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Migrare a Bologna, dormire per strada

di Leonardo Tancredi e Chiara Rancati

Il problema degli immigrati senza fissa dimora a Bologna sta per essere ulteriormente aggravato dalla chiusura di alcuni Centri di Prima Accoglienza gestiti dal Comune. Tra le strutture già condannate in tempi brevi c’è il Cpa (Centro di prima accoglienza) di via Guelfa, accanto ai grattacieli di via Massarenti. Antonio Bicchielli dell’associazione “3 Febbraio”, che vede italiani al fianco degli immigrati nella lotta per i diritti di cittadinanza, descrive così la situazione. “Il terreno su cui sorge il centro insieme a quello adiacente, oggi sede di una moschea, è stato ceduto circa un anno e mezzo fa in permuta ad un’impresa di edilizia privata. La contropartita è uno stabile, che la stessa ditta provvederà a ristrutturare, in via Pallavicini, zona molto più periferica e meno servita, dove si pensa di spostare gli immigrati.” Ma c’è un problema di numeri: i posti previsti nella nuova sede sono 120, mentre in via Guelfa abitano oggi almeno 197 pakistani (dati del gennaio 2003, ultimo censimento della “3 Febbraio”, da allora il numero è sicuramente cresciuto). Questo significa che circa un centinaio di persone rischiano di trovarsi per strada. “La soluzione proposta dal comune, concedere un posto nel nuovo Centro solo agli abitanti autorizzati del Cpa, appare poco applicabile – continua Bicchielli – da un lato perché il ricambio tra gli immigrati è talmente veloce che oggi restano in via Guelfa al massimo una trentina di persone del nucleo originario, dall’altro perché molti degli attuali occupanti, teoricamente abusivi, sono stati regolarizzati grazie alla Sanatoria del 2002, quindi godono di diritti nei confronti dello Stato Italiano.”

Ulteriori complicazioni potranno derivare dalle nuove norme in fatto di accoglienza: nelle nuove strutture sono previsti affitti più alti, circa 160 euro, e inoltre ad ogni immigrato è concessa una permanenza massima nei Cpa di 6 mesi, al termine dei quali dovrà arrangiarsi in un altro modo. Cosa non facile in una città in cui la stragrande maggioranza dei possessori di appartamenti rifiuta di affittare a stranieri, o nel migliore dei casi li accetta solo in presenza di un cittadino italiano che faccia loro da garante.

Ma il caso di via Guelfa non è affatto isolato, situazioni simili si trovano nel campo di Quarto, estrema periferia bolognese, e soprattutto nel Centro Mohammed Sahif di via della Cooperazione. Nel primo caso i circa 80 uomini pakistani che vivono in due in minuscole stanze ricavate da 15 container, non attendono uno smantellamento imminente, ma su di loro pende la spada della scadenza di contratto. “Qui viviamo male, abbiamo solo una cucina per 6 persone, bisogna fare i turni – racconta Khalid, uno degli abitanti del centro – la città è lontanissima e qui non c’è neanche una fermata d’autobus. Quando scadrà il contratto, non avremo neanche più questo, finiremo per strada, ma non interessa a nessuno.”
Nei 20 container di via della Cooperazione, invece, vivono più di 100 uomini quasi tutti marocchini, per loro è riservato un destino analogo a quello degli “ospiti” di via Guelfa: il terreno su cui sorge il campo è stato ceduto ad una cooperativa edilizia, la Dozza, mentre i servizi sociali comunali hanno predisposto una nuova sistemazione in due stabili in via del Lazzaretto e in via Terracini, ma solo per 70 persone. “Il problema casa per i migranti in città è molto grave – spiega Carlo Lari consigliere di Rifondazione Comunista del quartiere Navile – il Comune ha promesso nuovi posti a tutti, ma non si vedono soluzioni concrete. Intanto nel nostro quartiere, e non solo, sono centinaia i migranti senza tetto, basta visitare gli argini del Navile per accorgersene.” Un dramma che assume i contorni della beffa considerando che per i nuovi posti, appartamenti per 8, camere doppie una cucina e un bagno, assegnati per 6 mesi, si pagheranno 200 euro mensili, a fronte dei 54 richiesti agli ospiti del Mohammed Saif. Una cifra da mercato immobiliare. “Probabilmente il Comune vuole selezionare gli ospiti dei Centri – aggiunge Lari – ma sono pochi gli immigrati che possono permettersi quelle somme, anche chi lavora regolarmente è spesso costretto a dormire in macchina o all’aperto.”

L’Associazione 3 Febbraio ha lanciato una controproposta chiedendo al Comune di fare da garante per l’affitto di alcuni appartamenti da destinare agli attuali abitanti dei Cpa, come già fatto in occasione della chiusura del Centro in via della Barca, superando così la logica limitata della prima accoglienza. Se non si considerasse in questi termini il problema abitativo per i migranti, il rischio di affollare i portici bolognesi di nuovi arrivati senza dimora, diventerebbe una preoccupante realtà.

da Indovina chi dorme fuori stasera…
Un’inchiesta realizzata dalle redazioni di Bandiera Gialla e Piazza Grande.