesso alle procedure per il diritto d’asilo;

3) tutte le richieste devono essere esaminate in maniera approfondita da autorità indipendenti e specializzate;

4) l’organismo cui compete la decisione finale deve essere composto da esperti in diritto internazionale, specializzati in materia di diritti umani e rifugiati;

5) il richiedente asilo deve poter comparire personalmente di fronte all’organismo competente a valutare la sua richiesta, e avvalersi della rappresentanza legale in ogni fase del procedimento;

6) quando la richiesta d’asilo venga respinta, deve essere data una motivazione scritta del rifiuto, con possibilità di impugnare tale decisione prima dell’espulsione;

7) nessun richiedente asilo deve essere espulso verso un paese terzo in assenza di garanzie sul rispetto dei diritti umani, secondo il principio del non refoulement;

8)nessun richiedente asilo deve essere espulso prima che la sua domanda sia stata esaminata approfonditamente, in ogni caso mai verso un paese che possa a sua volta porre i rifugiati in una situazione di pericolo.

Il diritto di asilo è centrale nel sistema internazionale di protezione dei diritti umani e in nessun caso può essere posto in discussione dalle misure di sicurezza adottate dai governi nazionali. L’Italia non può sottrarsi ai suoi obblighi internazionali.

Bocciata l’Unione Europea

Amnesty International boccia anche la proposta del governo Blair, accolta dalla Commissione Europea e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, di esaminare le richieste di asilo politico al di fuori del territorio comunitario. Amnesty ha anche diffuso una lettera aperta nella quale critica i quindici per la mancanza di visione, il pensiero a breve termine e l’eccessiva enfasi posta sul controllo e la repressione, linee guida dell’Ue in materia di immigrazione.

Secondo Amnesty, la proposta di esaminare in uno stato non europeo le richieste di asilo, tenendo lontani dal territorio europeo quanti fuggono da guerre e persecuzioni, favorirebbe l’immigrazione illegale piuttosto che limitarla.

L’evoluzione del diritto d’asilo

Fino a cinquanta anni fa la comunità internazionale non aveva ancora creato un insieme di istituzioni e di accordi per affrontare a livello mondiale il fenomeno dei rifugiati.
La svolta avvenne con la creazione il 14 dicembre 1950 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) – la sigla italiana è ACNUR – e con l’adozione a Ginevra nel luglio 1951 della Convenzione dell’ONU sullo status dei rifugiati.

L’ACNUR ha il mandato di fornire una protezione internazionale ai rifugiati e di garantire che essi non vengano rinviati, contro la loro volontà, in paesi in cui abbiano motivo di temere persecuzioni. Ricerca inoltre soluzioni ai problemi dei rifugiati promuovendo l’accoglienza e l’integrazione nei paesi d’asilo.

Dalla sua costituzione l’ACNUR ha dovuto affrontare diverse crisi: dagli spostamenti di massa provocati in Europa dalla seconda guerra mondiale alla fuga dei rifugiati dall’Ungheria nel 1956, dalle crisi legate alla decolonizzazione dell’Africa all’emergenza dei rifugiati del Bangladesh nel 1971, dall’esodo in Indocina negli anni 70 agli enormi flussi di rifugiati provocati negli anni 80 dai conflitti in Afghanistan, nel Corno d’Africa e in America Centrale (Nicaragua ed El Salvador), dall’Iraq del Nord dopo la guerra del Golfo, le recenti crisi nei Balcani, nella regione dei Grandi Laghi, a Timor Est e nel Caucaso. Negli anni 90 ci sono stati poi i grandi spostamenti di popolazione dell’ex Unione sovietica, nonché l’esodo kurdo

Al centro dell’attività dell’Acnur vi è in particolare l’applicazione della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati alla quale hanno aderito finora 134 Stati.

Le norme più importanti della Convenzione di Ginevra sono quelle previste dagli artt. 1 e 33.

Articolo 1 – definizione del termine “rifugiato”
“il rifugiato è colui, che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale…., non può o non vuole tornarvi a causa di questo timore”

Articolo 33 – divieto di espulsione o di respingimento (refoulement )
“Gli Stati contraenti non possono in alcun modo espellere o respingere un rifugiato verso le frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà siano in pericolo per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale od opinioni politiche

Nel 1969 l’Organizzazione dell’Unità africana (OUA) fa propria la definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione di Ginevra ma ne amplia i contenuti, includendo anche quanti fuggono a seguito di aggressioni esterne, occupazioni o dominazioni straniere oppure turbative dell’ordine pubblico nel Paese d’origine. Per quanto ispirata ad avvenimenti africani, le norme OUA hanno rappresentato dei parametri importanti per la protezione dei rifugiati, che sino stati applicati in altre parti del globo. L’ambito della Convenzione di Ginevra appare in effetti attualmente restrittivo, essendo limitato ai casi di persecuzione individuale. Essa non comprende i rifugiati di guerra (a causa di confitti armati) politica e carenze di opportunità economiche , e neanche gli “sfollati”. Ne è derivata una risposta incoerente della comunità internazionale al fenomeno degli esodi interni e grandi masse di sfollati sono rimaste prive di efficace protezione e di assistenza.

Flussi misti

Nel corso di un Convegno internazionale tenutosi a Roma dal 12 al 14 luglio 2000 (Migrazioni, scenari per il XXI secolo) è stato posto in rilievo come non sia affatto agevole tracciare una netta distinzione tra migranti per ragioni economiche e profughi, per via dello stretto nesso esistente tra situazioni di conflitto sociale, discriminazione politica e carenze di opportunità economiche,

Una tale situazione tende anche ad erodere la distinzione tra il concetto di rifugiato e quello di migrante, fino a fare confluire le due categorie sotto il comune denominatore dello stato di necessità.

