Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Associazione Dhuumcatu

«Siamo vite sotto minaccia»

L'associazione Dhuumcatu promuove per il 25 febbraio una manifestazione cittadina a Roma

Start

di Monica Serrano 1

Sul ciglio della strada lungo via Casilina, nel quartiere di Torpignattara, si sentono rumori laboriosi. È in corso la ristrutturazione dell’Associazione Dhuumcatu, in bengalese “Stella cometa” – un gruppo di persone straniere attive da più di un decennio in questo quartiere periferico di Roma, prima all’Esquilino e ancor prima ad Anagnina. Una lunga storia che tocca le zone della città più abitate dalle persone migranti e dove la ricerca di lavoro, il diritto alla casa e alla vita famigliare si uniscono alla lotta per un pezzo di carta che fa la differenza, il permesso di soggiorno.

Dhuumcatu è una organizzazione dal basso, accessibile a tutti/e: allo sportello fanno la fila persone intrappolate nella logica perversa della burocrazia e della norma: rifiuto di residenza, tempi infiniti per ottenere la carta di soggiorno, sanatoria sospesa, condizioni di lavoro a nero vicine alla schiavitù, problemi di iscrizione alla scuola per i bambini di genitori irregolari, ricorsi ed espulsioni. In sostanziale continuità tra il dentro del trattenimento in un CPR e il fuori della strada e dell’irregolarità giuridica, ciò che unisce queste due dimensioni è la percezione della minaccia: «Siamo vite sotto minaccia, pronte ogni volta ad abbassare la testa per vedere riconosciuto quello che è nostro di diritto» racconta Bachcu, il rappresentante legale di Dhuumcatu.

La Questura di Roma produce in media trenta rigetti al giorno di permesso di soggiorno, il più delle volte a persone che vivono in Italia da molti anni. Rigetto motivato dalla perdita del contratto di lavoro, o per la riforma in senso riduttivo della Protezione speciale – che non riconosce più il criterio di radicamento e integrazione in Italia come condizione del soggiorno. Rigetto dovuto molto spesso alla questione della residenza anagrafica: un groviglio secondo il quale chi ha un permesso di soggiorno per lavoro deve dimostrare l’idoneità alloggiativa della sua abitazione, ma i parametri da rispettare sono 14 metri quadri di spazio per persona abitante, altrimenti niente residenza e quindi niente permesso.

Immaginiamo con quale facilità a Roma una famiglia del Bangladesh con quattro bambini può assicurarsi di possedere o affittare con contratto in regola una casa di almeno 84 metri quadri. Il mercato immobiliare è feroce e la stessa Torpignattara è al centro di una progressiva operazione di “riqualificazione e decoro“. I prezzi delle case vanno alle stelle, aprono i B&B e i locali chic per l’apericena, mentre le persone straniere lavoratrici vivono sempre più sotto sfratto.

Con una media di trenta rigetti al giorno, solo la Questura di Roma produce più di 7.000 persone irregolari all’anno. Uomini e donne che lavorano da una vita, con figli a scuola che parlano molto meglio il dialetto romano che la lingua madre. Strappati alla serenità del poter stare – il permesso di soggiorno – per un metro quadro. Chi sopravvive paga: paga per avere la residenza 1.500 euro, paga per avere il numero in Questura ed entrare a sportello dai 500 ai 600 euro.

E’ il business della disperazione. Dieci giorni fa un ragazzo di ventitré anni proveniente dal Bangladesh, Sumon, si è tolto la vita impiccandosi dietro una Chiesa al Parco degli Acquedotti a pochi giorni di distanza del suicidio di Ousman Silla nel CPR di Ponte Galeria. Stessa età, era arrivato in Italia sei mesi fa con un debito di viaggio pari a 18.000 euro e dopo i primi mesi in Italia ne aveva contratti altri per sopravvivere.

La famiglia aveva investito su di lui ma lui non riusciva a trovare lavoro, a regolarizzarsi, a mandare i soldi dovuti. Non era facile come gli avevano detto, come sembrava dal luccichio di benessere della Fortezza Europa vista da lontano. Non riusciva a regolarizzarsi e saldare il debito, viveva qui in condizioni disumane. Era rimasto solo, e altrettanto impossibile era a quel punto tornare: bloccato, precipitato dentro una idea di riscatto che diventa realtà infernale.

Un altro capitolo che porta dritto all’irregolarità e alla minaccia di espulsione/detenzione è quello della richiesta di asilo: per formalizzare la domanda ci vogliono mesi e mesi di fila di notte davanti ai cancelli della Questura di Roma, per attendere il giorno agognato del numeretto che entra. Per mesi, chi è appena arrivato a Roma dorme per terra o arriva prestissimo a via Teofilo Patini, con la speranza di poter uscire col cedolino della richiesta asilo. Per mesi, i richiedenti asilo che non riescono a formalizzare restano quindi irregolari per le vie della città, a rischio di espulsione e trattenimento arbitrario.

Il dispositivo della detenzione amministrativa incombe sulla schiena delle persone straniere come ultima e macroscopica minaccia: dai costi enormi e dall’efficienza scarsissima, il rimpatrio forzato è la più plateale violazione di un diritto fondamentale, la libertà personale esclusivamente per motivi amministrativi. Nessun reato, nessuna pena accordata, ma in ogni momento puoi finire dentro privato di tutto a tempo indeterminato. Questo lo vediamo da qui.

Ma che succede nel paese di origine una volta che la persona è stata rimpatriata? «Quando torni sei un corpo morto in vendita», risponde Bachcu. Quello che non vediamo è che, firmati i patti bilaterali di riammissione nei paesi di origine per chiari interessi economici dei rispettivi paesi, il governo del Bangladesh è solito porre in stato di fermo i rimpatriati dentro l’aeroporto al momento dell’arrivo e minacciare la famiglia di sbatterli in carcere a vita – questi resti di umanità che hanno tradito l’immagine della patria cercando altrove una strada migliore -. E per farli uscire bisogna pagare, ancora pagare. Si accatastano così umiliazioni, minacce, abusi, corruzione e ricatti in ogni dove.

Contro le massive prassi illegittime che portano all’irregolarità migliaia di cittadini stranieri, per denunciare le inumane condizioni di vita causate dall’attuale quadro normativo e sull’urgenza di dire NO ai CPR, Dhuumcatu ha indetto una manifestazione cittadina il prossimo 25 febbraio 2024 alle ore 14.00 a Piazza Vittorio – Roma, insieme ad altri enti, associazioni e movimenti solidali della città.

  1. Filosofa, counselor e operatrice legale da più di venti anni mi occupo di migrazione e salute mentale in diversi contesti istituzionali e del privato sociale. Di orientamento etnopsichiatrico critico e decoloniale, sono formatrice e facilitatrice gruppi di auto-mutuo-aiuto. Nel 2022/23 sono stata consulente esterna del Garante nazionale per le persone private di libertà, monitorando rimpatri forzati e Cpr.