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da Brescia Oggi dell' 8 febbraio 2004

Brescia – Immigrati, la protesta in corteo di Mimmo Varone

Quindici giorni fa il blitz della polizia al residence Prealpino. Ieri tremila senegalesi in piazza. Dopo 15 anni i nodi del residence stanno venendo al pettine. Se devono andar via, gli immigrati chiedono una «vera alternativa» e già che ci sono invocano pure una politica della casa per tutti e il ritorno dei loro compagni finiti il 24 gennaio scorso nei centri di prima accoglienza sparsi per la Penisola.

Sono le parole d’ordine dominanti di una manifestazione molto tesa ma pacifica, che ieri pomeriggio ha messo in ginocchio per due ore il traffico della città. Gli immigrati, stavolta a larga maggioranza senegalesi, si sono concentrati in piazza Loggia (non hanno ottenuto di scendere in corteo da Bovezzo) e verso le 15.30 si sono mossi per dire alla città la loro «rabbia» di lavoratori che vogliono avere «pari diritti e pari doveri».

Per due ore, finchè verso le 17.30 non sono tornati in centro, hanno gettato nel caos il traffico del sabato pomeriggio. Dovevano seguire il solito percorso per le vie storiche, ma in via S. Faustino anzichè scendere per corso Mameli hanno tirato dritto per piazzale Cesare Battisti. E da lì hanno percorso tutto il ring fino a piazzale Repubblica per risalire da corso Martiri della Libertà. I vigili urbani hanno dovuto far fronte all’imprevisto in tempo reale. Non è stato facile, ma gli immigrati senegalesi erano molto determinati a ottenere visibilità.

Le solite musiche, i soliti tamburi, il colore di sempre, ma facce molto tese. «Siamo incavolati neri, siamo più neri del solito», dice mettendoci dell’autoironia Dia Mbaye, uno dei loro leader, dal camioncino del Magazzino 47 che ha aderito insieme a Rifondazione comunista alla protesta organizzata dal Forum delle associazioni immigrati e dall’Associazione lavoratori senegalesi.

Mbaye si rivolge dritto ai bresciani. «Io sono nero e si vede ma sto parlando la vostra lingua – scandisce -, i miei figli vanno a scuola con i vostri, perchè dobbiamo dividerci?». Come lui anche altri cercano di parlare alla gente del sabato pomeriggio sul corso. «Vogliamo vivere con voi per mandare avanti questo Paese – ripetono -, vogliamo integrarci, non vogliamo offendere nessuno».
Reclamano un’alternativa al residence. «E dovete trovarla voi», gridano alle istituzioni. «Alternativa residence Prealpino. Dove? Quando? Come?», c’è scritto sugli striscioni. Gli animi sono agitati. Gli stessi organizzatori devono sudare a mantenere ordine nel corteo. La decina di incappucciati di bianco con le scritte «Bossi-Fini Kkk» doveva dar colore alla denuncia della legge sull’immigrazione ma s’improvvisano servizio d’ordine e far da cordone per impedire fughe in avanti. Con evidente riferimento all’intervento della polizia di due settimane fa, «i veri delinquenti sono quelli che speculano sulla pelle degli immigrati», scandiscono.

Il presidente della loro Associazione, Momar Mbow, smorza i toni. «Siamo un paese civile, abbiamo una forte consapevolezza del diritto e siamo pronti al dialogo – assicura -, vogliamo sederci attorno a un tavolo per cercare un’alternativa al Prealpino, ma un’alternativa deve essere trovata».

Sanno di essere tanti. In via Leonardo da Vinci li raggiunge pure una delegazione della Valsabbia. Gli oltre 100 mila immigrati a Brescia, al 90 per cento hanno un posto di lavoro e «mandano a scuola oltre 4 mila figli», hanno scritto in una lettera aperta distribuita durante il corteo. Pagano le tasse e «su tre nuovi assunti uno è immigrato».
In cambio – aggiungono – hanno un permesso di soggiorno «legato al contratto di lavoro, che ci rende schiavi di padroni buoni o cattivi che siano». E dopo il lavoro non hanno «qualsiasi persona ha bisogno di riposare sotto un tetto ma a noi questo diritto è negato», giacchè «il 57 per cento dei proprietari di case non affitta agli immigrati».

Tra gli altri, nel corteo c’è, «a titolo personale», pure Marco Folli (Rifondazione comunista), assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata di Bovezzo. In sintonia con i senegalesi dice che «il problema-Prealpino non si risolve con misure di ordine pubblico». La soluzione è «ristrutturarlo perchè accolga una quantità adeguata di immigrati – dice -, che dovranno impegnarsi a vigilare contro lo spaccio e altri atti criminali. Ma per ristrutturare ci vogliono milioni di euro, e il nostro comune non può farcela». Le istituzioni sono chiamate in causa.