Una frase di papa Giovanni Paolo II appare a questo proposito indicativa: “..Una volta si emigrava per crearsi migliori condizioni di vita; da molti paesi oggi si emigra semplicemente per sopravvivere. Ed ormai si parla di “flussi misti” alludendo alla loro composizione costituita sia da immigrati per ragioni economiche sia da richiedenti asilo e da rifugiati per ragioni politiche.

Secondo un documentato articolo di Francesco Camerino, di fronte all’ipotesi di flussi misti, molti Stati sono spinti a preferire una interpretazione restrittiva della definizione di rifugiato, ciò anche a causa del diffondersi di micro conflitti che determinano sempre più intensi e frequenti spostamenti di masse di popolazioni da un Paese all’altro. Due sono le soluzioni verso cui la comunità internazionale si sta dirigendo: 1) l’organizzazione e la gestione di condizioni di incolumità in loco, se necessario garantite con la forza (interventi umanitari di peacekeeping), e l’assistenza agli sfollati in zone franche all’interno del loro Stato di appartenenza; 2) la concessione, con provvedimenti generalizzati dell’”asilo temporaneo sulla base di considerazioni umanitarie”

A quest’ultimo istituto, nato per assicurare una protezione immediata anche se temporanea nel rispetto del principio di “non refoulement” si è conformata in un primo periodo anche l’Italia. L’art. 20 del D.L. 25 luglio 1998,n. 286 prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri siano stabilite le misure di protezione temporanea da adottarsi per rilevanti esigenze umanitarie in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione Europea. La legge ha trovato applicazione per le persone provenienti da zone di guerra dell’area balcanica. Attualmente l’art. 20 non trova più applicazione, tanto è vero che gruppi di sfollati continuano a vagare privi di tutela per tutta la penisola.

Ma l’accordo più rilevante in Europa, inteso a perseguire una stretta cooperazione in materia di asilo, è la convenzione di Dublino del 1990. L’applicazione delle clausole di questa convenzione dovrebbe evitare il vagare dei profughi da uno Stato all’altro alla ricerca del riconoscimento dello status di rifugiato determinando lo Stato competente ad esaminare la domanda di asilo attraverso la definizione di alcuni criteri condivisi dagli Stati membri (criterio geografico, criterio parentale ecc.).

A partire dal 1995, i paesi europei, pur nella preoccupazione della perdita delle identità nazionali e i rischi connessi alla creazione di una “fortezza Europa”, ovvero uno spazio autarchico e chiuso verso l’esterno da un’unica frontiera, cominciano ad attuare gli accordi di Schengen, che comprendono misure destinate a permettere la libera circolazione delle persone tra gli Stati membri.

Allargare gli orizzonti

Nella storia del pensiero occidentale si è compiuta negli ultimi secoli una progressiva separazione tra etica e politica e si è svincolata l’economia da ogni ancoraggio, per considerarla variabile indipendente in qualsivoglia processo storico e sociale.

Anziché fare del flusso energetico di plurime forze culturali il tema cardine su cui avviare una profonda riflessione in epoca postcoloniale e globalizzata, si continua a guardate ai migranti come sola indistinta forza lavoro, merce da accettare, smistare, respingere rispetto ai soli parametri economici dello Stato Nazione, e non come singoli “corpi” dotati di una propria “voce”. Se il migrante non ha il permesso di ““produrre” ma spera soltanto di poter produrre, viene comunque espulso.

Ed ancora oggi, come nei secoli della conquista, è la nave, il mare, il mezzo e la tragica icona di un vasto movimento di persone e di idee, come nel middle passage, di nuovo migliaia di corpi vengono scaraventati fuori bordo, come da navi negriere.

Insostenibile il confronto? Nessuno ora obbliga nessuno a partire dai propri luoghi d’origine. Ma non è forse l’impossibilità di vivere e progettare il proprio futuro, in territori assolutamente depauperati di qualsiasi risorsa, ragione sufficiente per avventurarsi sulle rotte migratorie? O si vogliono spacciare gli interventi umanitari – generalmente erogati dopo un conflitto imposto o fomentato – o i cosidetti progetti per i paesi in via di sviluppo (Quale? Quello imposto dalla Banca Mondiale?) come la panacea per un riequilibramento del nostro sbilanciatissimo mondo

Guardando bene le rotte migratorie, si potrebbe verificare che hanno origine da luoghi devastati da guerre o dalle conseguenze di tutti quei conflitti endemici che nel terzo e quarto mondo sono la risultante delle politiche coloniali, degli assetti postcoloniali, interessi delle multinazionali, mercato delle armi. Tutti fattori, come si sa, sinergici.

Altro dato da non trascurare è che i migranti sono per larga parte culturizzati, spesso con diploma di scuola superiore. Gli strati lumpen dei paesi di appartenenza nemmeno accedono alla speranza e ad un progetto di diaspora che ha costi alti, finanziari e psicologici.

A parte l’incultura di stampo “borgheziano” di considerare tutti gli stranieri emigrati da situazioni “primitive”, se solo si consideri questo dato, quello cioè del loro livello scolare, ancor più ne risulta sostanziata l’affermazione, tuttaltro che astrattamente ideologica, dei migranti come risorsa.

Si impone dunque di allargare il concetto di asilo, individuando le logiche, i valori, le possibilità, non escludendone le patologie, di una composita ecologia sociale e culturale che veda la vita dell’uomo “Nell’interazione tra differenti sistemi comunicativi e l’ambiente che incorporano e allo stesso tempo modificano e trascendono” (p.Gilroy, The Black Atlantic, ed. Meltemi. Roma 2003).